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Perché la proposta di mandare i detenuti stranieri “in galera a casa loro” non ha senso

La Lega l’ha proposto più volte, l’ultima in ordine di tempo con un emendamento alla relazione sul terrorismo al Parlamento europeo. Ma sulla questione esiste già una normativa internazionale, ed è molto diversa da quella che vorrebbe Salvini.
A cura di Claudia Torrisi
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Mercoledì 2 dicembre, in un video messaggio pubblicato sul suo profilo Facebook, il leader della Lega Nord Matteo Salvini ha riassunto il manifesto del Carroccio sulla questione carceri. Gli istituti di pena italiani, da nord a sud, sono diventati "un luogo dove si coltiva il TERRORISMO e dove i 52mila detenuti, in gran parte stranieri, potrebbero portare a conseguenze imprevedibili". Per questo motivo, il segretario della Lega ha richiamato la necessità di più agenti, più risorse, più carceri, certezza della pena e mandare "a scontare in galera a CASA LORO le migliaia di delinquenti stranieri che manteniamo nelle nostre carceri".

Il riferimento al mandare i detenuti immigrati nelle prigioni dei paesi di provenienza era stato già oggetto di un post di qualche ora prima, in cui Salvini dava conto della bocciatura in sede europea della proposta della Lega – come emendamento alla relazione Rachida Dati sul terrorismo – "per rimandare IN GALERA A CASA LORO, i detenuti stranieri in Italia. Hanno votato contro, fra gli altri, PD e 5 Stelle. Alla faccia della sicurezza".

Il messaggio è stato ripreso dalla parlamentare europea del Movimento 5 stelle Laura Ferrara, che ha risposto al post del leader della Lega mettendo poi tutto sulla sua pagina.

L'emendamento della Lega è stato presentato alla relazione di Rachida Dati (Ppe), sulla prevenzione della radicalizzazione e del reclutamento di cittadini europei da parte di organizzazioni terroristiche, che contiene interventi volti ad affrontare l'estremismo nell'Ue, partendo dalla creazione di una blacklist europea di jihadisti e sospetti terroristi.

"Secondo l'emendamento presentato dalla Lega, sarebbe urgente, per gli Stati membri dell'Ue, concludere degli accordi finalizzati al rimpatrio dei detenuti nel rispettivo Paese d'origine", ha spiegato Ferrara, che considera la proposta "del tutto fuori luogo e meramente populistica". Innanzitutto, "il report riguardava cittadini europei e non extraeuropei, ai quali faceva riferimento Salvini", e in secondo luogo, "gli accordi a cui fa riferimento il leader leghista già esistono sin dal 1983, sia sotto forma di convenzionai internazionali multilaterali, sia sotto forma di accordi bilaterali tra Stati".

La richiesta di trasferire i detenuti stranieri nei loro paesi d'origine è stata fatta a più riprese dalla Lega Nord. Lo stesso Salvini l'aveva detto lo scorso marzo; a gennaio era stato auspicato dal sindaco di Padova, Massimo Bitonci; e dall'assessore regionale alla Sicurezza della Lombardia Simona Bordonali. L'ultima volta in ordine di tempo è stato di nuovo il segretario della Lega Nord. Uscendo da una visita a San Vittore ha dichiarato che "la Lega rilancia la sua idea di mandarli a casa loro a scontare la pena perché tenerli qui ha un costo economico e sociale enorme". In generale, quindi, agire con i trasferimenti sarebbe urgente prima di tutto per questioni di sicurezza e in secondo luogo di sovraffollamento delle carceri.

La questione dello spostamento dei detenuti nei loro paesi d'origine è però già disciplinata, seppur in termini diversi da quelli invocati dalla Lega. " L'idea che aleggia dietro la proposta di Salvini – ha aggiunto l'europarlamentare M5s – ha a che fare più con le deportazioni di massa di detenuti che con il trasferimento consentito dalle convenzioni e dagli accordi internazionali, che devono sempre e comunque salvaguardare i diritti fondamentali dell'uomo".

Cosa dice la normativa

Per quanto vengano invocate esigenze di sicurezza, la ratio della normativa che regola lo spostamento degli stranieri è un'altra. La questione è disciplinata dalla Convenzione di Strasburgo del 1983, che l'Italia ha ratificato e inserito nell'ordinamento nel 1989. La Convenzione di fatto è stata sottoscritta solo da alcuni paesi e poi via via allargata da accordi bilaterali. Con questo atto è stata prevista una procedura di trasferimento applicabile da tutti gli Stati, anche se non aderenti al Consiglio d’Europa, per l’esecuzione della sentenza nel Paese d’origine della persona condannata. Una cooperazione tra gli stati che "deve essere indirizzata alla buona amministrazione della giustizia e a favorire il reinserimento sociale delle persone condannate".

Ci sono, però, alcune condizioni per il trasferimento – prescritte all'articolo 3:

a. la persona condannata è cittadino dello Stato di esecuzione;

b. la sentenza è definitiva;

c. la durata della pena che la persona condannata deve ancora scontare è di almeno sei mesi alla data di ricevimento della richiesta di trasferimento, o indeterminata;

d. la persona condannata -o, allorquando in considerazione della sua età o delle sue condizioni fisiche o mentali uno dei due Stati lo ritenga necessario, il suo rappresentante legale -acconsente al trasferimento;

e. gli atti o le omissioni per i quali è stata inflitta la condanna costituiscano reato ai sensi della legge dello Stato di esecuzione o costituirebbero reato se fossero commessi sul suo territorio;

f. lo Stato di condanna e lo Stato di esecuzione sono d'accordo sul trasferimento.

Per facilitare il trasferimento, il Consiglio dell’Unione Europea ha poi approvato la Decisione Quadro 2008/909/GAI "relativa al reciproco riconoscimento delle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea", rivolta esclusivamente ai membri dell’Ue. In questo caso la procedura di trasferimento è semplificata – senza consenso del condannato – e basata sulla presunzione che il luogo di origine del condannato sia – salva prova di radicamento altrove – quello in cui ha legami sociali, familiari, culturali e linguistici e quindi il più favorevole alla sua rieducazione.

Ad ogni modo, la Convenzione di Strasburgo prevede come requisito la volontà del condannato e dello stato di destinazione per il trasferimento. "Un rimpatrio forzato dei detenuti, quello che populisticamente va urlando Salvini, è di fatto e di diritto irrealizzabile alla luce del nostro ordinamento costituzionale che deve conformarsi alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute tra le quali la Convenzione del 1983", ha detto Ferrara. Proprio per questo motivo, come ha spiegato in un'intervista Angelo Alessandro Sammarco, professore di diritto dell’esecuzione penale e coautore di un trattato su esecuzione e rapporti con autorità giurisdizionali straniere, "è improprio e semplicistico definirli semplicemente ‘scambi' perché sono trasferimenti concordati. Questo è un punto centrale e delicatissimo. Ogni trattato non può prescindere da una procedura individuale. Non si possono spedire all’estero i detenuti solo perché c’è un accordo. Per questo non è immaginabile, e sarebbe palesemente incostituzionale, che uno Stato intraprenda la strada delle deportazioni di massa dei detenuti. Non è poi così automatico e scontato il riconoscimento e l’esecuzione di sentenze penali straniere, anche se sono stati firmati dei trattati tra Paesi".

In Italia esiste anche la legge 10/2014 che il 21 febbraio ha convertito il decreto 146/2013 – lo "svuota carceri" – che ha allargato casi in cui si applica l’espulsione come alternativa in caso di pena, anche residua, non superiore ai due anni. Vi rientra anche chi è condannato per un reato previsto dal testo unico sull'immigrazione purché la pena non sia superiore nel massimo a 2 anni e chi è condannato per rapina o estorsione aggravate. Il caso dello svuota carceri, però, è diverso dall'espiazione all'estero: per il provvedimento italiano, infatti, l'espulsione è un'alternativa alla pena.

Alla luce dell'esistenza della convenzione di Strasburgo, le proposte della Lega di portare "in galera a casa loro" i detenuti stranieri sono per Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, "pura propaganda": "La legislazione c'è ed è complessa. La convenzione è stata ratificata anche dall'Italia ma non da alcuni paesi di provenienza degli immigrati. E, siccome prevede il consenso per il trasferimento del detenuto e dello stato in questione, è difficile applicarla. Gli accordi con alcuni paesi ci sono, ad esempio con l'Albania. Ma non si può pensare che sia una cosa che funzioni in automatico". Gonnella ha spiegato che spesso ci sono problemi di identificazione, perché le autorità consolari di altri paesi non aiutano in questo percorso o con la convalida della condanna perché nel paese di destinazione non c’è un corrispettivo della sentenza italiana. "Se anche si potesse spedire un detenuto agilmente – ha aggiunto il presidente di Antigone – vorrei capire Salvini come spiegherebbe il caso di un marocchino e un italiano che fanno insieme una rapina e vengono condannati a tre anni. Poi l'italiano sconta i tre anni qui, e il marocchino lo espelliamo non avendo garanzie di pena nel suo paese d'origine".

Infine, ci sono difficoltà nel procedere alle espulsioni per le situazioni in cui versano gli stati: "Quale interesse potrà mai avere un paese in guerra come la Siria ad esempio a riprendersi i siriani in carcere? Sono cose complicate che richiedono accordi e cooperazione che possono essere fatti con paesi che hanno un minimo di establishment democratico. Anche se avessimo il governo più efficiente di questo mondo, non è che si può imporre a uno stato nazione di riprendersi i detenuti. Non funziona che glieli mettiamo alla frontiera e glieli buttiamo con il paracadute". Senza contare il fatto che nel caso in cui nel paese di destinazione il condannato rischi maltrattamenti o violazioni dei diritti umani, "una democrazia come la nostra non può consentirlo. La Corte europea l'ha detto più volte: non si può mandare una persona verso paesi dove c'è tortura sistematica, lo vietano le norme internazionali".

Quanto ci converrebbe mandarli "a casa loro"?

Secondo i dati raccolti da Antigone e pubblicati a febbraio di quest'anno, nelle carceri italiane sono stranieri 17.403 detenuti, su una popolazione totale di 53.889, il 32%. Le donne sono 867, ossia il 4,9% sul totale degli stranieri detenuti e il 4,3% sul totale delle detenute. Si tratta di persone prevalentemente giovani: 4.100 detenuti che hanno meno di 25 anni, molti hanno meno di 44 anni (66,24%) e quasi la metà è tra i 30 e i 44 anni (45,78%). In effetti, rispetto agli altri paesi europei, in Italia la percentuale di detenuti stranieri è superiore rispetto alla media, che è del 21%, ma ci sono paesi che totalizzano più del nostro 32%: come la Svizzera, dove il 74,2% dei detenuti è straniero,l’Austria (46,75%) e il Belgio (42,3%). La maggior parte dei carcerati non italiani viene da Marocco, Romania, Albania, Tunisia, Nigeria, Egitto, Algeria, Senegal, Cina e ed Ecuador. Quanto alla religione, sui circa 53 mila detenuti complessivi, al 31 dicembre del 2014 5.786 erano di fede islamica, contro i 30.794 di fede cattolica.

"I detenuti stranieri sono in calo, erano il 37% nel 2010, oggi sono il 31,8%. Significa che c'è stata una deflazione, hanno funzionato le norme sulle espulsioni a domanda del detenuto come misura alternativa", ha spiegato Gonnella, secondo cui anche mettendo in pratica la normativa e ottenendo i trasferimenti si sposterebbero altre cinquecento o mille persone, che non riescono a incidere così tanto sulla questione sovraffollamento. Senza contare che ci sono per Antigone 3500 detenuti italiani all'estero "e la condizione reciprocità è un principio di diritto internazionale".

E i trasferimenti non avrebbero grossa incidenza nemmeno sui costi: come sostiene Ornella Favero di Ristretti Orizzonti "se anche uscissero ventimila stranieri, che sono il 30% della popolazione ristretta, i costi del sistema penitenziario non si ridurrebbero del 30%, perché le spese di gestione, quelle strutturali e per il personale non si possono tagliare in proporzione. Quanto ai costi vivi cosa resta? Il vitto? Costa 3,4 euro al giorno e viene trattenuto in busta paga per i detenuti che lavorano o fatto pagare a fine pena". Stando ai dati, anche l'argomento sicurezza, al di là delle suggestioni dell'allerta terrorismo, vacilla: gli stranieri sono per lo più colpevoli di reati meno gravi, dettati dalle condizioni di vita di marginalità. La maggior parte è incarcerato per reati minori: il 50% degli stranieri sconta condanne da 0 a 1 anno, il 12% a oltre 20 anni, contro l'88% dei nostri connazionali.

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