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Matteo Salvini è in un momento molto particolare della sua carriera politica, questo è sotto gli occhi di tutti. Stretto tra l’ingombrante presenza di Giorgia Meloni e la forzata coabitazione con Antonio Tajani, deve sgomitare per difendere i suoi margini di manovra all’interno dell’esecutivo. La stabilizzazione del consenso di Fratelli d’Italia e le scelte strategiche del Movimento 5 stelle targato Conte limitano il raggio di azione della Lega su una certa tipologia di elettorato. La situazione interna al Carroccio, con complesse Elezioni Regionali alle porte, non è certamente delle più tranquille.

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Insomma, il “Capitano” è da mesi in affanno, alla ricerca dell’agibilità perduta e, soprattutto, di un’incisività nel dibattito pubblico che manca da troppo tempo. Eppure, come vi raccontavamo in questo pezzo, l’idea iniziale non era niente male: alternare il doppio registro di “uomo del fare” e di “elemento di rottura” all’interno del governo, in modo da logorare lentamente una presidente del Consiglio frenata dal ruolo e della responsabilità, tanto in politica estera che interna. In questo senso si inscriveva anche la scelta di rafforzare il generale Vannacci, che pure poteva sembrare controintuitiva, almeno per chi pensa che l’europarlamentare possa essere un’alternativa al ministro dei Trasporti. L’avanzare del progetto del Ponte sullo Stretto, il lavoro sul nuovo codice della strada, il posizionamento del governo intero sul green deal (e non solo), il proscioglimento dall’accusa di sequestro di persona: risultati che il leader leghista era stato in grado di rivendicare con efficacia, con riscontri abbastanza positivi dai sondaggi politici.

Il meccanismo, però, era destinato a incepparsi e non ci è voluto molto perché avvenisse.

Semplicemente, Giorgia Meloni è tornata a fare Giorgia Meloni. A controllare la narrazione pubblica, a dettare l’agenda dell’esecutivo, a gestire in autonomia la collocazione internazionale dell’Italia. È lei il punto di riferimento degli elettori di area, ma anche degli animatori della nuova destra mondiale identitaria e sovranista. Sul punto, da tempo sono in molti a sottolineare come Salvini stia scivolando sempre più a destra, abbracciando più o meno convintamente posizioni estremiste (la fascinazione di parte della Lega per la Remigration è un vero caso) e ampliando la sua distanza con le altre anime del centrodestra, Forza Italia su tutte. Nelle ultime settimane, del resto, il capitano non ha fatto nulla per nascondere l'insofferenza su questioni come il riarmo ("Non serve a nulla, meglio investire sulla sicurezza interna"), la legge di interpretazione autentica su Milano ("è proposta di FI e Fdi, l'abbiamo votata per spirito di lealtà") o la prudenza di Meloni sui dazi. Così come è stato durissimo con Tajani sulla questione ius scholae e sta tenendo il punto sull'esplosiva situazione al Mic.

In questo contesto, probabilmente, va letta la questione di cui ci occupiamo oggi: la polemica con Mediaset. Tutto nasce da un passaggio del discorso che Salvini ha tenuto a Pontida, nel quale ha sfoderato il meglio della narrazione vittimista, ormai assurta a caratteristica fondamentale per i leader della destra italiana. Nel descrivere una Lega sotto assedio, infatti, Salvini ha accennato anche al tema delle televisioni: “Mi dispiace umanamente, anche su Mediaset accendi ed è sempre tutto colpa della Lega come su La7”. Chiosando con un laconico: “Mi manca Silvio Berlusconi”. Silvio, appunto.

Parole non casuali, che sono immediatamente diventate un caso politico. Su La Stampa possiamo trovare una ricostruzione piuttosto interessante, con alcune informazioni di contesto: "Vuole più spazio, più attenzioni, più riflettori accesi. Matteo Salvini ha la sgradevole sensazione di essere stato dimenticato in un angolo buio degli studi Mediaset. La rete televisiva che aveva fatto la sua fortuna, all'epoca in cui la Lega sfondava quota 30%, adesso lo tratta senza il dovuto riguardo. Questa, almeno, è la sua impressione. E lo ha fatto notare in modo ruvido, l'altra sera, dal palco della festa leghista della sezione di Pontida: “Accendo la tv su Mediaset e di qualunque cosa si parli è sempre colpa nostra”. Una lamentela in pubblica piazza".

Da Mediaset, come prevedibile, non sono arrivate risposte ufficiali. Giacomo Salvini sul Fatto, però, riporta alcune considerazioni di una certa rilevanza:

“Il retequattrismo è una sciocchezza, lo dicono i numeri. Pluralismo totale“, si difende Mauro Crippa, Direttore dell’Informazione Mediaset. I talk del Biscione tirano però di fatto la volata al governo Meloni, sponda Premier appunto. Lì dove Salvini ha perso forza e peso politico, lì dove regnava ora ha il ruolo del figurante. Perché dalle parti del Biscione, una volta accontentata la maggioranza sponda Fdi, puntano a spazi non schierati, in versione foglia di fico o comunque nel tentativo di uscire dal coro, di provare a rappresentare il mondo non governativo.

Bianca Berlinguer, dunque, raddoppia. In onda non solo il martedì sera con “E’ sempre CartaBianca“, promossa anche su Canale 5 in seconda serata da ottobre con un prodotto nuovo di inchiesta e reportage. O come l’arrivo, dopo tanti ragionamenti e dopo aver valutato diversi nomi, di Tommaso Labate con “Real Politik”: “È un notista del Corriere della Sera, un giornalista che a me piace moltissimo, lo trovo bravo”, ha annunciato così da Pier Silvio Berlusconi.

È questo un elemento molto interessante. Come vi abbiamo raccontato nella nostra copertura, alla presentazione dei palinsesti Mediaset sono emerse delle piccole ma sostanziali novità nel settore degli approfondimenti giornalistici e dei talk show di informazione. Simone Canettieri, su Il Foglio, ci racconta come l’ha presa il leader del Carroccio:

Nella Lega svelano che quando Salvini ha letto il nuovo palinsesto Mediaset quasi non ci credeva. Doppia razione settimanale di Bianca Berlinguer (giornalista che ha una consuetudine dai tempi della Rai con il leghista, ma non certo "amica"). Salvini e i suoi ce l'hanno anche con Francesca Barra che "sui social scrive cose incredibili contro il governo". In generale già da oggi "la platea degli opinionisti nelle trasmissioni sembra equilibrarsi verso il centrosinistra". Il problema per il vicepremier è Rete 4, considerata meno adesiva al centrodestra di un tempo, con l'amico Mario Giordano e il suo "Fuori dal coro" costretti ad andare in onda la domenica sera, aggiungono ancora gli onorevoli leghisti, "con meno ospiti politici rispetto al passato". Qualcosa è cambiato se a Fratelli d'Italia alla fine sembra andare bene così e al Carroccio no. "Anche sul Ponte sullo Stretto, peraltro sogno berlusconiano, la sensazione guardando le trasmissioni è che prevalga scetticismo e indifferenza". Ora la domanda è: siamo sicuri che i rapporti tra la famiglia Berlusconi e la Lega siano così idilliaci?

Anche perché, è di nuovo La Stampa che lo rivela, pare che Salvini avesse già fatto pressione sui vertici dell’azienda berlusconiana. Scrive Capurso:  "Il vicepremier ne aveva parlato con Fedele Confalonieri, andandolo a trovare lo scorso 31 marzo nel suo ufficio a Milano, protestando per la scarsa considerazione che riceve da parte delle tv guidate da Piersilvio Berlusconi. Risultati ottenuti: pochi. Così ora si è convinto ad alzare la voce. Ma chi tiene unito il filo dei rapporti tra Mediaset e Forza Italia non ha affatto apprezzato le modalità. Quelle di Salvini, avanzate dal palco di Pontida, suonano come “proteste immotivate e poco rispettose del lavoro dei professionisti che lavorano a Mediaset”.

Ora, chiaramente sarebbe riduttivo pensare che il leader leghista sia disposto ad andare allo scontro frontale per qualche ospitata nei talk show o per qualche commento sgradito sulla sua azione di governo o sulla conduzione del partito. È evidente, però, che questa sia una delle tessere del puzzle e come tale abbia una certa rilevanza. In uno schema, peraltro, ancora poco chiaro.

Non tragga in inganno la solidità della reggenza Meloni, infatti, perché a destra ci sono tante cose in movimento. Prima di tutto ci sono le Elezioni Regionali, che vanno gestite tanto nella fase di individuazione delle candidature (con i noti problemi di "equilibrio" tra Fdi, Lega e FI) che in campagne elettorali che si annunciano piuttosto complicate nelle regioni contendibili. Il clima in casa centrodestra è rovente, la Lega rischia un ulteriore ridimensionamento, con un contraccolpo sensibile sul territorio.

Poi c'è la nuova legge di bilancio, snodo cruciale e catalizzatore di tanti appetiti. Dopo tre anni di prudenza e stabilità, dopo tre manovre di brodini caldi e piccoli contentini, Salvini vorrebbe una vera svolta su punti centrali della sua proposta politica ed è facile prevedere che cercherà di spingere sull'acceleratore. Ma il contesto internazionale (tra dazi e instabilità) certamente non aiuterà, riproponendo le solite discussioni tra le diverse anime della maggioranza, in particolare per quel che concerne il rapporto con le istituzioni europee. Infine, la lunga cavalcata verso le cruciali elezioni politiche del 2027, quelle che determineranno il Parlamento che eleggerà il nuovo presidente della Repubblica (e non serve aggiungere altro).

Salvini, che ha beneficiato come pochi altri del "retequattrismo" (che esiste eccome), ora si sta rendendo conto di essere scoperto su più livelli e che le cose potrebbero persino peggiorare. Perché in ogni tappa di questo percorso sarà fondamentale controllare la narrazione pubblica, saper imporre la propria agenda politica e poter contare su una struttura in grado di amplificarne i messaggi. È il momento in cui o hai visibilità o sei fuori. E la partita si gioca non solo sui social, dove pure Lega e Fratelli d’Italia hanno fatto passi enormi, ma anche sui canali di tipo tradizionale. O meglio, passa per una vera infrastruttura mediatica, che sappia tener dentro tutto ciò, anche alla luce della lezione che arriva dagli Stati Uniti, con Trump che ha costruito il suo trionfo elettorale grazie all'uso intensivo delle nuove forme della comunicazione social (podcaster e youtuber con enorme seguito, in particolare), ma anche con il supporto di una solida base "tradizionale".

La famiglia Berlusconi, in questo senso, è una grande incognita. Pier Silvio è una grande incognita (ne scrivevo qui). Perché ha, o meglio avrebbe, la potenza di fuoco per fare la differenza e, magari, provare a ripercorrere le orme del padre. Sa, però, che la strada è lunga, tortuosa e piena di ostacoli. Che bisogna prepararsi bene, costruendo la scalata passo dopo passo. E che, anche a costo di causare qualche mal di pancia tra gli amici di un tempo, è fondamentale creare un clima diverso sul "prodotto", per renderlo appetibile ai consumatori e convincerli a cambiare. Così come è fondamentale ridurre il numero dei prodotti sullo scaffale, togliendo dalla vetrina quelli giudicati poco compatibili col progetto. È sempre una questione di mercato, insomma.

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