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Alluvioni Emilia-Romagna, Delrio a Fanpage: “Questi eventi continueranno, problema è nostro modello di sviluppo”

Intervista a Graziano Delrio, senatore del Partito democratico ed ex ministro delle Infrastrutture, che lavorò nel 2014 a un piano di prevenzione dei dissesti idrogeologici in Italia. Dopo le alluvioni in Emilia-Romagna bisogna tornare a pianificare sul lungo periodo, anche perché il cambiamento climatico non si fermerà.
A cura di Luca Pons
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Negli ultimi giorni l'Emilia-Romagna è stata colpita da una violenta alluvione, che ha portato all'esondazione di diversi fiumi, con danni ancora non quantificati e undici vittime registrate finora. Non è il primo evento climatico intenso che colpisce l'Italia, e dopo ogni alluvione si torna a parlare di prevenzione. Nel 2014, il governo Renzi varò un piano di prevenzione per il dissesto idrogeologico: Graziano Delrio, senatore del Pd ed ex ministro delle Infrastrutture che contribuì a mettere a punto quel piano, ha risposto alle domande di Fanpage.it per fare un punto della situazione oggi.

In questi giorni l'Emilia-Romagna è alle prese con le alluvioni, tutti si sono mobilitati per rispondere all'emergenza. C'è bisogno di cambiare paradigma, e concentrarsi di più sulla prevenzione?

L'Italia ha bisogno di piani di lungo periodo, perché è un Paese estremamente fragile. Ci sono più di dieci milioni di persone in zone a rischio alluvione, non si possono di volta in volta improvvisare delle risposte emergenziali. Spendiamo cinque miliardi di euro all'anno per i danni di alluvioni: se spendessimo la stessa cifra in prevenzione, in pochi anni riusciremmo a non piangere più dei morti e dei disastri come quello che sta subendo la mia Regione. Per questo, nel 2014-2015, con il governo di allora, mettemmo in campo una serie di interventi contro il dissesto idrogeologico, sia di urgenza che di lungo periodo.

Negli anni gli interventi previsti sono stati attuati o si è cambiato direzione?

Purtroppo il progetto di Casa Italia fu smontato nel 2018 dal primo governo Conte, e questo ha determinato un rallentamento di tutti gli interventi.

Fu un errore della maggioranza di allora, Lega e Movimento 5 stelle?

Secondo noi fu un grandissimo errore, contestammo quella decisione in Aula con forza. Il governo negò che esistesse un piano nazionale di prevenzione, mentre invece era stato un lavoro lungo mesi con Regioni e Province, e tutti si erano impegnati a continuare l'opera. In Italia bisognerebbe evitare che ogni cosa venga smontata dai governi successivi. Detto questo, il punto adesso non è guardare indietro con le polemiche, ma avanti. La Regione e la Protezione civile stanno facendo un ottimo lavoro. Ma allo stesso tempo non bisogna chiudere gli occhi davanti alle soluzioni che sono necessarie.

Cosa servirebbe oggi?

Un coordinamento da Palazzo Chigi, per riprendere questo piano. Se no i piani restano carte negli scaffali, e ogni ministro prova a fare bella figura annunciando sblocchi di opere che dopo una settimana nessuno si ricorda più. Il Senato ha anche approvato un ordine del giorno su questo: serve che la presidente del Consiglio coordini i ministeri, e metta in atto un piano di prevenzione contro il dissesto idrogeologico – così come un piano di prevenzione dei terremoti. Il piano del 2014 permise di mettere in sicurezza vari fiumi, come il Seveso, l'Arno, il Bisagno.

Bisognerebbe tornare al vostro piano del 2014, quindi?

Quello era un progetto di lungo periodo. Poi certo, oggi si può migliorare. Non dobbiamo santificare una cosa perché è fatta da noi, assolutamente. Però è ancora molto valido il metodo: concordare con gli enti locali e dare priorità agli interventi più urgenti per la sicurezza delle città. Ad esempio quelli sui fiumi che sono stati tombati e rischiano costantemente di diventare bombe d'acqua, individuare le zone più a rischio alluvione e allestire dei piani…

E come bisognerebbe migliorarlo?

Il clima è cambiato negli ultimi dieci anni. Ad esempio, servirebbe un nuovo piano per i mini e piccoli invasi – così dicono gli ingegneri idraulici – per raccogliere l'acqua quando c'è, mettendola a disposizione poi per l'agricoltura nei periodi caldi. Un piano che consenta all'Italia di affrontare il cambiamento climatico e i suoi effetti: grandi piogge in poco tempo e periodi di siccità.

A proposito: come si può rispondere a chi sostiene che le piogge delle ultime settimane abbiano il risolto il problema della siccità?

È stupido pensare che queste piogge dimostrino il contrario del surriscaldamento globale. Anzi, sono esattamente conseguenza del surriscaldamento globale. Purtroppo sono due facce della stessa medaglia. Da una parte lunghi periodi di siccità, dall'altra forti piogge e violenti temporali: abbiamo avuto in Emilia Romagna due eventi eccezionali di fortissima intensità nell'arco di quindici giorni, ma tutta la zona adriatica è stata colpita negli ultimi mesi, anche a Senigallia fu un disastro. Questi eventi sono frutto della tropicalizzazione del clima, l'aria calda arriva dal Sahara… È chiaro che la risposta vera è l'impegno contro il surriscaldamento, e questa è la direzione dell'Europa. Ma bisogna anche rendere la siccità e le precipitazioni più gestibili. Perché questi eventi continueranno. Bisogna spostare l'attenzione sulla prevenzione.

Sembra che dopo ogni alluvione si parli di prevenzione, ma le cose non cambino poi in modo radicale. Nel 2021, sempre a Fanpage, lei disse che è il nostro modello di sviluppo che deve cambiare. Lo pensa ancora?

Il nostro modello di sviluppo ha impermeabilizzato il suolo, ha fatto tombare i fiumi. Lo stesso modello di sviluppo, fondamentalmente, ha reso il clima così com'è oggi. Io continuo a insistere: è su questo che bisogna cambiare direzione. Senza trovare scuse.

L'attuale ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, ha dichiarato che uno dei problemi sono i "troppi ‘No' che hanno bloccato il Paese a tutti i livelli", anche sulla pulizia di fiumi e dighe. È una scusa?

È un errore pensare che siano le regole, o i cosiddetti ‘no', a bloccare i lavori. Non esistono ostacoli burocratici alla pulizia dei letti dei fiumi o delle dighe. Non esistono. Le lentezze burocratiche sono state ampiamente superate, oggi su questi temi la burocrazia in Italia non è peggio che altrove. I ricorsi al Tar non sono più come dieci anni fa, non portano al blocco dei lavori. Accanirsi contro le regole rischia di far fare le cose in fretta e male. Questa parola così in voga quando si parla di opere, "sbloccare", in realtà serve più ai titoli dei giornali che all'esecuzione delle opere.

Se il governo non deve concentrarsi sulle regole e sulla burocrazia, allora, cosa deve fare?

La risposta migliore per ricostruire e fare le opere è sostenere i Comuni, togliere loro i tetti al personale e permettergli di lavorare. Lo stesso per Province e Regioni. I lavori in passato sono stati realizzati, anche in fretta. Questo dimostra che è possibile farlo, quindi il problema non sono le regole. Sarebbe come dire che il servizio sanitario nazionale (io sono medico) dà a volte delle risposte sbagliate perché è sbagliata la sua organizzazione o le sue regole. No, spesso se dà le risposte sbagliate è per carenza di personale: frutto della crisi finanziaria del 2007-2008 e delle scelte del governo di allora, con il ministro Tremonti e il blocco delle assunzioni. Questi fenomeni ce li trasciniamo da dieci, quindici anni. Il problema oggi è la scarsità di personale, di tecnologie e di risorse.

Per quanto riguarda le risorse, quelle stanziate dal Pnrr per mettere in sicurezza il territorio sono sufficienti?

Vanno nella direzione giusta. Anche qui, la difficoltà è nell'esecuzione: come è noto, c'è un grande rischio di perdere questi fondi. Visto che qui le risorse ci sono, bisogna concentrarsi sul fornire alle amministrazioni le risorse umane e tecniche necessarie per eseguire i lavori.

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