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Asgi spiega perché i Cpr non sono la soluzione, ma parte del problema: “Criminalizzano le migrazioni”

“I Cpr non sono la soluzione, ma parte del problema. I migranti rimpatriati sono sempre meno del 50% di quelli che finiscono nei Cpr. Quindi il trattenimento fino a 18 mesi non significa altro che mettere una persona in un centro di detenzione amministrativa per un anno e mezzo della sua vita, con tutte le ricadute sul piano fisico e psichico che questo comporta”: lo dice a Fanpage.it Lorenzo Figoni, socio dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione.
A cura di Annalisa Girardi
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Trattenere e rimpatriare: è questa la ricetta che Giorgia Meloni vuole portare avanti per gestire i flussi migratori verso il nostro Paese. E infatti il Consiglio dei ministri, attraverso un emendamento al decreto Sud, ha annunciato la costruzione di nuovi Centri per il rimpatrio – i cosiddetti Cpr – in appalto alla Difesa, in cui chi entra irregolarmente in Italia potrà essere tenuto fino a 18 mesi.

Un piano, quello del governo, che sta ricevendo le critiche da parte dell'opposizione e di tante associazioni e organizzazioni che si occupano dei diritti delle persone migranti. Le condizioni di vita all'interno dei Cpr sono state infatti ampiamente documentate negli ultimi anni: terribili condizioni igieniche, episodi di violenza per il mantenimento dell'ordine, massiccio uso di psicofarmaci per sedare le persone detenute all'interno, assenza di sostegno psicologico e di assistenza giuridica. Le persone vengono detenute in questi luoghi senza sapere dove finiranno e che cosa ne sarà di loro. In queste situazioni, purtroppo, non mancano episodi di autolesionismo e suicidi.

I numeri sui rimpatri

E ora il governo vuole allungare i tempi massimi di permanenza all'interno di un Cpr. "Al momento i termini massimi di trattenimento sono di 90 giorni, più 45 per le persone che arrivano da Paesi che hanno accordi di rimpatrio con l'Italia. E proprio questo è il discrimine", spiega a Fanpage.it Lorenzo Figoni, socio di Asgi (l'Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione) sottolineando come l'assenza di accordi con i Paesi di origine renda molto spesso impossibile rimpatriare le persone migranti. Rendendo, di fatto, ulteriormente inefficaci i Cpr.

I numeri degli ultimi anni lo hanno ampiamente dimostrato. In una relazione del giugno 2022 della Corte dei Conti si legge che tra il 2018 e il 2021 sono stati emessi 107.368 provvedimenti di espulsione, ma solo 21.366 persone sono effettivamente rientrate nel loro Paese, con rimpatrio volontario o forzato.

Insomma rimpatriare chi entra irregolarmente in Italia non è semplicissimo, anzi. Alla luce di questi dai il piano del governo sembrerebbe più quello di trattenere nei Cpr i migranti e guadagnare del tempo, non avendo effettivamente una soluzione a portata di mano per poterli espellere dal territorio. "Questo succede dal 1998 ad oggi, i tempi di trattenimento cambiano sempre, di governo in governo. Il massimo è già stato di 18 mesi in passato, anche se in realtà il tasso di rimpatri è sempre stato più o meno lo stesso. Le persone rimpatriate sono sempre meno del 50% di quelle che passano per i Cpr. Quindi il trattenimento fino a 18 mesi non significa altro che mettere una persona in un centro di detenzione amministrativa per un anno e mezzo della sua vita, con tutte le ricadute sul piano fisico e psichico che questo comporta", spiega Figoni.

Chi gestisce i Cpr

E poi aggiunge: "Si parla di centri in cui le criticità sono fortissime, non viene effettivamente garantito il diritto alla salute. La quotidianità dei Cpr è preoccupante, tenere una persona per un anno e mezzo in quelle condizioni non avrà altra conseguenza se non quella delle ripercussioni sul piano fisico e psichico, arricchendo solo quelle società e multinazionali che gestiscono questi centri".

I Cpr sono generalmente gestiti da enti privati, perlopiù da multinazionali che spesso operano in settori che non hanno nulla a che vedere con l‘accoglienza. "I Cpr non sono la soluzione, sono il problema – ribadisce Figoni – Il fatto che non sia una soluzione lo dimostrano le condizioni di questi centri, che non sono cambiate negli ultimi 25 anni".

Isolare e sorvegliare

Il piano del governo è quello di costruire nuovi Cpr in zone precise, isolate dalla collettività e facilmente sorvegliabili, il che non farà che acuire il processo di ghettizzazione delle persone che vi finiscono all'interno. Nel comunicato di Palazzo Chigi si precisa:

Si prevede l’approvazione, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della difesa, di un piano per la costruzione, da parte del Genio militare, di ulteriori C.p.r., da realizzare in zone scarsamente popolate e facilmente sorvegliabili.

"Il Cpr di Palazzo San Gervasio si trova in campagna, lontano da tutto e da tutti", cita Figoni come esempio. Spiegando che al termine del limite massimo di permanenza gli "ospiti" vengono semplicemente rilasciati nel territorio circostante: "Una volta che le persone – come normalmente accade per più della metà – non vengono rimpatriate, vengono rilasciate sul territorio e si trovano totalmente sperdute senza avere poi una presa in carico degna da parte del sistema. Tutto questo dopo aver passato un anno e mezzo della loro vita in un Cpr. Le conseguenze che avrà questa norma saranno molto pesanti, ed è preoccupante".

Cosa succede a chi esce dal Cpr

In realtà chi viene rilasciato finisce spesso per essere ricondotto nel centro dopo qualche tempo. "Le persone vengono rilasciate con un foglio di Via secondo cui dovrebbero allontanarsi dal territorio in sette giorni. Quello che spesso accade è che ci si ritrovi a fare più giri del Cpr. È un circolo vizioso, le persone vengono ripescate dalla polizia sul territorio e rimandate all'interno dei Cpr. Il termine di un anno e mezzo in questo senso rischia anche di essere relativo", sottolinea Figoni.

Precisando che sono pratiche legittimate dalla stessa normativa europea, per cui difficilmente contrastabili: "Il trattenimento è previsto dalla normativa europea e si sta andando sempre più in quella direzione. Anche a livello europeo si vogliono aprire più hotspot e incrementare l'utilizzo della detenzione".

Un centro in ogni Regione

Insomma, i Cpr sembrano destinati a essere sempre più diffusi, nonostante le numerose denunce e i dati che dimostrano come questi non siano una soluzione. Il progetto di costruire un Cpr per ogni Regione, comunque, non è nuovo: "Aveva tentato di farlo già Marco Minniti quando era ministro dell'Interno e questo è stato praticamente riproposto in ogni governo dopo", ricorda Figoni. Per poi concludere: "I Cpr contribuiranno solo a criminalizzare ulteriormente l'immigrazione, nutrendo una propaganda fatta sulla pelle delle persone".

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