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Cosa vuole fare il governo contro i cortei per la Palestina: il piano di sicurezza di Piantedosi

Anche le piazze italiane si mobilitano pacificamente per la Palestina, ma il governo propone misure securitarie come la cauzione preventiva, suscitando preoccupazioni per la libertà di manifestazione e il diritto al dissenso democratico. Secondo i numeri dello stesso Viminale, su 8.674 manifestazioni registrate nel 2024, 242 hanno presentato “criticità per l’ordine pubblico”: cioè appena il 2,8% del totale.
A cura di Francesca Moriero
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Una mobilitazione diffusa, quotidiana, che da mesi attraversa città grandi e piccole. Così le piazze italiane sono tornate a riempirsi: con assemblee, presìdi, cortei, performance pubbliche, bandiere sventolate, manifestazioni di attiviste e attivisti, studentesse e studenti, lavoratrici e lavoratori, associazioni, famiglie, sindacati e partiti di opposizione. Un movimento civile che, soprattutto negli ultimi giorni, ha manifestato in modo ampio e pacifico facendo risuonare nelle strade parole d'ordine contro il genocidio a Gaza, l'occupazione della Palestina, contro l’invio di armi e, anche, per la libertà di espressione e partecipazione. Una mobilitazione che, numeri alla mano, non ha mostrato elementi di pericolosità diffusa o strategia eversiva, come invece sembrano suggerire alcune letture governative.

Il Viminale, però, si prepara a nuove misure: il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha infatti annunciato in Parlamento un vero e proprio pacchetto di interventi per "rafforzare la cornice di sicurezza" attorno alle proteste; denunce, identificazioni, videosorveglianza, e persino l'ipotesi, al vaglio, di introdurre una cauzione preventiva per chi organizza manifestazioni "a rischio". Una proposta che ha già acceso il dibattito, sia sul piano politico che su quello giuridico.

Un paese securitario di fronte a piazze che parlano

Se da una parte il governo evoca una "strategia della tensione" e denuncia una crescita di atti violenti, i dati raccontano un quadro diverso. Secondo i numeri forniti dallo stesso Viminale, su 8.674 manifestazioni registrate nel 2024, solo 242 hanno presentato "criticità per l’ordine pubblico": cioè appena il 2,8% del totale. Ancora più contenuti i numeri se si guarda alle oltre 2.300 manifestazioni: in soli 84 casi si sono verificati momenti di tensione. Questi dati, pur non escludendo episodi gravi o situazioni da monitorare, mostrano che le proteste in corso nel Paese si sono svolte nella quasi totalità dei casi senza degenerazioni violente e confermano come la maggioranza delle piazze si sia espressa in modo pacifico, partecipato e pluralista, con presenze trasversali.

Le piazze per la Palestina e in solidarietà alla Global Sumud Flotilla, come dimostrano gli ultimi eventi a Roma, Genova, Torino, Milano, Napoli, Firenze non sono un corpo estraneo, ma parte di una cittadinanza che ha scelto di tornare a parlare pubblicamente di diritti umani, conflitti internazionali, giustizia e responsabilità politica. Nonostante questo, il tono delle istituzioni si fa sempre più rigido; ma il rischio, segnalano giuristi ed esperti di diritto costituzionale, è che si stia consolidando sempre più un modello securitario, che considera il dissenso come un problema da contenere, più che come un'espressione democratica da garantire, in nome di una sicurezza che sembra guardare sempre più con sospetto ogni forma di mobilitazione politica fuori dai confini dell'ufficialità.

La proposta di cauzione: un freno alla libertà di manifestazione

Tra le ipotesi più discusse ci sarebbe poi quella, sostenuta dalla Lega di Matteo Salvini e rilanciata dal Viminale, di introdurre una "garanzia finanziaria" per autorizzare i cortei, una sorta di cauzione da versare preventivamente, che servirebbe a coprire eventuali danni causati durante le manifestazioni. Una misura che appare, già nelle intenzioni, in conflitto con l'articolo 17 della Costituzione, che garantisce ai cittadini il diritto di riunirsi pacificamente in luogo pubblico, imponendo solo il preavviso alle autorità, non condizioni economiche; la soglia di legittimità potrebbe essere facilmente superata: imporre una cauzione significherebbe creare una barriera d'accesso alla libertà di manifestare, discriminando chi ha meno risorse (potrebbero infatti così manifestare solo i ricchi) e rischiando di silenziare movimenti sociali, studenteschi e civici che vivono proprio della propria indipendenza economica e organizzativa. Non a caso, diversi costituzionalisti hanno già sollevato dubbi sull'ammissibilità di una simile misura, che potrebbe essere impugnata in sede giudiziaria e portata anche all'esame della Corte costituzionale. Il punto è quindi semplice ma molto profondo: il dissenso è legittimo solo quando è silenzioso o inoffensivo? Cosa diventa una democrazia che mette un prezzo alla possibilità di scendere in piazza?

Antisemitismo e proteste

Il governo, nel motivare il proprio intervento, lega le manifestazioni in solidarietà con la Palestina all'aumento degli atti di antisemitismo registrati dal 7 ottobre 2023 in poi: secondo i dati dell'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, le segnalazioni sarebbero state 733 in un anno, con picchi a Roma e Milano; numeri preoccupanti, che meritano attenzione. Ma va detto con chiarezza: equiparare le manifestazioni per la fine del genocidio a Gaza all'antisemitismo rischia di essere una semplificazione fuorviante e pericolosa. La totalità delle piazze – anche laddove radicali nei contenuti politici – ha manifestato contro l'occupazione israeliana e le politiche del governo di Netanyahu, non contro il popolo ebraico. Confondere le due cose, o lasciarle implicitamente sovrapposte, significa delegittimare in blocco una forma di mobilitazione che ha radici storiche, internazionali e civiche. Non solo, indebolisce anche la lotta contro il vero antisemitismo, che esiste, ma deve essere isolato con chiarezza e rigore, senza diventare strumento polemico o censura implicita del genocidio a Gaza.

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