Anche elettori Pd hanno votato No al quesito sulla cittadinanza: l’analisi del voto dell’Ist. Cattaneo

Quando si è aperta la campagna per i referendum abrogativi del 2025, quattro quesiti sul lavoro promossi dalla Cgil e uno sulla cittadinanza promosso da +Europa, era già chiaro che l'obiettivo del quorum sarebbe stato estremamente difficile da raggiungere. I dati storici sul calo della partecipazione referendaria, già emersi con forza dagli anni Duemila, lasciavano pochi dubbi sulla sorte formale della consultazione. Per le forze politiche sostenitrici del "Sì", però, l'appuntamento referendario ha assunto un significato anche politico: misurare la propria capacità di mobilitazione. Non si è trattato, quindi, solo di un voto di merito sui quesiti, ma di un banco di prova per il "campo largo", Pd, M5S, Avs e altre formazioni progressiste, che, pur non presentandosi come alleanza elettorale, ha trovato comunque una convergenza di fatto sulla consultazione. A complicare il quadro, il fatto che quattro dei cinque quesiti abrogassero norme approvate da governi di centrosinistra, rendendo il referendum anche uno strumento per segnare una cesura netta con scelte legislative del recente passato.
A partire dai risultati, l'Istituto Cattaneo ha analizzato affluenza e flussi elettorali, mettendo a confronto il voto referendario con le più recenti tornate politiche.
I dati sull'affluenza ai Referendum 2025, un confronto storico necessario
L'affluenza al voto si è attestata al 30,6% degli aventi diritto residenti in Italia (29,9% considerando anche il voto estero). Un dato che, preso isolatamente, può sembrare basso, ma che va storicizzato: dal 2000 in poi, con l'eccezione dei referendum sul nucleare e sull’acqua pubblica del 2011, nessuna consultazione referendaria ha infatti raggiunto il quorum. A confronto, la media di partecipazione alle consultazioni referendarie dopo il 2000 si attesta al 34,7% (includendo il 2011) e al 27,3% escludendolo. Il dato del 2025 si colloca quindi nel mezzo: superiore quindi a quello del 2005 (26,0%) e del 2009 (23,7%), ma inferiore a quello del referendum sulle trivelle del 2016 (31,2%). Cosa significa? Significa che la partecipazione non può essere letta come un crollo, ma nemmeno come un successo della mobilitazione promossa dal "Sì". È il segno, piuttosto, di un quadro consolidato di affaticamento partecipativo verso strumenti di democrazia diretta come il referendum abrogativo.
Il confronto con le elezioni europee
Per valutare l'impatto politico del referendum, l"Istituto Cattaneo propone poi un confronto con le elezioni europee del 2024, considerate consultazioni di "secondo ordine" e quindi più assimilabili ai referendum per livello di partecipazione e coinvolgimento emotivo. Dal raffronto emerge che, sul quesito relativo al reintegro dopo licenziamento illegittimo (referendum 1), i voti favorevoli hanno superato, in termini assoluti, quelli raccolti dai partiti del "campo largo" sia alle europee del 2024 che alle politiche del 2022. Questo dato suggerisce quindi una mobilitazione efficace su quel tema, almeno nelle grandi aree urbane. Ben diverso, invece, il risultato sul referendum sulla cittadinanza (referendum 5): qui il numero dei voti favorevoli è stato inferiore a tutte le principali basi elettorali di riferimento. Un segnale di scarso radicamento del tema nel sentire dell'elettorato, ma anche di una rottura nella coesione del "campo largo" su questo specifico quesito.
Frattura nel Pd: parte dell'elettorato ha votato No sulla cittadinanza
Sebbene il Partito Democratico abbia infatti ufficialmente sostenuto il Sì al referendum sulla cittadinanza promosso da +Europa, i dati analizzati dall'Istituto Cattaneo rivelano una significativa dissonanza interna: tra il 15% e il 20% degli elettori del Pd ha infatti scelto di votare No, segnando una frattura tra la linea del partito e una parte della sua base. Questo scarto rifletterebbe una difficoltà a tenere unita l'area progressista su temi identitari e confermerebbe poi anche la presenza di sensibilità ancora diverse all'interno dell'elettorato democratico.
La geografia del voto: i grandi centri trainano il "Sì"
L'analisi territoriale dei dati mostra un elemento chiave: la partecipazione è stata significativamente più alta nei grandi centri urbani rispetto ai comuni minori. Nei comuni con oltre 350mila abitanti, l'affluenza è stata infatti di circa 7 punti percentuali superiore rispetto alla media nazionale, e addirittura di 10 punti rispetto ai comuni sotto i 15mla abitanti. Questo divario è spiegabile con la maggiore concentrazione di elettorato progressista nei contesti metropolitani, unita alla più marcata astensione tra gli elettori del centrodestra, soprattutto nei centri più piccoli. È importante però osservare che questa partecipazione urbana non si è tradotta in un'espansione uniforme del consenso: mentre sul tema del lavoro il "campo largo" sembra aver raggiunto elettori al di fuori della propria base, sulla cittadinanza si è verificata una contrazione, soprattutto nei comuni minori.
Chi ha votato cosa: flussi elettorali e disallineamenti
I flussi stimati su dati comunali, secondo le elaborazioni del Cattaneo, mostrano con chiarezza alcune tendenze: per prima cosa l'elettorato del centrodestra ha in larga parte disertato le urne. I votanti di Pd, M5S e Avs si sono invece mobilitati in modo massiccio, soprattutto sul primo quesito (lavoro), con tassi di astensione prossimi allo zero. Diverso poi il comportamento dell'area liberal-riformista (Azione, Italia Viva, +Europa): la partecipazione è stata più bassa, come se questi elettori percepissero il referendum come una battaglia altrui, da osservare con distacco. Non solo, mentre molti di loro si sono espressi per il No sul lavoro, hanno votato Sì sulla cittadinanza.Il dato più sorprendente arriva dal Movimento 5 Stelle: molto compatto sul lavoro, ma frammentato sulla cittadinanza, con una chiara prevalenza del No al Nord. Una tendenza confermata anche da una quota significativa, tra il 15% e il 20%, di elettori Pd che, sul quinto quesito, hanno votato in dissenso rispetto alla posizione ufficiale del partito.
I referendum del 2025, secondo l'Ist. Cattaneo, non avrebbero dunque cambiato gli equilibri politici del Paese, ma avrebbero fornito agli osservatori un'importante lente di ingrandimento per leggere tensioni, convergenze e disallineamenti anche dentro l'opposizione. E, forse, anche per capire quanto ancora pesino i contesti, urbani o periferici, sociali o culturali, nel determinare le scelte di voto.