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Che cosa succede ai fondi europei se anche l’Ucraina entra in Ue?

Negli ultimi anni diversi Paesi hanno ufficialmente ottenuto lo status di candidati ad entrare nell’Unione europea. Tra questi c’è anche l’Ucraina. L’ingresso di Kiev è un importante segnale politico, ma avrebbe anche un impatto su come è strutturato oggi il bilancio comunitario. Ci siamo affidati a un esperto per capire che cosa significherebbe.
A cura di Annalisa Girardi
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Quelle del prossimo giugno potrebbero essere le ultime elezioni europee in cui sono chiamati al voto 27 Paesi. Negli ultimi anni, infatti, diversi Paesi hanno acquisito ufficialmente lo status di Paese candidato a entrare a far parte dell'Unione europea. "L’allargamento dell’Unione Europea é un tema sempre controverso. Sulla questione, accademici, giornalisti e politici hanno le più varie ipotesi. Tuttavia, raramente dal 2004 il tema ha avuto una rilevanza così centrale nel dibattito", commenta con Fanpage.it Francesco Piccinelli Casagrande, analista a Bruxelles e collaboratore di Piave Digital Agency. "Se, nel 2004, un peso massimo del continente come la Polonia entrava, ora il dibattito riguarda un paese per certi aspetti molto simile, ovvero l’Ucraina, senza contare i paesi balcanici, Georgia e Moldova", aggiunge, sottolineando che questo allargamento dell'Ue è destinato a portare con sé tanti cambiamenti, così come tante incognite.

Le conseguenze dell'allargamento dell'Unione europea

Incognite che, ovviamente, riguardano in primis l'Ucraina, per cui è appena cominciato il terzo anno di guerra, cominciata con l'invasione da parte della Russia nel febbraio del 2022. Secondo Piccinelli Casagrande per prima cosa bisognerà valutare l'entità della popolazione ucraina alla conclusione del conflitto, dal momento che nel Consiglio dell'Unione europea il potere di voto viene determinato anche in base a questo indicatore. E, in tal senso, l'entrata dell'Ucraina in Ue, sposterebbe gli equilibri esistenti: "Questo implica che l’Ucraina pre-guerra (secondo un calcolo dell’Università di Tartu) avrebbe contato l’8% dell’Unione allargata a 35 stati membri, escludendo la Serbia. In questo scenario, l’Italia avrebbe il 12%, la Germania il 17%, la Francia il 13%. Gli equilibri non cambierebbero tantissimo per noi, ma l’ingresso dell’Ucraina rappresenterebbe uno spostamento a est del baricentro. La Polonia ora conta il 7% e, con l’Ucraina, potrebbe costruire un blocco orientale più potente della Francia, sempre che l’Europa centrale e orientale riesca a trovare un modus vivendi in grado di coordinare i propri governi nell’arena europea, a quindi avere un potere più grande nel processo legislativo dell’Unione", afferma l'analista.

L'impatto dell'entrata dell'Ucraina in Ue sui bilanci comunitari

Per poi proseguire sottolineando che non si tratta solo di equilibri politici e di blocchi affini. L'allargamento avrà un impatto non di poco conto sul bilancio comunitario: "Questo passaggio rischia di essere complicato dal fatto che, con l’ingresso dell’Ucraina, il bilancio europeo dovrà cambiare di conseguenza. Questo ha delle conseguenze precise sulla redistribuzione dei fondi europei. Il bilancio europeo prevede tutta una serie di fondi a sostegno di agricoltura e regioni. In particolare, per quanto riguarda le regioni, il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale è una risorsa molto importante per le aree povere dell’Unione, dove per povere si intende regioni con il 75% o meno del PIL pro capite europeo".

"Nel 2022, il PIL Pro-capita a livello europeo era di 35.220 euro. Nel 2022, prima della guerra, in Ucraina era di 3.817. È vero che il PIL pro capite dei paesi che sono entrati nel 2004 è esploso dopo il loro ingresso nell’Unione, ma recuperare da un’economia di guerra con la necessità di ricostruire infrastrutture produttive e non solo significherà uno sforzo non indifferente da parte delle istituzioni europee e da parte degli Stati membri".

Come si finanzia l'Unione europea?

Ma come vengono finanziate le casse dell'Unione europea? L'analista spiega che sono gli Stati membri a finanziare l’Unione, mandando a Bruxelles lo 0.7 % del PIL, lo 0.3% dei ricavi dell’IVA, insieme ai dazi doganali. "Questo porta a un bilancio di circa mille miliardi di euro da spalmare in sette anni. Accanto a questi fondi, nel post-pandemia l’Unione ha aggiunto quello che in Italia chiamiamo ‘Recovery fund’, 750 miliardi di euro in parte finanziati da bond europei. Queste risorse – che valgono per un settennato – non sono gigantesche, dato che il ministero dell’Economia italiano stimava, per il 2023, spese finali dello stato in 800 miliardi di euro circa", aggiunge Piccinelli Casagrande.

Non si tratta di cifre gigantesche, anzi se comparato con le dimensioni del blocco europeo il bilancio comunitario risulta relativamente piccolo. "Purtroppo, l’Ingresso dell’Ucraina non aiuterà a ingrandirlo significativamente. Prima della guerra, il PIL ucraino era di circa 169 miliardi di euro. In media, quello italiano è di circa 1700 miliardi di euro. Per quanto sia impossibile stimare quanto sarà la spesa per l’Ucraina in termini di fondi europei, è chiaro che nel momento in cui Kiev entrerà nell’UE, Bruxelles si troverà con un Paese che riceverà più di quanto sia in grado di offrire all’Unione e, probabilmente, alcuni Paesi dell'area centro-europea (Polonia in primis) rischieranno di ritrovarsi come contributori netti", spiega ancora l'analista.

I Paesi dell'Ue, quando si parla di bilancio comunitario, si dividono tra contribuenti netti e percettori netti: i primi, che sono le maggiori economie dell'Unione, versano a Bruxelles più di quanto non ricevano attraverso i canali europei, mentre le risorse ricevute dai secondi sono più alte di quelle sborsate.

Un Recovery Fund per l'Ucraina?

"Una delle cose che potrebbe offrire l’Unione nel prossimo bilancio potrebbe essere un fondo simile al Recovery Fund che aiuti l’Ucraina a ricostruire un minimo di infrastruttura economica e sociale. Potrebbe rivelarsi un buon investimento per l’Unione, data la quantità di appalti pubblici che saranno necessari per ricostruire ponti, strade, eccetera. In fondo, una parte dei fondi post-pandemici già ora è finanziata da obbligazioni europee e investimenti infrastrutturali
potrebbero aiutare la stagnante economia europea a crescere", afferma Piccinelli Casagrande.

Che non nasconde però le difficoltà che si presenterebbero. "Già oggi, gli agricoltori polacchi temono la concorrenza agricola ucraina e già ora, il mondo agricolo europeo è sul piede di guerra in quanto (a torto o a ragione) pensa che i vincoli ambientali europei siano troppo pressanti. Detto questo, anche i fondi agricoli rischiano di seguire la stessa dinamica dei fondi regionali, con uno spostamento a est dei fondi, magari a discapito degli agricoltori dell’Europa occidentale", ipotizza l'analista. Per poi precisare: "Se sostenere i produttori di Champagne piuttosto che i produttori di grano ucraini sia una scelta di policy sensata è una scelta che spetterà ai prossimi commissari all’agricoltura. Quello che, però è evidente da questo scenario è che l’Europa così com’è è solo parzialmente pronta ad accogliere un paese come l’Ucraina. E non solo per le dimensioni".

Le incognite sull'allargamento

L'ingresso dell'Ucraina, però, prosegue l'analista, ha una portata simbolica e politica importante. Chiaramente incarna una serie di difficoltà, ma queste potrebbero essere affrontate con delle deroghe ai Trattati e con delle "innovazioni istituzionali" – come già accaduto nell'ultimo allargamento sostanziale – per "ridurre l’influenza degli Stati membri a favore di Commissione europea e Parlamento". Ad esempio, potrebbe essere urgente superare il sistema di voto all'unanimità nel Consiglio Ue, togliendo agli Stati il potere di veto (un potere a causa del quale è stato molto difficile appprovare il pacchetto di aiuto da 50 miliardi per l’Ucraina, in quanto il premier ungherese Viktor Orban si era inizialmente opposto).

"Un'altra area di intervento è la Commissione: gli Stati membri nominano un commissario a testa. Con un allargamento a oltre 30 stati membri è impossibile trovare oltre 30 aree di policy a cui dedicare un ministro europeo. Come tenere insieme l’esigenza di un esecutivo che si comporti sempre più come un governo con la necessità di Paesi piccoli (come i paesi baltici, o, in prospettiva, Moldova e paesi balcanici) di essere rappresentati nelle stanze dei bottoni è una questione che andrà affrontata, prima o poi", evidenzia Piccinelli Casagrande.

I problemi geopolitici

L'analista conclude con una riflessione sull'aspetto geopolitico dell'allargamento: "Un altro punto da risolvere è che l’allargamento all’Ucraina implica allungare significativamente il confine orientale con la Russia. Ammettendo che l’Ucraina riesca a riconquistare Crimea, Lugansk e Donbass, l’Unione Europea si troverà per la prima volta nella sua storia sul fronte di un conflitto o, perlomeno, ai confini di una potenza dichiaratamente ostile. E se anche la Georgia dovesse entrare, l’Unione si troverebbe con un pezzo del suo territorio isolato dal resto".

Ovviamente una situazione di questo tipo obbligherebbe a un ripensamento dell'attività diplomatica dell'Ue: "Questo significa dover ripensare l’attività diplomatica dell’Unione e dotarla di un dispositivo militare che funzioni. Su come farlo, le idee sono poche e confuse. Per ora, il servizio diplomatico dell’UE è affidato a un’agenzia (EEAS), neanche a un direttorato generale, come accade per la politica agricola europea. Lo stesso rappresentante per la politica estera è
formalmente un vicepresidente della Commissione, ma non ha lo stesso ruolo di un membro del collegio", afferma l'analista.

Che, infine, conclude: "Una riforma che renda la politica estera europea più solida e che le dia un elemento di deterrenza diventa un’esigenza sempre più urgente, anche se implica un’ulteriore cessione di sovranità da parte degli stati membri. Sempre che il processo di allargamento si concluda entro la legislatura entrante e che non intervengano imprevisiti o nuove crisi".

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