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Cosa c’è nel nuovo dl Giustizia approvato in Cdm, sparisce la norma “bavaglio” contro i magistrati

Il decreto Giustizia approvato ieri sera dal governo Meloni durante il Consiglio dei ministri era atteso soprattutto per due motivi: una norma sulla cybersicurezza, e una che avrebbe limitato la libertà dei magistrati di esprimere opinioni pubblicamente. Ma tutte e due sono sparite dal testo finale.
A cura di Luca Pons
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Il Consiglio dei ministri ha approvato il nuovo decreto Giustizia, e considerando da quanto tempo era in lavorazione i contenuti sono piuttosto limitati. Il commissario straordinario per l'edilizia carceraria sarà in carica fino al 31 dicembre 2026, le procedure per costruire nuovi penitenziari saranno semplificate, e ci sarà più controllo sul funzionamento dei braccialetti elettronici (dopo diversi casi di cronaca che hanno mostrato dei problemi nel sistema). Sono saltate le norme politicamente più discusse: una che avrebbe potenziato il controllo sulla cybersicurezza estendendo i poteri della Direzione nazionale antimafia, e una che avrebbe limitato la possibilità dei magistrati di esprimere opinioni sui temi su cui lavorano.

La più controversa era propria quest'ultima, vista dai critici come un vero e proprio ‘bavaglio' alla magistratura. In sostanza, sarebbe nato per i magistrati l'obbligo di astenersi dal lavorare su fascicoli che riguardassero temi su cui avessero preso posizione in pubblico, anche in passato. Infatti, i termini inseriti in una precedente bozza del decreto erano molto vaghi: si parlava di sanzioni per chi non si asteneva "per gravi ragioni di convenienza". Ma a valutare quali fossero queste "gravi ragioni" sarebbe stato il ministero della Giustizia.

Insomma, il rischio era che un magistrato che in passato aveva partecipato a un convegno, o anche a un dibattito sui social, e aveva espresso un'opinione diversa da quella del governo su un certo tema, sarebbe stato obbligato a non occuparsene più nel suo lavoro. Non a caso, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha più volte attaccato i giudici della sezione Immigrazione del Tribunale di Roma, che hanno deciso sui trattenimenti delle persone migranti portate in Albania, affermando che alcuni di questi giudici in passato avevano espresso posizioni contrarie a quelle del governo.

Alla fine, forse per timore che il Quirinale intervenisse di fronte a una norma troppo vaga e punitiva (questo almeno è quanto riportano diversi retroscena), l'esecutivo ha fatto un passo indietro. "Il governo si è fermato a pochi centimetri dall'introduzione dell'ennesimo bavaglio che limita o cancella la libertà di espressione e di manifestazione del dissenso. Era un'arma pensata per disporre l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati non compiacenti alle politiche del governo. Li abbiamo fermati", hanno rivendicato i rappresentanti del M5s nelle commissioni Giustizia di Camera e Senato.

È saltata anche un'altra norma, ispirata dai recenti casi di presunti dossieraggi. Si trattava di alcuni articoli che assegnavano alla Direzione nazionale antimafia i poteri di "impulso" e di coordinamento nelle inchieste sulla cybersicurezza. Anche in questo caso, una reazione ai casi di cronaca, su cui il governo aveva infatti annunciato interventi decisi.

Ma quegli articoli nella versione finale del decreto non ci sono. È probabile che a bloccarli sia stata anche l'opposizione di Forza Italia. Nelle ore successive al Consiglio dei ministri, il capogruppo al Senato di FI Maurizio Gasparri ha elogiato la scelta: "Saggia la decisione di non allargare i poteri della Procura nazionale". Il motivo è che la Dna, secondo il senatore, "va riportata all’idea originaria di Falcone e emendata da malfunzionamenti e degenerazioni. I magistrati che sono stati al centro di quella Dna ora si stanno accusando l’un l’altro. Non so chi sia il colpevole, ma la struttura va rifondata e non potenziata".

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