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Albania, rimpatri, liste d’attesa: le balle di Meloni al premier time in Senato

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in Senato, ha risposto su liste d’attesa, migranti in Albania, spese per il riarmo e non solo. Ma diversi punti di quello che ha detto non tornano, oppure ignorano parte della realtà per far fare bella figura al governo. Abbiamo controllato i passaggi più importanti.
A cura di Luca Pons
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La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, per la prima volta da un anno e mezzo, si è presentata al Senato per rispondere alle domande delle opposizioni nel premier time. A parte lo scontro aperto con Matteo Renzi, sono stati molti i temi trattati da parte delle opposizioni, che hanno chiesto alla leader del governo di esprimersi sulle spese militari, le bollette, la sanità, la gestione degli arrivi di persone migranti.

Ma, come avvenuto in passato, ci sono stati diversi passaggi nelle parole di Meloni che sono sembrati, se non falsi, perlomeno parziali. Questioni su cui la presidente del Consiglio ha scelto di ignorare in parte la realtà, per far sembrare l'operato del suo governo migliore di quanto non sia davvero, o per scaricare le responsabilità su altri. Come quando ha detto che i ritardi sulle liste d'attesa dipendono dalle Regioni – che però sono governate in maggioranza dal centrodestra – o quando ha rivendicato i risultati sui centri migranti in Albania.

Liste d'attesa, Meloni scarica la responsabilità sulle Regioni

Sul tema delle liste d'attesa, la presidente del Consiglio ha aperto dicendo di dover fare "un appello alle Regioni". Poi ha spiegato che il fatto che il decreto varato quasi un anno fa dal governo non abbia avuto nessun effetto significativo sulla sanità pubblica non è colpa dell'esecutivo: "Noi ogni anno stanziamo delle risorse, e non le gestiamo: le gestiscono le Regioni. Ma la responsabilità, secondo voi, è tutta del governo", ha detto, rivolgendosi alle opposizioni.

"Il governo ha fatto un decreto sulle liste d'attesa, in cui ha chiesto di poter fare alcune cose, visto che la responsabilità, anche secondo voi, è sempre nostra: poter eventualmente intervenire con dei poteri sostitutivi quando non si riesce a governare le liste d'attesa come riteniamo". Il riferimento è a una norma che permetterebbe al governo di intervenire direttamente, ‘aggirando' i poteri regionali sulla sanità, se una Regione non riesce a rispettare certi criteri sulle liste d'attesa.

Ma finora tutte le amministrazioni regionali si sono opposte: "Le Regioni trasversalmente su questo non sono d'accordo. Però almeno gli italiani sappiano che abbiamo queste difficoltà, altrimenti noi siamo semplicemente quelli che devono stanziare i soldi e essere responsabili di quello che non funziona". Insomma, nel suo discorso la presidente del Consiglio si è limitata a scaricare la responsabilità altrove, preoccupandosi soprattutto di chiarire "agli italiani" che non è colpa sua.

A sentirla descrivere la situazione sembrerebbe che il governo abbia le mani legate. Ma, innanzitutto, le Regioni hanno il diritto di opporsi a una normativa se la legge glielo concede, e di chiedere che venga cambiata – non è una ‘colpa'. In più, e soprattutto, bisogna ricordare che su venti Regioni, ben tredici sono governate dal centrodestra. Ovvero dalla stessa maggioranza che sostiene il governo Meloni. E se un esecutivo non riesce a trovare una soluzione che metta d'accordo non tanto le opposizioni, ma nemmeno le amministrazioni regionali che sono del suo stesso colore politico, allora qualche responsabilità c'è. Anche se così non è secondo la presidente del Consiglio.

Migranti in Albania, l'ennesimo attacco ai giudici

Rispondendo a un'altra domanda sulla questione Albania, Meloni ha colto subito l'occasione per attaccare la magistratura. "Abbiamo deciso di usare i centri realizzati in Albania come ordinari Cpr", ha ammesso, e "abbiamo così iniziato a trasferire migranti irregolari in attesa di rimpatrio. A seguito di questa nuova disposizione alcuni Tribunali pare stiano stiano disponendo il ri-trasferimento in Italia, ove il migrante avanzi una domanda di protezione internazionale, anche quando questa sia manifestamente infondata".

È vero che in più di un caso la richiesta di asilo è stata il motivo che a spinto a riportare in Italia delle persone che erano state trasferite in Albania. Ma il motivo non è che "alcuni Tribunali" hanno agito di loro iniziativa, come sembra suggerire Meloni. Il punto è che, per le norme italiane e internazionali chi richiede asilo non è una persona "irregolare", ma un richiedente asilo, appunto. E quindi non può essere rimpatriato fino a quando non si è stabilito se abbia diritto o meno a essere accolto. E non si può decidere che questa richiesta è "manifestamente infondata", come vorrebbe la presidente del Consiglio. È la conseguenza, insomma, di un errore giuridico del governo.

Meloni ha insistito: "Mi corre l'obbligo di condividere con voi quale sia il curriculum di queste persone a cui dovremmo considerare di dare protezione internazionale: quasi tutti i migranti trasferiti in Albania si sono macchiati di reati molto gravi, tra cui si annoverano furti, rapine, porto abusivo d'armi, tentati omicidi, violenze sessuali, pedopornografia, adescamento di minore, atti osceni in prossimità di minore. Qualcuno vuole a ogni costo fa restare queste persone in Italia, noi invece vogliamo rimpatriarle". Al di là di quel "quasi" che lascia margini incerti, è una retorica non nuova per l'estrema destra, utilizzata anche da Donald Trump negli Stati Uniti. Ma la realtà è che la legge si applica nello stesso modo a tutti, e anche il governo deve rispettarla.

Il presunto successo dei Cpr albanesi

Sull'Albania, poi, la presidente del Consiglio ha rivendicato: "Alla fine di questa settimana oltre il 25% dei migranti trattenuti in Albania sarà già stato rimpatriato, in tempi che sono molto veloci, a dimostrazione di come le procedure e la strategia che abbiamo messo in campo, nonostante i tentativi di bloccarle per ragioni chiaramente ideologiche, stiano funzionando".

Furbescamente, ha evitato di parlare di numeri assoluti. Anche se non ci sono aggiornamenti ufficiali, si può dire che da quando il governo ha fatto marcia indietro rispetto ai piani iniziali e trasformato i centri in Albania in Cpr sono state trasferite alcune decine di persone. Migranti scelti, peraltro, senza un criterio chiaro. Non solo la percentuale citata da Meloni non tiene conto, con tutta probabilità, delle persone che erano state inviate nei centri nei mesi prima di questa trasformazione in Cpr, e che erano sempre state rispedite in Italia. Ma per di più non c'è nessun elemento per spiegare perché questi rimpatri dovrebbero essere un successo legato alla "strategia" del governo in Albania.

Quando il governo ha ammesso il fallimento dell'esperimento precedente, i centri albanesi sono diventati in tutto e per tutto dei Cpr come gli altri che si trovano sul territorio italiano. E allora perché quei rimpatri che sono avvenuti dall'Albania non avrebbero potuto avvenire dall'Italia, risparmiando un bel po' di soldi pubblici per gli spostamenti? Meloni non l'ha spiegato in nessun modo.

La "supercazzola" sulla spese per il riarmo

Infine c'è il tema del riarmo, su cui sia Azione che il Movimento 5 stelle – ma in parte anche Alleanza Verdi-Sinistra – hanno insistito. In particolare, il M5s e Giuseppe Conte hanno accusato Meloni di aver risposto con una "supercazzola". È vero?

In gran parte la premier ha ribadito cose già dette. Ha di fatto confermato che il governo per raggiungere il 2% del Pil in spese militari (come chiesto dalla Nato) vuole usare un trucco contabile e, in sostanza, inserire nella casella ‘spese per la difesa' del bilancio anche cose che finora non ci rientravano, ma che invece potrebbero ricaderci. Una mossa i cui dettagli devono ancora essere chiariti, ma che permetterebbe di fare bella figura con gli alleati senza spendere davvero di più.

Poi però Meloni ha anche detto che c'è l'intenzione di "rilanciare la traiettoria di potenziamento delle nostre capacità di difesa". Una formula poco chiara, e su cui non è più tornata. Tanto che, mentre il M5s ha parlato di "supercazzola", anche Carlo Calenda (che sicuramente non può essere considerato un simpatizzante del Movimento) ha risposto in modo simile al termine della risposta a lui rivolta, anche se in modo più diplomatico: "Vorrei sapere se noi compriamo qualche missile in più rispetto ai 63 che secondo il suo ministro noi abbiamo in caso di un attacco. Se c'è uno stanziamento di bilancio che aumenta, e in che misura, al netto del riconteggio che faremo". Insomma, è vero che la presidente del Consiglio, interrogata sulle spese militari (un argomento divisivo anche nella sua maggioranza) ha evitato di rispondere.

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