
Qualche giorno fa vi avevo raccontato della polemica più surreale dell’anno, ovvero la levata di scudi generale contro il Consiglio d’Europa (che aveva coinvolto addirittura il presidente della Repubblica Sergio Mattarella) per un report pubblicato sette mesi prima e per un pacato invito ad aprire un’indagine per valutare l’eventuale utilizzo di pratiche di profilazione razziale da parte delle nostre forze dell’ordine. In tutta sincerità, non mi sarei aspettato che, a distanza di pochissimo, l’intero sistema informativo, tutto l’arco politico e l’opinione pubblica si impegnassero in una discussione ancor più surreale.
Mi riferisco alla vicenda degli insulti, o meglio, degli auguri di morte, del professore campano alla figlia di Giorgia Meloni. Nel merito, una roba indecente e indegna, credo ci siano pochissimi dubbi, anzi non ce ne sono affatto. Ma davvero una notizia da prima pagina per giorni e giorni? Senza sminuire la gravità e la pesantezza di parole che non dovrebbero mai essere scritte o pronunciate, forse sarebbe il caso di riflettere sulla misura e sulla portata di una polemica del genere.
Parliamo di un commento su un social di un emerito sconosciuto, evidentemente senza alcuna possibilità di nuocere e chiaramente senza alcun seguito specifico. Una frase scovata e rilanciata dai profili ufficiali di Fratelli d'Italia, con un vero e proprio bombardamento di centinaia di retweet e post, che poi è stato ripreso da tutti i media del Paese. Fino a renderla una delle principali notizie del momento. Parliamo pur sempre di un insulto di quello che un tempo avremmo definito “un signor nessuno”, ora tecnicamente un “hater”, o anche un “leone da tastiera” (colleghi improvvisatisi detective ci fanno sapere che in passato aveva insultato anche i parenti di Tajani e Salvini). Roba che capita piuttosto frequentemente a un personaggio pubblico qualsiasi, in una giornata qualsiasi, per un motivo qualsiasi.
Ora, la presidente del Consiglio ha ricevuto la solidarietà di tutto l’arco parlamentare e di decine di migliaia di cittadini. Ci sta. In televisione e sui giornali abbiamo ascoltato e letto discussioni sull’odio in rete, come sempre con l’originalità della sveglia mattutina dei vostri cellulari. I media della destra stanno letteralmente debordando con attacchi alla “sinistra”, a chi determina il “clima di odio”, ai “cattivi maestri” che soffiano sul fuoco. Un po’ tutti chiedono provvedimenti esemplari, interventi durissimi. Che qualcuno faccia qualcosa, insomma.
Nel frattempo, dopo essersi scusato, aver goffamente tentato di dare la colpa all'intelligenza artificiale, aver tentato di inviare una lettera di scuse a Meloni, il professore campano ha tentato il suicidio, ingerendo pillole e alcool e finendo in codice rosso. Una persona in grande confusione, evidentemente, finito al centro di un vortice molto più grande di lui e, possiamo dirlo con una buona dose di certezza, delle sue stesse intenzioni.
Del resto, solo nelle ultime 24 ore, questi sono alcuni dei titoli di pezzi che i giornali gli hanno dedicato:
- “Frustrazioni e paranoie portano alla violenza” (Corriere della Sera)
- Meloni e le minacce via social: una spirale d’odio senza limiti (Corriere)
- Quando le dissero: finirai come Benito (Corriere)
- Dalle bestie dei partiti agli analfabeti digitali: nella Rete cresce la violenza (Repubblica)
- Il cattivo maestro senza argomenti dà la colpa all’AI (Il Messaggero)
- Chi finge di non vedere (Il Giornale, questo è un piccolo capolavoro, in pratica è un attacco a Fatto e Domani, colpevoli di aver dato poco spazio alla vicenda)
- L’opinione resti libera (Il Giornale)
- Da Raimo a Gozzini, quei docenti pubblici che insegnano l’odio (Il Giornale)
- Crescono i dubbi sulla gravità del gesto (Il Giornale, subito dopo la notizia del tentato suicidio)
- La malattia dell’odio ostentata con orgoglio (Libero)
- Un professore così cosa può insegnare ai ragazzi in classe? (Libero)
- E se finisse il Parlamento il prof che vuole morta la figlia del premier (Libero)
- Condannare non basta, via l’odio dalla politica (Il Mattino)
- Nel paese di Cetto Laviolenza (ll Tempo)
- Il Nero dei social e i troppi animali da tastiera (Il Tempo)
È chiaro che ci sia qualcosa di molto sbagliato in questo modo di affrontare la vicenda. Usare le parole, per quanto esecrabili, di un singolo cittadino per avviare un *qualunque* dibattito sarebbe sbagliato a prescindere. Figuriamoci se il campo è quello dell'espressione del pensiero in Rete, dell'educazione civico-digitale e del rapporto tra cittadini e politica. Forse, dico forse, sarebbe ora di chiedere ai nostri politici un surplus di moderazione e serietà. Che passa anche per un uso più responsabile degli account social istituzionali, che sembrano sempre in campagna elettorale continua.
È sempre stato lampante che il post del professore campano non rappresentasse una minaccia per nessuno. Meloni, come chiunque altro abbia a che fare con simile violenza verbale, ha tutto il diritto di incazzarsi, di rivolgersi alle sedi competenti e di ottenere l'immediata cancellazione di parole inopportune e inoffensive. Molti e molte lo hanno fatto in questi anni, legittimamente. L'irrilevanza o quasi del soggetto in questione (che comunque è un insegnante e dunque con una grande responsabilità) non cancella la responsabilità, siamo d'accordo. Ma il contesto conta, sempre. E, forse, sarebbe stata necessaria una riflessione in più, prima di scatenare l'apocalisse per un commento di un utente X su un social Y, senza alcun seguito, alcuna valenza, alcuna reale pericolosità.
Non sto dicendo che qualunque espressione del pensiero è innocua in sé. Abbiamo ampia letteratura sul peso delle parole e sulle dinamiche di diffusione e amplificazione dell'odio online e non solo. Politici e relativi staff non ne sono immuni, ce lo ricorda proprio il tanto vituperato Consiglio d'Europa, con raccomandazioni che Fdi e soci dovrebbero ripassare. Ricordiamo Salvini da un palco, mentre paragona una bambola gonfiabile a Laura Boldrini, tra le urla e gli insulti della folla. A cadenza regolare collezioniamo gli attacchi di Fratelli d'Italia a uno scrittore sotto scorta da anni perché inviso alla camorra. Abbiamo una casistica sterminata di esponenti delle istituzioni e del giornalismo presi e, soprattutto, prese di mira sui social con insulti omofobi o sessisti. Certo, seppur chi si indigna ora spesso soffre di vuoti di memoria a breve termine, ciò non cancella l'urgenza di una riflessione, che coinvolge tutti. Perché la società dell'odio, dell'insulto, del bullismo e dell'arroganza, è il prodotto di un lungo percorso di destrutturazione culturale e impoverimento educativo, che non avrebbe senso scoprire soltanto adesso. Assistiamo da tempo a un dibattito pubblico in cui non esiste più alcun tipo di carità interpretativa, né spazio per riflessioni di senso che non prevedano risposte semplici e immediate, o, meglio ancora, colpevoli su cui scaricare le nostre frustrazioni. Persone che finiscono con il diventare e rimanere per sempre la cosa peggiore che abbiano fatto. Un meccanismo cui sembriamo essere assuefatti un po' tutti.
Ma la responsabilità del ruolo comporta anche la responsabilità delle scelte. E viene davvero da chiedersi a chi giovi scegliere di giocare sempre la carta vittimista, estremizzando e assolutizzando fino a scatenare crociate, agitare lo spettro di punizioni esemplari, senza alcuna continenza, misura, ragionamento. O se sia corretto usare per altri fini gli stessi metodi che poi si intende denunciare.
Non è tanto capire se la risposta all'odio sia la gogna pubblica dell'odiatore, quanto piuttosto interrogarsi sul senso di una comunicazione che cerca di costruire un "sentiment positivo" quasi solo esclusivamente a partire dal contrasto, dall'alterità. Un approccio che non conosce altra strada se non quello del conflitto, della polarizzazione, dello scontro. Che passa sopra a tutto, esistenze comprese, per un briciolo di consenso in più, incurante delle conseguenze.
Ecco, c'è qualcosa di profondamente sbagliato in questo modo di intendere la politica e il semplice partecipare alla vita sociale. Manca una vera contro-narrazione, che capovolga il paradigma dell'odio. E si sente eccome.
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