Albania, Scarpa (Pd) a Fanpage: “Nel Cpr di Gjader violenze e umiliazioni ai migranti, Meloni ha fallito”

Con il decreto Albania, che ha trasformato l'hotspot di Gjader (fino a poco fa vuoto) in Cpr, il governo "prende in giro gli italiani", dice a Fanpage.it, la deputata Pd Rachele Scarpa. Finora, secondo i calcoli della parlamentare, sono in tutto 157 le persone portate in Albania. "Stiamo parlando di poche decine di disgraziati che subiscono una vera e propria deportazione. Tutto per esaudire quella che alla fine è un'esigenza di propaganda, ovvero dire che quei centri in qualche modo stanno venendo utilizzati".
Nelle sue numerose visite nelle strutture albanesi, Scarpa è riuscita a ricostruire – non senza difficoltà – che cosa succede ai migranti deportati e il quadro è drammatico. "In Albania si riproduce la violenza strutturale che c'è nei Cpr in Italia". Alcuni dei migranti con cui ha potuto parlare "hanno raccontato di situazioni che hanno subito assolutamente umilianti, della disperazione che provano e hanno provato nel capire solo quando arrivavano in Albania dove si trovavano".
Con un decreto il governo ha trasformato le strutture albanesi in Cpr. È un tentativo di nascondere il fallimento del modello Albania?
Beh, direi proprio di sì. I centri in Albania ostentano una forma di potere che vuole raccontarsi come sicura, ma la cui implementazione in realtà è oggettivamente molto fragile. Questo è dimostrato dal fatto che anche nel percorso legislativo, da ottobre a qui, si è proceduto per strappi, per tentoni, per aggiustamenti di volta in volta. Fino a qualche mese fa i centri dovevano in teoria trattenere le persone soccorse in acque internazionali, richiedenti asilo provenienti da Paesi sicuri. Tutto questo per pochi giorni e in un quadro normativo estremamente fragile da un punto di vista giuridico, tanto che le autorità giudiziarie non hanno mai convalidato quei trattenimenti e sono tutti sempre tornati in Italia. Ora si cerca di mettere una pezza sostanzialmente e lo si fa, secondo me, certificando un fallimento sopra di tutti, cioè il fatto che si cerca di esportare quanto di più brutto e sbagliato e violento abbiamo in Italia, cioè i Cpr, e si cerca di farli anche in Albania con tutte le complicazioni che comportano. Io penso che questo sia un fallimento politico, ma anche operativo che credo vada raccontato.
A tal proposito, lei si è recata più volte in Albania per svolgere delle attività ispettive nei centri. Ci racconta cosa avete visto? Quali sono le condizioni?
Sì, più che delle attività ispettive, sono state delle vere e proprie odissee alla ricerca di informazioni. Perché se c'è un dato, soprattutto, è stato che il nostro potere ispettivo, le nostre prerogative parlamentari e in generale la possibilità dell'opinione pubblica di accedere a delle informazioni precise su quante persone, su cosa succedeva là dentro, su come funzionavano veramente i centri, è stato praticamente impossibile e quasi nulla ci è stato comunicato se non sotto forma di dichiarazione trionfalistica da parte da parte del governo. Quello che abbiamo trovato è che anche in Albania si riproduce la violenza strutturale che c'è nei Cpr in Italia. Tutto ciò che non è stato detto dal governo ci veniva raccontato dalle persone migranti. Ci hanno raccontato di viaggi da 12 ore dai Cpr italiani, con tutto il viaggio in nave ammanettati. Ci hanno raccontato di situazioni che hanno subito assolutamente umilianti, della disperazione che provano e hanno provato nel capire solo quando arrivavano in Albania che si trovavano in Albania. E in generale una condizione di reclusione che è estremamente afflittiva anche più delle carceri italiane e che non lascia alcuna prospettiva e alcuna speranza a quelle persone. Il che poi si ripercuote su quello che succede tutti i giorni.
Dalla vostra ultima ispezione assieme al Tavolo immigrazione e Asilo è emerso che nei centri si sono verificati tentativi di suicidio e atti di autolesionismo. Che cosa avete scoperto in particolare?
Anche qui noi scopriamo cosa succede solo consultando il registro degli eventi critici, perché nulla ci viene detto altrimenti. Da lì abbiamo contato nei primi 13 giorni di attività del Cpr, ad aprile, 35 eventi critici, di cui più della metà erano atti di autolesionismo e o tentativi di suicidio. Una media di 2,7 al giorno che fa a gara con le peggiore carceri d'Italia. A questo si aggiunge il fatto che quelle persone si trovano in una condizione di isolamento da un punto di vista sanitario, di diritti familiari ed di assistenza legale ancora maggiore rispetto ai Cpr italiani. E questo non può che mettere in pericolo concreto, secondo me, la vita di chi sta lì dentro. Per questo abbiamo fatto anche una segnalazione al Comitato europeo di prevenzione per la tortura e i trattamenti inumani, perché credo che ci sia concretamente il rischio che succeda in Albania quello che è successo in Italia inizio maggio. Cioè persone che muoiono a 37 anni, o ad agosto a Potenza, a 19 anni per dei "malori" che sono solo condizioni causate dalle strutture in cui si trovano, che sono patogene violente.
Inizialmente il governo non ha comunicato i dati sui migranti nei centri. Ora sappiamo che sono 43 quelli trattenuti e 16 quelli rimpatriati, numeri comunque bassi per parlare di successo. Tra l’altro, i dieci Cpr italiani non sono pieni. Quindi perché queste persone dovrebbero essere spostate li?
Non esiste un senso logico nell'operazione Albania, logico e logistico. Tutte le persone che transitano per l'Albania, anche quelle che vengono rimpatriate, poi, devono tornare in Italia per essere effettivamente rimpatriate. Quindi un senso proprio materiale non c'è. A me non appassiona neanche questo gioco di numeri comunicati a spizzichi e bocconi che il governo ha tentato di fare. Provo a darvi un'altra prospettiva su questi numeri. Da ottobre, quindi da quando questi centri hanno iniziato a funzionare, sono state portate in Albania in tutto, alla meglio, 157 persone: erano 16 nel viaggio di ottobre, 8 nel viaggio di novembre, 49 nel viaggio di gennaio e ora noi stimiamo, anche se non abbiamo la certezza, che da aprile a oggi ne siano transitate 84. Alla meglio 157 persone in sette mesi, per una spesa complessiva di 1 milione di euro in cinque anni. Io questo non lo chiamo solo fallimento, la chiamo presa in giro e lo chiamo anche accanimento, perché stiamo parlando di poche decine di disgraziati che subiscono una vera e propria deportazione. Tutto per esaudire quella che alla fine è un'esigenza di propaganda, cioè dire che in qualche modo quei centri stanno venendo utilizzati.
Ieri si è tenuto a Bruxelles un incontro della Commissione Libe sul rapporto dello Stato di Diritto in Italia, a cui ha partecipato anche il nostro direttore, Francesco Cancellato. Il rapporto segnala che l’uso Cpr in Paesi terzi risulterebbe vietato dalla direttive europee (la 2008/115/CE). È possibile quindi garantire in Albania le stesse tutele previste per i Cpr in Italia?
Assolutamente no e bisogna essere veramente in malafede per sostenerlo. Il punto più eclatante che ho anche ripreso ampiamente nella segnalazione al Comitato per la prevenzione della tortura, sono le criticità sanitarie laddove si manifestasse un'emergenza (e nei Cpr Sappiamo che si manifestano molto spesso). Chi sta in Italia viene messo in cura nell'ambito del Servizio sanitario nazionale italiano. Questo nel Cpr in Albania, ad esempio, non avviene e si viene eventualmente ricoverati presso strutture albanesi. Bisogna veramente essere audaci per sostenere che il trovarsi in un altro Paese non rappresenti un ostacolo anche per il diritto alla comunicazione, per il diritto alla difesa, per appunto la possibilità di essere raggiunti da delle reti familiari associative che nei Cpr in Italia qualche volta sono essenziali e sono vitali. Poi aggiungerei anche che il problema dei diritti e delle tutele e di che cosa è compatibile con lo stato di diritto si pone sui Cpr in generale: che siano in Italia o che siano in Albania sono luoghi dove le garanzie per la persona sono molto minori rispetto anche alle carceri. Non sono paragonabili nemmeno all'ordinamento penitenziario, tanto che sono normati da una legge di rango secondario, la direttiva Lamorgese. Questo sarà oggetto a giugno anche di una valutazione di legittimità costituzionale da parte della Corte Costituzionale. Quindi vedremo se abbiamo esportato fino in Albania un modello che non è neanche compatibile con la nostra Costituzione.