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Cos’è il ddl Capitali approvato dalla Camera e perché il governo ha deciso di riformare la Borsa

La Camera ha approvato il ddl Capital: è passata così, con l’astensione delle opposizioni, la norma che riforma la Borsa italiana. Uno degli scopi è quello di spingere alcuni grandi marchi a ritornare in Italia. Il testo del ddl dovrà tornare al Senato prima di entrare in vigore, ma solo per una rapida approvazione formale.
A cura di Luca Pons
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Di fatto è arrivato il via libera definito al ddl Capitali, che introduce alcune novità nella Borsa italiana per le grandi società. La Camera ha votato con 135 deputati a favore e ben 92 astenuti, tutti tra le file dell'opposizione. Solo Marco Grimaldi, deputato di Avs, ha votato contro contestando il fatto che non sia passato il tetto allo stipendio dei manager. Prima di entrare in vigore, però, la legge dovrà passare ancora una volta dal Senato; si tratta solo di un'approvazione formale, perché la Camera ha modificato un passaggio tecnico sulle coperture. Nei fatti, però, la legge è già nella sua forma definitiva. Dopo l'entrata in vigore, il governo avrà un anno di tempo per metterla in atto tramite decreti legislativi.

Il ministero dell'Economia l'aveva proposta quasi un anno fa, a marzo 2023. L'obiettivo è di agevolare le società che si quotano in Borsa, ma anche – in modo più o meno esplicito – spingere alcune grandi società italiane a rientrare dall'estero. Francesco Filini, deputato di Fratelli d'Italia e relatore del ddl, ha detto che la norma "dà anche la possibilità ad aziende e marchi storici, che negli anni hanno trasferito la sede all’estero, di ritornare perché potranno avere anche qui quelle garanzie contro le scalate ostili".

Cosa c'è nel dll Capitali

Una delle norme contenute nel disegno di legge è quella sui consigli di amministrazione. In particolare sulle liste. Solitamente, nelle società che non sono controllate da grandi soci ma da vari piccoli soci, il consiglio di amministrazione quando deve essere rinnovato presenta una lista di candidati. Non si parla solo di piccole aziende: lo fanno società come Unicredit, Mediobanca e Tim. Il ddl prevede che dal 2025 ci saranno dei limiti da rispettare: i candidati dovranno essere più dei posti disponibili, così che ci sia effettivamente libertà di scelta per chi vota; in più, il vecchio cda dovrà approvare questa lista con una maggioranza di almeno i due terzi. Nel caso di un'altra lista ‘di minoranza', questa avrà diritto a un quinto dei posti nel consiglio.

Sempre all'interno dei consigli di amministrazione, potrà scattare un meccanismo per cui i soci più anziani avranno un potere di voto maggiore, e crescente nel tempo. Questo è l'intervento che ha lo scopo di attirare in Italia alcuni grandi marchi. Oggi, alcune società scelgono di avere la sede in altri Paesi (come i Paesi Bassi) che hanno questa regola, anche perché così possono avere un potere di voto molto alto nei consigli di amministrazione senza dover per forza comprare più azioni, ma semplicemente aspettando e ‘maturando' l'anzianità.

Ci sono anche norme più puntuali: cambia, ad esempio, la definizione di una "piccola e media impresa", che potrà avere una capitalizzazione da un miliardo di euro invece di 500 milioni di euro. È previsto anche che l'educazione finanziaria venga insegnata nelle scuole, anche se questo aspetto andrà definito più nel dettagli nei prossimi mesi.

Bocciato il tetto agli stipendi dei manager

Luigi Marattin, deputato di Italia viva, ha detto che nel ddl ci sono "aspetti positivi ma anche tragici errori". Con l'intervento sulle liste dei consigli di amministrazione, ad esempio, "si scassa un sistema di governance delle nostre realtà quotate solo per esigenze contingenti". Per il Pd, Virginio Merola ha definito "farraginosi e discutibili" gli stessi meccanismi sulle liste.

L'unico voto negativo, come detto, è arrivato da Marco Grimaldi di Alleanza Verdi-Sinistra. Il deputato ha contestato il fatto che la maggioranza abbia bocciato un emendamento che metteva un tetto massimo agli stipendi dei manager: "L'emendamento prevedeva che questo non fosse superiore di 50 volte quello degli operai". Il compenso dell’amministratore delegato di Stellantis Carlos Tavares, "è superiore di oltre mille volte quello di uno dei nostri operai e questo è inaccettabile". Anche il Pd aveva presentato un emendamento identico, firmato dall'ex ministro Andrea Orlando.

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