Camusso (Pd): “Governo allergico agli scioperi, non sopportano chi non la pensa come loro”

Intervistata da Fanpage.it la senatrice Pd ed ex segretaria Cgil, Susanna Camusso, ha commentato l’approccio del governo nei confronti di chi sciopera e elencato le principali criticità della manovra 2026. Dai salari ai continui interventi spot, fino alla mancata previsione di un sistema fiscale progressivo ed equo, secondo cui “chi ha di più paga di più”.
Intervista a Susanna Camusso
Senatrice del Partito democratico, ex segretaria generale della Cgil
A cura di Giulia Casula
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"Questo è un governo allegro agli scioperi. Non sopportano le critiche", dice a Fanpage.it la senatrice Pd, Susanna Camusso. Tra le critiche ci sono quelle che riguardano la manovra e che arrivano dalla Cgil, che per oggi ha indetto uno sciopero generale (già contestato, come da tradizione ormai, dal ministro Salvini). Anche Camusso – che fino al 2019 ha guidato l'organizzazione sindacale – ritiene che la legge di bilancio non abbia fatto nulla per i salari. E così  "aumentano i lavoratori poveri – ci spiega – persone che pur essendo occupate non hanno le condizioni per vivere in modo autosufficiente e dignitoso". Intanto il governo "continua a far finta che vada tutto bene", tra "misure spot e bonus che non risolvono i problemi strutturali di questo Paese", insiste.

Partiamo da delle sue dichiarazioni. Lei detto che questo governo è allergico alle critiche e vuole aggredire il diritto allo sciopero. Ricordo a questo proposito, l'emendamento di FdI per limitare gli scioperi nei trasporti. È stato ritirato ma la maggioranza intende ripresentarlo. Cosa ne pensa? 

Io continuo a pensare che sono assolutamente allergici all'idea che le organizzazioni sindacali abbiano una loro voce e presenza perché non sopportano la critica. Non sopportano il fatto che ci possono essere ipotesi diverse da quelle che fanno loro. Siccome ovviamente una delle forme più importanti e visibili è quella dello sciopero, c'è un'aggressione sistematica a questo diritto con toni e modi che non fanno parte del linguaggio istituzionale. Un soggetto che governa dovrebbe avere attenzione e interlocuzione. Invece come è assolutamente evidente, al di là delle critiche e dei tanti annunci che vengono fatti, non c'è nessuna relazione con le organizzazioni sindacali e con le associazioni di impresa, se non quando sono certi che è a loro favore.

A questo proposito, la Cgil ha proclamato per il 12 dicembre uno sciopero generale contro la legge di bilancio ritenuta ingiusta e sbagliata. Anche secondo lei questa manovra non ha messo nulla sui salari? 

Direi che ha messo meno del minimo sindacale. Hanno fatto un timidissimo tentativo, molto limitato, per dire che una piccolissima quota delle retribuzioni avranno una tassazione differente nel 2026. Ma il punto non è l'ennesima soluzione tampone, che vale per l'anno della finanziaria. Non è una manovra strutturale di cambiamento della tassazione per i lavoratori. Ci sono dei problemi: uno, se tu fai delle manovre temporanee queste durano il tempo che durano e poi l'effetto sarà un ulteriore indebolimento dei salari; secondo, che i lavoratori sono già coloro che hanno la pressione fiscale più alta quindi non si capisce perché fare manovre spot. La terza è che c'è un problema strutturale sui salari: c'è una quota consistente di lavoratori, che purtroppo cresce, che vengono definiti poveri. Lavoratori che pur essendo occupati non hanno le condizioni per vivere in modo autosufficiente e dignitoso. Questo governo continua a rifiutare il salario minimo, ha aumentato i contratti delle istituzioni e del lavoratori pubblici, tutti sotto i tassi di inflazione. Tutti gli organismi internazionali continuano a dirci che noi abbiamo una perdita nei salari del nostro Paese.

Tra gli emendamenti segnalati ce n’è uno a sua firma che interviene nei casi – piuttosto frequenti – di scadenza dei rinnovi dei contratti collettivi nazionali. Cosa propone?

Prevede che ci sia una certezza di aumento delle retribuzioni nel momento in cui i contratti sono scaduti e lo utilizza come leva per favorire il fatto che ci sia un interesse dei lavoratori, oltre che delle imprese, a rinnovare i contratti. Uno dei problemi che abbiamo rispetto alla riduzione effettiva del potere d'acquisto delle persone, e quindi dei salari, è anche che ci sono categorie che non riescono mai a rinnovare i contratti in tempi ragionevoli, che li rinnovano dopo dieci anni o che ancora aspettano. Tuttora c'è una quota molto consistente di lavoratori dipendenti, oltre 5 milioni, che non ha avuto il rinnovo contrattuale. È un modo per incentivare i rinnovi dei contratti in tempi utili, rispettando l'autonomia delle parti e i modelli contrattuali.

Parliamo di gender pay gap. In Italia il divario di retribuzione tra uomini e donne è tra i più alti in Europa. Lei ha presentato anche un emendamento su questo. Come bisognerebbe intervenire? 

Bisognerebbe intervenire smettendo di far finta che va tutto bene, innanzitutto. Riconoscendo che continua a esserci un pregiudizio rispetto al lavoro delle donne, che si manifesta attraverso il fatto che sono pagate meno, che hanno meno percorsi di carriera, che hanno troppo spesso part time involontari, che non gli viene riconosciuto un "normale" percorso lavorativo. La prima cosa che bisognerebbe fare è quella di portare in evidenza e poi sanare, il fatto che continuano a esserci differenze retributive che non hanno nessuna ragion d'essere. A parità di inquadramento e di mansioni bisognerebbe avere la stessa retribuzione. L'obiettivo è disincentivare questi comportamenti perché formalmente non è possibile nel nostro Paese. I contratti e la legge prevedono la parità retributiva, ma se poi c'è un gender gap vuol dire che evidentemente si usano modalità e sotterfugi che permettono di costruirla. Il mio emendamento prevede che l'azienda che continua ad avere un alto differenziale tra donne e uomini nella retribuzione non possa accedere alle forme di finanziamento e di incentivo pubbliche. Almeno evitiamo che il Governo favorisca aziende che hanno queste politiche.

Spostiamoci sulla famiglia. In Aula la ministra Roccella ha vantato gli interventi dell’esecutivo, quantificati in 6 miliardi di euro tra sostegni economici indiretti e misure a carattere permanente. Eppure anche quest’anno abbiamo sentito parlare tanto di bonus. È così?

Sono sempre e solo misure del genere. L'unico intervento strutturale che va riconosciuto a Roccella è quello di aver aumentato e consolidato le risorse per i centri antiviolenza. Tutto il resto sono interventi spot. "Mettiamo un bonus qui, uno di là, lo facciamo per un periodo, scegliamo con criteri che sono molto discutibili… ". Penso per esempio al bonus che riguarda le lavoratrici che hanno almeno tre figli, in un Paese come il nostro, in cui ci si licenzia al primo, in qualche caso al secondo. Bisognerebbe intervenire non con dei soldi una tantum ma con la possibilità di offrire delle condizioni per continuare ad avere un lavoro anche a chi ha scelto giustamente di essere madre. Come si interviene? Con la flessibilità. Anche qui ho presentato un emendamento proponendo che di fronte alle dimissioni volontarie, che sono molto spesso quelle di lavoratrici che a fronte della prima maternità non riescono più a tenere insieme i tempi di vita e di lavoro, ci siano delle procedure che portino alla definizione di forme di flessibilità come orari ridotti o temporanei. La politica dei bonus risolve le cose per un breve periodo ma non risolve il nodo strutturale, cioè che tutto il lavoro di cura ricade esclusivamente sulle lavoratrici e che non c'è una politica di strumenti flessibili che permetta alle lavoratrici di adeguare i loro tempi di lavoro.

Un’ultima cosa. Anche quest’anno si è parlato di patrimoniale. Landini ha proposto un prelievo dell’1% sui patrimoni da 2 milioni mentre Schlein pensa più a un meccanismo europeo. Lei condivide la proposta di Landini? Perché la sinistra non riesce a compattarsi su una proposta che peraltro – sondaggi alla mano – vedrebbe d'accordo la quasi maggioranza degli italiani?

Penso che in questo Paese c'è stata una lunghissima ventata ideologica in cui sembrava che qualunque problema fosse risolto dicendo: "Paghiamo meno tasse". Una ventata che oggi paghiamo perché senza risorse un Paese taglia sui servizi, taglia sulla sanità, tutte cose che abbiamo di fronte ogni giorno. Quello che sta succedendo è che sui redditi medio-bassi c'è una pressione fiscale più alta che sui redditi alti perché si è tradito il mandato costituzionale che dice che la tassazione deve essere progressiva, cioè più hai più paghi e meno hai meno paghi. Col tempo si sono introdotte altre forme, che io definisco "corporative", per cui a seconda delle aziende o dei settori si applicano condizioni fiscali differenti. Questo fa venir meno il principio di giustizia ed equità, perché un lavoratore dipendente e un autonomo non hanno più la stessa condizione fiscale. Occorre spostare la tassazione sui patrimoni e sulle ricchezze, su ciò che non è frutto del lavoro immediato delle persone. Il nostro Paese dovrebbe avere una significativa progressività fiscale, una struttura equa e giusta per tutti. Però siamo in una condizione in cui mettere mano effettivamente a un sistema fiscale è difficile. Con questo governo la riforma fiscale ha tradito le sue iniziali aspettative. Quindi io credo che sia assolutamente giusto e necessario chiedere un contributo straordinario, se non una patrimoniale. E ed è giusto anche richiamarsi all'Europa sapendo però che noi siamo uno dei pochi Paesi che ancora non ha una patrimoniale. È giusto fare un ragionamento perché non si determini uno spostamento di ricchezza da un Paese a un altro, ma non con l'atteggiamento di chi lo racconta al resto d'Europa perché il resto d'Europa lo ha già fatto.

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