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Opinioni

Con questa astensione perdono tutti, ma per le opposizioni è una vera catastrofe

Chiunque abbia vinto alle elezioni regionali di Lombardia e Lazio, con questa astensione da record, deve essere preoccupato. Ma per chi dall’opposizione doveva provare a mobilitare il proprio elettorato, con idee e proposte nuove, lo deve essere molto di più.
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Astraiamoci per un attimo dai risultati delle elezioni regionali in Lombardia e Lazio. Chiunque abbia vinto – Fontana e Rocca, la destra in entrambi i casi – ha infatti trionfato nel contesto di una delle tornate elettorali con la più alta astensione di sempre, nel totale disinteresse di circa sei decimi del corpo votante. E potete girare la frittata quanto volete, che alle regionali la partecipazione è sempre stata bassa – Bonaccini nel 2014 vinse in Emilia Romagna con il 38% di partecipazione al voto, per dire -, che in tutte le democrazie mature vanno storicamente a votare sempre meno persone, che c’era Sanremo, che faceva freddo, quel che volete voi. Ma no, non ci convincerete del fatto che un crollo dal 73% al 41% in cinque soli anni, come quello che abbiamo osservato in Lombardia, o dal 69% al 37%, come quello che abbiamo visto nel Lazio, non sia il sintomo di una malattia molto grave.

Anche perché, a dire il vero, la posta in gioco era alta. Si trattava del primo voto regionale dopo la pandemia nelle due più popolose regioni italiane – 14 milioni di anime in due, un quarto della popolazione italiana – una delle quali, la Lombardia, era stata la più colpita dalla prima ondata, con una gestione dell’emergenza sanitaria che aveva mostrato tutti i suoi limiti. Si trattava del primo voto dopo la salita al governo di Giorgia Meloni , una grande occasione per le opposizioni di riscattarsi, e per i partiti al governo di ridefinire i propri rapporti di forza all’interno della coalizione. Si trattava di un voto in contesto di forte contrapposizione politica tra gli schieramenti, dopo anni di governi tecnici, strane alchimie politiche e grandi coalizioni Niente di tutto questo ha spinto gli elettori lombardi e laziali a recarsi in massa alle urne. Soprattutto, va rimarcato, quelli di sinistra o comunque di opposizione, che su quell’astensione da record hanno consolidato due sconfitte già abbondantemente prevedibili alla vigilia.

Prendersela con gli elettori, o accusarli di qualunquismo, non serve a nulla. Semmai è la politica che dovrebbe farsi più di qualche domanda. Perché questa astensione da record è il segnale piuttosto evidente, semmai, dello scarsissimo appeal dei candidati proposti, della nelle proposte programmatiche incolori, incapaci di rispondere ai bisogni delle persone, di una capacità di rappresentanza politica dei partiti ormai ridotta al lumicino.

Tutte cose note? Fino a un certo punto. E fino a un certo punto giustificabili dallo spirito dei tempi, che sembra invece essere mosso da nuove grandi questioni emergenti. Quella ambientale e climatica, di cui la politica non parla. Quella di un mondo del lavoro che non piace più a nessuno, di cui la politica non parla. Quella di un crescente impoverimento delle famiglie, dei giovani e delle donne, di cui la politica non parla. Quella dei diritti civili, di cui tutti parlano dal palco del festival di Sanremo, ma di cui la politica non parla. O a cui comunque nessuno sta nemmeno provando a dare costruire risposte che non sembrino frasi fatte o palesi supercazzole, peraltro puntualmente smentite dai fatti.

Chi sta al governo, in fondo, può pure fregarsene, per il momento. Meno questioni, meno problemi per la manovratrice. Ma chi sta all’opposizione ha l’onere di dover sollevare questioni inevase, di costruire proposte politiche nuove e alternative, e di sperimentare eventuali soluzioni nel contesto del governo degli enti locali.

Che questa sfida elettorale, partita male e condotta peggio dalle tre forze che a geometria variabile si pongono come alternative alla destra, sia stata l’ennesima occasione persa per dimostrarne l’utilità è autoevidente, anche solo guardando la partecipazione al voto. Che questo grande, immenso vuoto di rappresentanza sia la vera grande incognita dei prossimi anni, lo è molto meno. Che tutto questo sia più una minaccia che un’opportunità, sia per chi sta al governo, sia per chi attualmente vi si oppone in Parlamento, è il dato di fatto più preoccupante di tutti. In politica i vuoti non rimangono mai tali per troppo tempo. E le uova dei mostri sono già pronte a schiudersi, in questo nuovo chiaroscuro.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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