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Pensionato morto a Manduria, “Gli avevano portato via anche i ricordi della mamma morta”

“Nonostante io fossi l’unico con il quale scambiava qualche parola al bar, non mi ha mai parlato delle violenze subite perché era riservato e orgoglioso” ha ricordato l’amico di infanzia di Antonio Cosimo Stano, il 66enne vittima delle violenze di una baby gang. “In ospedale ho capito che era spento dentro, che non aveva alcuna voglia di vivere” ha aggiunto Fabio Dinoi.
A cura di Antonio Palma
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"Quei ragazzi gli avevano saccheggiato anche la casa. Gli avevano tolto anche i ricordi della mamma morta e molte altre cose, quando l'ho visto in ospedale per l'ultima volta ho capito che era spento dentro, che non aveva più alcuna voglia di vivere", così Fabio Dinoi ha ricordato l'amico Antonio Cosimo Stano, il 66enne vittima delle violenze di una baby gang e morto a Manduria, in provincia di Taranto il 23 aprile scorso. L'uomo è uno dei pochi con cui la vittima delle aggressioni aveva rapporti umani oltre ai famigliari. Eppure pare che non sapesse niente di quanto accadeva al 66enne che soffriva di disagio psichico. "Nonostante io fossi l'unico con il quale scambiava qualche parola quando prendeva il caffè al bar, non mi ha mai parlato delle violenze subite. Non mi ha detto nulla perché era riservato e orgoglioso. Nessuno di noi pensava che lo torturassero", ha affermato infatti Dinoi.

"Nessuno sapeva che fosse vittima dei bulli, che subisse torture fisiche e psicologiche. Sapevamo invece che qualcuno lo prendeva i giro" ha raccontato l'amico di infanzia del 66enne , aggiungendo: "Una volta ho visto che dei ragazzi bussavano alla porta di casa sua, sono intervenuto e li ho sgridati, così come ha fatto il parroco della chiesa vicina in un'altra occasione. Avessi saputo di quello che gli facevano davvero i bulli sarei stato con lui anche la notte per affrontarli". La verità Fabio l'ha scoperta solo quando il 66enne ha cominciato a non presentarsi più al bar dove di solito si vedevano e scambiavano qualche chiacchiera

"Dal 25 o il 26 marzo non l'ho visto più, era sparito" ha ricordato ancora Dinoi che dopo una settimana ha deciso di andare a trovarlo  a casa: "Era il 2 o il 3 aprile. Ho bussato e mi ha aperto il nipote. Mi ha spiegato quello che era accaduto. Casa di Antonio era stata ripulita, forse da questi ragazzi. Gli avevano tolto i ricordi della mamma morta e molte altre cose". "Ho visto l'ultima volta Antonio in ospedale, in terapia intensiva, gli ho detto: ‘Antonio lotta, sei forte, ce la devi fare'. Lui ha riconosciuto la mia voce, ha girato la testa, ma ho capito che era spento dentro, che non aveva alcuna voglia di vivere" ha rivelato l'uomo, concludendo: "Spero che la sua morte serva a portare un seme di coscienza a questi ragazzi, altrimenti non sarà servita a niente. Questi giovani riempivano il loro vuoto con la sofferenza altrui"

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