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Omicidio Renata Rapposelli, la superteste: “Quel giorno era agitata, comprò tranquillante”

Prima di andare a casa del figli, Renata Rapposelli era agitata, comprò un tranquillante in farmacia. È quanto dichiarato dalla superteste al processo contro Simone e Giuseppe Santoleri, figlio ed ex marito di Renata Rapposelli, la pittrice di 59 anni trovata cadavere in una scarpata a Tolentino, due anni fa. Per l’accusa fu il figlio Simone a strangolarla al culmine di un litigio per soldi.
A cura di Angela Marino
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Vide Renata poco prima che venisse uccisa, “aveva un aspetto trasandato, era in difficoltà, in un evidente stato di ansia". Sono le parole della superteste al processo per l'omicidio di Renata Rapposelli, la pittrice anconetana uccisa tra il 9 e il 10 ottobre 2017 a Giulianova. Al banco dei testimoni la farmacista alla quale quel giorno si rivolse prima di andare a casa di Giuseppe e Simone Santoleri, rispettivamente ex marito e figlio della donna, oggi sul banco degli imputati con l'accusa di averla strangolata proprio il pomeriggio di quel giorno. La farmacista di Tortoreto Lido ha confermato la presenza della donna, trovata scheletro poche settimane dopo in località Tolentino, in città. Quel giorno Renata era lì, era molto agitata, tanto che comprò addirittura un tranquillante.

Il delitto di Giulianova

Finora tutte le testimonianze al processo in Corte d’Assise a Teramo hanno confermato la ricostruzione dell'accusa: Renata non uscì viva dalla casa dei due uomini a Giulianova. La donna, che era andata a trovare marito e figlio aveva confidato alle persone vicine di essere era preoccupata per la salute di quest'ultimo, Simone, che qualche giorno prima l'avrebbe informata, via sms, di essere malato. Da anni i rapporti tra la pittrice, il suo ex e il figlio Simone non erano più sereni.

Strangolata dal figlio: l'accusa

In famiglia c'erano contrasti per il pagamento degli alimenti  200 euro al mese) e in particolare per gli arretrati che Renata, che viveva in condizioni  d'indigenza, avrebbe avanzato dal marito. Questo, secondo le ipotesi della procura, sarebbe il motivo del litigio che quel giorno sarebbe scoppiato tra i tre. Ecco come come l'azione viene descritta nel decreto di rinvio a giudizio:

Dopo un violento litigio di natura economica avvenuto presso l'abitazione di residenza dei correi Simone Santoleri  inveiva urlando contro la madre (urla distintamente percepite nella strada sottostante) e la afferrava al collo stringendo con violenza, contestualmente tappandole la bocca e impedendole di respirare e trascinando così la donna sul divano della zona giorno, ove continuava l'azione di strangolamento e di asfissia, coadiuvato dal Santoleri Giuseppe, che teneva fermi i piedi della donna che tentava strenuamente di divincolarsi, così cagionando la morte della Rapposelli.

Giuseppe Santoleri, tuttavia, ha addebitato l'azione omicidiaria unicamente al figlio.

Maria Chiara e Giada, le donne di Simone

Un mese fa hanno sfilato in aula nell'udienza-fiume davanti alla Corte d'Assise, Maria Chiara e Giada, rispettivamente la sorella e l'ex compagna di, Simone Santoleri, dalla quale l'ex guardia giurata ha avuto una figlia, della quale ha perso la patria potestà. La donna ha testimoniato dell'indole tormentata dell'ex convivente e dei comportamenti minacciosi, che poi l'hanno indotta a interrompere la relazione e ha sporgere denuncia per stalking. Maria Chiara, invece, oggi ospite in una camera in affitto in un casolare di campagna di Osimo, dove vive grazie alla generosità di un amico del padre, ha raccontato il vissuto familiare di casa Rapposelli – Santoleri. Entrambe hanno descritto Simone come un uomo ossessionato dal denaro che, dopo aver accolto in casa l'anziano padre, aveva assunto il controllo totale della sua pensione.

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