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Opinioni

Cosa dovremmo aspettarci da un ministero della Natalità del governo Meloni

L’istituzione di un ministero della Natalità da parte del futuro governo di centrodestra andrebbe a celare, dietro concetti positivi come “sostegno alla natalità” e “piena applicazione della 194”, politiche conservatrici e tradizionaliste. Ecco infatti cosa potrebbe fare.
A cura di Jennifer Guerra
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L’ipotesi della creazione di un ministero della Natalità nel nuovo governo Meloni si fa sempre più concreta. L’idea sembra arrivare dalla Lega, che durante il governo Conte I aveva dato vita al controverso ministero della Famiglia dell’ex eurodeputato Lorenzo Fontana, sostenitore di politiche anti-gender e antiabortiste. I nomi in corsa per il ministero sono infatti il suo, quello di Matteo Salvini e quello di Erika Stefani, l’attuale ministra per le Disabilità. Un ministero della Natalità, anche se dovesse finire in mani leghiste, non è però così lontano dai progetti di Fratelli d’Italia, il cui primo punto del programma riguarda proprio il “sostegno alla natalità e alla famiglia”.

L’attenzione di FdI sul tema della natalità si innesta su un problema reale: il tasso di fertilità nel nostro Paese è di 1,25 figli per donna, tra i più bassi d’Europa, e nel 2020 per ogni bambino nato in Italia c’erano cinque over 65. Il tema della bassa natalità dovrebbe interessare tutte le parti politiche, perché il sistema sociale, economico e pensionistico si basano sull’assunto che la società sia formata da famiglie con figli, che però sono sempre meno. Il problema non è, come sostengono alcuni, che gli italiani non vogliano più avere figli. Come spiega la demografa Alessandra Minello nel suo libro Non è un Paese per madri (Laterza), c’è un gap tra il desiderio di genitorialità e la possibilità che questo desiderio si realizzi: in sostanza, c’è una grande fetta di italiani che vorrebbe formare una famiglia ma non può per ragioni economiche. La percentuale di italiane childfree, ovvero per le quali i figli non rientrano nei propri progetti di vita, è solo dell’1,6%.

Ma non tutte le parti politiche si interessano del problema allo stesso modo, o meglio, non tutte considerano la questione della natalità semplicemente un problema economico e sociale. Per FdI, la natalità è anzitutto una questione identitaria, tanto che all’inizio del proprio programma riporta una citazione di Giovanni Paolo II secondo cui la famiglia è ciò che rende “una Nazione veramente sovrana e spiritualmente forte”. Le politiche nataliste del partito si concentrano sull’affermazione della famiglia nucleare italiana in risposta alla minaccia dell’“inverno demografico” (un termine coniato dal teologo antiabortista belga Michel Schooyans) e della “sostituzione etnica” e della “grande invasione”, ovvero dell’arrivo di migranti che dovrebbero rimpiazzare gli autoctoni europei. Questo si traduce in politiche di conservazione e di contrasto a qualsiasi minaccia, presunta o reale, al tasso di fertilità italiano, aborto compreso.

Mettendo assieme i punti del programma di FdI e Lega sul tema, gli interventi a cui potrebbe ambire il ministero della Natalità riguardano l’abbassamento delle tasse sulla base del numero di figli, l’aumento dell’assegno unico familiare, il potenziamento degli asili nido e le politiche di conciliazione vita-lavoro rivolte soprattutto alle madri (padri non pervenuti). Sono iniziative che non toccano il nodo fondamentale della questione, ovvero l’incertezza economica a lungo termine che impedisce alle coppie giovani di impegnarsi nella costruzione di una famiglia. È molto probabile che il ministero della Natalità sarà un ministero senza portafoglio (come sono di solito i ministeri delle Pari opportunità e della Famiglia) e che quindi avrà un ruolo soprattutto simbolico e di indirizzo. Per questo la sua azione potrebbe essere molto più concentrata sul contrasto all’aborto che su tutto il resto.

Meloni, come da programma, non vuole abolire l’aborto, ma garantire la “piena applicazione della legge 194”, ovvero la legge che depenalizzò l’interruzione volontaria di gravidanza nel 1978. Si tratta di una frase che può trarre in inganno chi non conosce bene questa legge. La prima parte del testo, infatti, riguarda la “tutela sociale della maternità” e ribadisce che l’aborto “non è uno strumento per il controllo delle nascite”. Si tratta di formule di compromesso che resero più accettabile la legge da parte delle forze democristiane al tempo della sua approvazione. Gli antiabortisti, ben consci che in Italia sarebbe molto difficile abrogare questa legge dopo il fallimento del referendum del 1981, da anni insistono sul fatto che venga applicata a metà, ovvero che la parte sulla tutela della maternità venga ignorata. Se si guardano infatti i preamboli delle varie leggi regionali contro l’aborto approvate negli ultimi anni dalle amministrazioni di centrodestra, è frequente trovare riferimenti a una mancata applicazione della 194. Chiaramente, il fatto che nemmeno la parte sulla garanzia dell’espletamento delle procedure nonostante la presenza di personale obiettore venga applicata non sembra essere un problema.

Sono proprio le iniziative locali ad anticipare il possibile operato del ministero della Natalità. Ci si può aspettare l’istituzione della “Giornata della vita nascente”, caldeggiata dalle associazioni antiabortiste di cui Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia hanno firmato la Carta dei principi e proposta numerose volte nelle scorse legislature (anche da esponenti del centrosinistra). C’è poi tutto il filone del “superamento delle cause dell’aborto” – anche questo un rimando al testo della 194 – che si realizza sia attraverso contributi economici per convincere le donne a non abortire (come i recenti fondi stanziati in Piemonte), ma soprattutto con la presenza delle associazioni antiabortiste nei consultori e negli ospedali. Non è raro infatti che una donna, prima di ottenere il certificato necessario per l’Ivg, venga invitata a parlare con degli esponenti di queste associazioni, che spesso gestiscono sportelli all’interno dei reparti degli ospedali senza presentarsi come associazioni antiabortiste. Come hanno dimostrato anche alcune inchieste giornalistiche sotto copertura, i volontari danno informazioni false o fuorvianti sull’aborto, una pratica che in Francia è stata addirittura vietata per legge. La presenza di questi gruppi all’interno delle strutture sanitarie pubbliche è stata formalmente autorizzata in Piemonte e nelle Marche e si è provato a farlo anche in Umbria e in Liguria.

Queste iniziative non hanno bisogno di un ministero apposito per essere attuate, ma la sua istituzione sarebbe più che altro un segnale significativo: questi temi non sono affatto secondari per il governo, che anzi dietro concetti positivi come “sostegno alla natalità” e “piena applicazione della 194” cela politiche conservatrici e tradizionaliste che danneggiano le donne e la loro autonomia.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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