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Cosa dice la proposta di Fdi per riconoscere l’italiano come lingua ufficiale in Costituzione

Il senatore di Fratelli d’Italia ha presentato un disegno di legge a Palazzo Madama per il riconoscimento dell’italiano come lingua ufficiale della Repubblica.
A cura di Annalisa Cangemi
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Il senatore di Fratelli d'Italia Roberto Menia ha presentato un ddl a Palazzo Madama, dal titolo ‘Riconoscimento dell’italiano come lingua ufficiale della Repubblica', per chiedere appunto di specificare in Costituzione che l'italiano è la lingua ufficiale.

Lo scopo del disegno di legge è quello di aggiungere all'articolo 12 della Carta, che recita "La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni", il seguente testo: "L’italiano è la lingua ufficiale della Repubblica. Tutti i cittadini hanno il dovere di conoscerla e il diritto di usarla". Il parlamentare di Fdi aveva già presentato in passato un altro ddl per il ‘Ripristino della festività nazionale del 4 novembre'.

"L’Italia – dice all'Adnkronos il senatore di Pieve Di Cadore – è uno dei pochi paesi occidentali in cui la Costituzione non preveda espressamente il riconoscimento della lingua nazionale come lingua ufficiale dello Stato". L'obiettivo quindi è quello di "dare forza agli elementi identitari" tra cui appunto la lingua, "che danno un senso comune alla vita di una nazione". Per Menia "è indispensabile riconoscere il ruolo della lingua italiana quale elemento costitutivo e identificante della comunità nazionale, a prescindere dalle diversità localistiche".

Secondo il parlamentare la lingua comune va intesa anche come strumento di integrazione: "Quanto più la lingua italiana, con il suo portato di valori civili, morali e religiosi, sarà strumento di unione e integrazione, tanto più potremo guardare con fiducia e speranza al futuro dell’Italia ed alle prossime generazioni di italiani".

Nella proposta, spiega, "si tiene conto delle dinamiche demografiche e delle spinte migratorie" con l'obiettivo "di trovare un collante ed una ragione propulsiva nella lingua".

"Tutto ciò vale tanto più in questi anni in cui il fenomeno migratorio pone nuove questioni che attengono da una parte al principio di accoglienza e solidarietà, ma dall’altra vogliono che esso si coniughi a quello del mantenimento e della difesa dell’identità italiana delle nostre città e paesi", dice ancora il senatore all'Adnkronos.

A proposito di identità il parlamentare di Fdi segnala i problemi e le derive che possono sorgere nella tutela delle minoranze nazionali o linguistiche, che possono diventare un elemento per l’imposizione di un monolinguismo nella toponomastica ai danni dell'italiano, come avviene da anni nell’Alto Adige con il tedesco e "inizia ora ad accadere anche nella Venezia Giulia con lo sloveno".

"In altri casi, invece, orientamenti autonomisti esasperati, pongono situazioni in cui si tende a valorizzare la lingua o il dialetto di comunità minoritarie in antitesi alla lingua comune".

L'idea di Menia non è nuova. Già nella scorsa legislatura era arrivata la proposta di Fabio Rampelli, presentata a maggio 2018 alla Camera, dal titoloDisposizioni per la tutela e la promozione della lingua italiana e istituzione del Consiglio superiore della lingua italiana'. All'articolo 2 del testo si leggeva: "La lingua italiana è obbligatoria per la promozione e la fruizione di beni e di servizi pubblici nel territorio nazionale". E ancora: "Gli enti pubblici e privati sono tenuti a presentare in lingua italiana qualsiasi descrizione, informazione, avvertenza e documentazione relativa ai beni materiali e immateriali prodotti e distribuiti sul territorio nazionale. È vietato l'uso di parole straniere per indicare attività commerciali, prodotti tipici, specialità e aree geografiche di denominazione italiana". 

All'articolo 4 invece si specificava che "Chiunque ricopre cariche all'interno delle istituzioni italiane, della pubblica amministrazione, di società a maggioranza pubblica e di fondazioni il cui patrimonio è costituito da pubbliche donazioni è tenuto, ferme restando le norme sulla parificazione delle lingue adottate dagli statuti speciali delle regioni autonome e delle province autonome di Trento e di Bolzano, alla conoscenza e alla padronanza scritta e orale della lingua italiana. Le sigle e le denominazioni delle funzioni ricoperte nelle aziende che operano nel territorio nazionale devono essere in lingua italiana. È ammesso l'uso di sigle e di denominazioni in lingua straniera in assenza di un corrispettivo in lingua italiana".

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