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Cos’è l’operazione ‘Carri di Gedeone’, l’offensiva a Gaza partita ufficialmente oggi

Israele ha avviato oggi la nuova offensiva per il controllo totale della Striscia, denominata “Carri di Gedeone”. Sono già moltissime le vittime. Intanto l’offensiva militare ha fatto saltare ogni prospettiva di accordo tra Israele e Hamas.
A cura di Francesca Moriero
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L'operazione militare denominata "Carri di Gedeone" ha preso avvio ufficialmente nella giornata di oggi, 18 maggio. I carri armati israeliani hanno attraversato il confine ed entrato nella città di Rafah da est e da ovest, inaugurando una nuova e drammatica fase del conflitto nella Striscia di Gaza; dopo settimane di intensi bombardamenti aerei, l'esercito israeliano ha lanciato un'offensiva terrestre su larga scala nella zona più densamente popolata del territorio. Il tempismo dell'azione non appare casuale: mentre su Rafah si abbattavano le bombe, a Doha erano in corso trattative per un possibile accordo sugli ostaggi, che vedevano coinvolti Stati Uniti, Qatar ed Egitto. L'avvio dell’offensiva israeliana ha tuttavia compromesso in modo irreversibile ogni possibilità di intesa, facendo naufragare in poche ore il processo negoziale.

Rafah sotto assedio: un milione e mezzo di civili intrappolati

Da mesi, Israele indicava Rafah come "zona sicura", e proprio in quest'area si sono rifugiati oltre un milione e quattrocentomila palestinesi, costretti a spostarsi verso sud a seguito degli sfollamenti forzati nel nord e nel centro della Striscia. Ora, con l'ingresso delle truppe israeliane, Rafah è diventata il fulcro di una guerra che assume connotati sempre più drammatici. L'avanzata militare si sviluppa su due fronti: a est, lungo il corridoio di Salah al-Din, e a ovest, in direzione del valico di Rafah, dove le forze israeliane hanno già issato la loro bandiera sul lato palestinese del terminal. Nel frattempo, i raid aerei proseguono senza sosta, colpendo Rafah, Deir al-Balah, Khan Yunis e Gaza City, dove incessanti operazioni di soccorso scavano tra le macerie. Non esistono vie di fuga: il confine egiziano resta sbarrato e nessun corridoio umanitario è operativo. L'UNRWA, intanto, conferma che la distribuzione degli aiuti è "completamente interrotta". I morti a Rafah sono già numerosi, e il bilancio delle vittime cresce in modo drammatico di ora in ora.

Il naufragio della mediazione e il silenzio di Trump

Mentre le truppe israeliane penetravano in città, i negoziati proseguivano a Doha, dove Stati Uniti, Qatar ed Egitto tentavano di trovare un accordo sugli ostaggi. Ma l'offensiva militare ha fatto saltare ogni prospettiva di intesa. Hamas ha immediatamente sospeso i colloqui, accusando Israele di "sabotare deliberatamente ogni possibilità di accordo". Dal canto suo, il governo Netanyahu ha ribaltato la versione, sostenendo che è stata Hamas a ritirarsi. Intanto, Donald Trump, impegnato in un comizio nel New Jersey, non ha proferito parola sull'offensiva o sulla tragedia di Rafah, preferendo concentrare il proprio discorso su questioni interne e attacchi politici al presidente Biden. Un silenzio che pesa, soprattutto in considerazione del fatto che gli Stati Uniti erano stati informati dell'imminente operazione e non hanno intrapreso alcuna azione per impedirla. Poche ore prima, il segretario di Stato Antony Blinken aveva infatti ribadito l'impegno americano a "proteggere i civili", parole che ora suonano vuote di fronte alla realtà sul terreno e l'arrivo di un nuovo pacchetto di aiuti militari da 15 miliardi di dollari destinato a Israele. L'Europa, intanto, come spesso accade, si limita a esprimere "profonda preoccupazione", senza tradurre in interventi concreti la crisi umanitaria in atto.

L’avanzata su Rafah non è solo una manovra militare, ma un segnale chiaro: smantellare pezzo per pezzo Gaza, chiudere ogni spazio di vita e di governo, rendere la Striscia inabitabile. La macchina della guerra si è messa in moto e, allo stato attuale, non sembra esistere alcun freno in grado di arrestarla.

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