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8 marzo, la strada è ancora lunga: i congedi parentali che frenano la parità di genere sul lavoro

La parità di genere sul mondo del lavoro è ancora distante. Le politiche di riequilibrio dei ruoli familiari sono essenziali e tra queste rivestono un’importanza primaria i congedi paritari dei genitori. Ecco perché.
A cura di Tortuga
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A quasi 50 anni dall’istituzione ufficiale della Giornata internazionale per i diritti della donna, il mercato del lavoro italiano è ancora fortemente disuguale. Secondo i dati Istat più recenti, il tasso di occupazione femminile (fascia 15-64 anni) è del 50,9%, rispetto al 69,7% maschile. Il divario è tra i maggiori in Europa.

La differenza aumenta considerando gli adulti di età compresa tra i 25 e i 64 anni con almeno un figlio: all'interno questa categoria, solo il 55,1% delle madri italiane lavora rispetto all’83,2% dei padri. Questo significa che il dovere di occuparsi dei figli ricade in misura prevalente sulle prime.

Difatti, le donne in Italia registrano un numero di ore molto superiore agli uomini nel lavoro non retribuito o di cura, che comprende i lavori domestici, di accudimento di figli e anziani. Secondo il Report dell’Unione Europa sulle disuguaglianze di genere e il lavoro non retribuito, l’Italia è al secondo posto in Europa per tasso di donne inattive in ragione di care responsibilities, cioè di responsabilità familiari.

In questo contesto, le politiche di riequilibrio dei ruoli familiari sono essenziali e tra queste rivestono un’importanza primaria i congedi paritari dei genitori, che possono incentivare una diversa allocazione di lavoro retribuito e non retribuito.

In particolare, distinguiamo tra congedi di maternità e paternità, obbligatori, e contestuali alla nascita di un figlio, e parentali, facoltativi e distribuiti su un periodo di tempo più lungo.

In Italia, mentre il congedo di maternità obbligatorio, che ha durata pari a 5 mesi, è in linea con la media europea, il congedo di paternità obbligatorio, di 10 giorni lavorativi, è tra i più brevi, come è visibile nella figura 2. Bisogna inoltre considerare che alcuni Stati che sembrano avere dati peggiori rispetto all’Italia, come Germania e Islanda, in realtà adottano altre misure compensative, come congedi parentali riservati gli uomini più generosi e più lunghi rispetto a quelli previsti nel nostro Paese.

Pur essendo importante per chi ha partorito disporre di un periodo di recupero fisico corretto e passare del tempo con il neonato, una disparità eccessiva dei congedi può portare a un sovraccarico ingiustificato dei compiti domestici affidati alla donna alla luce della prolungata permanenza a casa.

Il medesimo ragionamento vale per il congedo parentale. Il congedo facoltativo è infatti uno strumento paritario che, rendendo il lavoro più flessibile, permette una migliore conciliazione tra lavoro e famiglia e favorisce l’aumento del tasso di occupazione femminile. In Italia, esistono addirittura degli incentivi affinché anche il padre ne usufruisca. Tuttavia, nonostante un aumento dei padri beneficiari negli anni, il 77% delle richieste proviene da lavoratrici donne, tanto che, secondo il Family Database dell’Ocse, l’Italia non ha un’effettiva quota di congedo parentale riservata agli uomini e non trasferibile.

Inoltre, sia la sua durata (10 mesi durante i primi 12 anni di vita dei figli) che le indennità previste (30% della retribuzione ordinaria) sono basse rispetto agli altri Paesi europei.

Gli effetti positivi del congedo parentale sull’occupazione femminile potrebbero aumentare ulteriormente se fosse più diffuso tra gli uomini, dato che permetterebbe una maggiore condivisione del lavoro domestico. Vi sono varie ragioni per il suo insuccesso tra i padri. La significativa decurtazione dello stipendio, ad esempio, potrebbe essere particolarmente scoraggiante per gli uomini che spesso hanno una retribuzione più elevata (in ragione del divario salariale di genere). Come suggerito dal report Ue sopracitato, anche l’esistenza di alcuni stereotipi culturali può giocare un ruolo importante, ma adeguate politiche di incentivo potrebbero invertire la tendenza.

Le politiche relative ai congedi, riguardando sia la famiglia che l’uguaglianza di genere, possono avere molteplici benefici. L'obiettivo principale è quello di garantire la parità tra i sessi, evitando il dissidio tra le funzioni di donna-madre e donna-lavoratrice, in modo da favorire la libertà di scelta e la piena realizzazione della persona. Un migliore equilibrio vita-lavoro aumenterebbe l’occupazione femminile, portando quindi effetti positivi sulla crescita economica dell’intero Paese. Inoltre, alcuni studi evidenziano la correlazione positiva tra il tasso di natalità e queste misure, che aiuterebbero dunque a rispondere alla crisi demografica italiana. Infine, queste politiche potrebbero diminuire la discriminazione delle donne (tutte, non solo quelle che desiderano avere figli) all’ingresso del mercato del lavoro: infatti, se la cura dei figli e della casa fosse ripartita equamente, i datori di lavoro non avrebbero motivo di ritenere l'assunzione delle donne più svantaggiosa.

Dati gli effetti positivi sull’uguaglianza di genere, nonché sul sistema Paese, è importante per l’Italia inserire queste misure all'interno delle proprie priorità politiche, come Tortuga ha già sottolineato in passato. Senza l’individuazione e la proposta di misure concrete per avvicinarsi ad una più completa parità dei sessi, le celebrazioni dell’8 marzo rischiano di rimanere uno sterile esercizio retorico.

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Tortuga è un think-tank di studenti, ricercatori e professionisti del mondo dell'economia e delle scienze sociali, nato nel 2015. Attualmente conta 56 membri, sparsi tra Europa e il resto del mondo. Scriviamo articoli su temi economici e politici, e offriamo alle istituzioni, associazioni e aziende un supporto professionale alle attività di ricerca o policy-making. Nel 2020 è uscito il libro "Ci pensiamo noi".
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