Al Sud si lavora meno e si guadagna peggio: 27 giorni in meno all’anno e stipendi più bassi del 35%

Il divario Nord-Sud ha tante facce: redditi, istruzione, servizi, mobilità. Ma ora anche il calendario racconta una distanza che continua ad allargarsi. Secondo uno studio della Cgia di Mestre, che ha analizzato il numero medio di giornate effettivamente lavorate da operai e impiegati del settore privato nel 2023, infatti, un lavoratore dipendente del Nord ha lavorato in media 255 giorni l'anno, mentre uno del Sud si è fermato a 228. Ventisette giorni di differenza, quasi un mese intero: non ferie, ma assenze strutturali, dettate da disoccupazione, contratti precari, stagionalità e lavoro informale. È un dato che racconta molto più della semplice presenza sul luogo di lavoro; è la fotografia di un sistema che al Nord regge, al Sud sopravvive. E che inchioda il Paese a una doppia velocità che sembra sempre più difficile da colmare.
Le province dove si lavora di più: il primato di Lecco
La geografia del lavoro disegna una mappa prevedibile ma non meno inquietante. In cima alla classifica ci sono le province del Nord, soprattutto del Nord-Est, cuore manifatturiero del Paese. Lecco guida la classifica con 264,9 giorni lavorati, seguita da Biella (264,3) e Vicenza (263,5). Appena sotto, ma sempre sopra i 263 giorni, si trovano Lodi, Padova, Monza-Brianza. Tra i territori più operosi ci sono anche Treviso (262,7 giorni) e Bergamo (262,6), città simbolo di un tessuto produttivo diffuso, fatto di piccole e medie imprese, artigianato e industria.
Il fondo classifica: Sud escluso dal tempo del lavoro
In fondo alla classifica si trovano province dove non solo si lavora meno, ma si lavora peggio: Vibo Valentia è l’ultima, con 193,3 giorni lavorati in un anno, quasi 70 in meno rispetto a Lecco. A seguire, Nuoro (205,2), Rimini (212,5), Trapani (213,3) e Foggia (213,5). Tutte sotto una soglia che rende difficile immaginare stabilità e continuità. Eppure il dato va interpretato: non significa che in queste province non ci sia lavoro, ma che molto lavoro non viene registrato. E questo ci porta al cuore del problema.
Il peso del sommerso: quel che non si vede (e non si paga)
Lo studio della Cgia si basa sulle giornate lavorate "ufficialmente", cioè su contratti regolari. Ma al Sud una fetta consistente dell'attività economica si svolge in nero, cioè fuori da ogni regola e tutela. È qui che il lavoro si frammenta: stagionale, intermittente, part-time involontario, spesso sottopagato e privo di diritti. Il settore agricolo, il turismo, i servizi sono tra i più colpiti, e il confine tra legalità e sfruttamento diventa labile. Il risultato è un esercito di lavoratori invisibili che non figurano nelle statistiche ma che rappresentano una parte essenziale dell’economia del Mezzogiorno.
Stipendi: dove si lavora di più si guadagna anche meglio
Il divario si riflette anche nei salari. Dove si lavora di più, si guadagna di più. Nel Nord la retribuzione media giornaliera lorda è di 104 euro, contro i 77 euro del Sud. Una differenza del 35%, che si traduce ogni anno in migliaia di euro di scarto tra le due aree del Paese. Non si tratta però solo di numeri: retribuzioni più alte significano anche contributi più consistenti, pensioni future più stabili, maggiore capacità di spesa, migliore qualità della vita. È la misura concreta del dislivello.
Milano al vertice, Vibo all'ultimo posto
A guidare la classifica dei redditi è Milano, dove un lavoratore dipendente ha percepito in media nel 2023 34.343 euro lordi all’anno. Seguono Monza-Brianza (28.833 euro), Parma (27.869), Modena, Bologna, Reggio Emilia: tutte città con un tessuto industriale forte e settori ad alta produttività come meccanica, auto di lusso, biomedicale, meccatronica, agroalimentare. Al contrario, le retribuzioni più basse si trovano a Vibo Valentia, dove un lavoratore ha guadagnato appena 13.388 euro in un anno. Poi Nuoro (14.676 euro), Cosenza (14.817) e Trapani (14.854). Tutte sotto la soglia della dignità, ben lontane dalla media italiana di 23.662 euro.
Chi ha meno lavoro ha anche meno tutele
A determinare la forbice non è solo la quantità, ma anche la qualità dell’occupazione. Al Nord sono più numerosi i lavoratori con posizioni di vertice, cioè dirigenti, quadri, tecnici, e con contratti a tempo indeterminato. Non solo, è qui che si concentrano le sedi delle grandi imprese e delle multinazionali, soprattutto nei settori finanziario e assicurativo, che pagano stipendi più alti. Nel Mezzogiorno, invece, prevale un'economia a basso valore aggiunto, con meno industrie, meno capitale investito e più lavoro povero.
Anche nei weekend si lavora. Ma non ovunque
A confermare l'intensità del lavoro in Italia è anche Eurostat, che colloca il nostro Paese tra quelli dove si lavora di più nel fine settimana. Il 30,9% dei lavoratori italiani è attivo anche sabato o domenica, contro una media europea del 22,4%. Un dato che riguarda in particolare ristorazione, sanità, turismo, logistica. Ma anche qui si vede la frattura: al Nord il weekend lavorato è spesso frutto di contratti regolari, al Sud è più frequentemente lavoro precario, mal pagato o non registrato.
Un Paese diviso tra chi lavora troppo e chi non lavora affatto
Quello che emerge dall'analisi della Cgia non è solo un differenziale economico, ma un disequilibrio sistemico. L'Italia è spaccata tra territori che producono ricchezza e altri che faticano a garantire occupazione stabile e redditi dignitosi. Un divario che non è più solo sociale, ma temporale: al Nord il tempo è lavoro, al Sud spesso è attesa.
Ed è su questa distanza che si gioca il futuro del Paese.