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“Vivere vendendo libri è un po’ folle. Ma questo è un presidio culturale”, dice di Giancarlo Piacci di Ubik Napoli

Giancarlo Piacci, direttore della libreria Ubik Napoli, a Fanpage: “Siamo un presidio culturale in una città cambiata moltissimo dopo l’ondata turistica”
Intervista a Giancarlo Piacci
Direttore della libreria Ubik Napoli
A cura di Vincenzo Cimmino
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Piacci Ubik
Giancarlo Piacci, direttore della libreria Ubik Napoli

"L'idea di vivere vendendo libri è un'idea un po' folle, questo è un mercato molto complesso, prima c'era un'idea molto romantica della libreria". A parlare è Giancarlo Piacci, scrittore e direttore della libreria Ubik di Napoli dal 2020. Raggiunto da Fanpage ha raccontato gli inizi della libreria nel cento storico, in via Benedetto Croce, e cosa significhi, oggi, gestire un presidio di cultura attraverso un franchising "libero" . Continua il nostro viaggio all'interno delle librerie di Napoli.

Giancarlo Piacci, come inizia la storia di Ubik nel cuore di Napoli?

"Noi siamo qui da diversi anni, sono più di 15, l'inaugurazione è stata fatta l'8 aprile 2009. La proprietà ha associato la libreria al marchio Ubik quando nel gruppo c'erano meno di 20 librerie, e oggi sono quasi 200. Siamo stati tra i primissimi a credere in questo progetto, in questa idea di franchising molto libero. Di base, l'idea della Ubik è che ogni sua libreria sia diversa. Ad esempio, benché il colore sociale sia un rosso quasi amaranto, noi abbiamo scelto l'azzurro, proprio perché a Napoli tutto è azzurro".

Cosa spinge un gruppo di giovani ad aderire a un progetto del genere e a portarlo in via Benedetto Croce?

"Io credo, benché il mercato sia molto complesso e l'idea di vivere vendendo libri sia un po' folle, che tutti noi che lavoriamo qui avessimo chiara l'idea che questo fosse uno spazio di cultura prezioso per la città. Prima c'era un'idea molto romantica di libreria, si pensava che aprirne una significasse aprire un'estensione della libreria di casa propria, e così, magari, di avere un'opportunità in più per leggere. Tutto questo non è vero, la libreria è una cosa che ti sottrae un sacco di tempo e che richiede un dispendio enorme di energia. Però rimaniamo molto consapevoli del nostro ruolo di presidio culturale sul territorio. Soprattutto in un luogo in cui negli ultimi 15 anni hanno chiuso quasi 90 librerie e aperto contemporaneamente quasi soltanto strutture ricettive e food".

Una città in cambiamento. Come si vive qui il fenomeno del turismo?

"Questa parte della città è cambiata moltissimo. Anche le persone che prima abitavano qui, in tante, sono andate via. Il turismo ha invaso il quartiere e questo non è sempre positivo. Purtroppo siamo ancora molto soggetti a una retorica del turismo come qualcosa che porti magicamente, inequivocabilmente benessere. In realtà non è così. Come tutto, dovrebbe essere regolamentato. Poi stanno aumentando i costi di tutto, sempre sotto questa pressione turistica. Non lo critichiamo, ma dovrebbe esserci più controllo".

Prima si parlava della chiusura delle librerie e dell'apertura di strutture ricettive e di food. Il futuro è nel cibo?

"Io posso esprimere soltanto il mio parere personale. Prima se non avevi il megastore col bar, col caffè, sembrava che tu non potessi esistere. Certo, magari quelle che stanno aprendo sono attività che vedono un grande sforzo da parte degli imprenditori, ma noi abbiamo fatto una scelta chiara: noi siamo libreria. E adesso anche i grandi gruppi stanno cercando di tornare a questa dimensione, cercando di essere più libreria di quartiere. Credo sia passata l'epoca in cui associare il food sembrava essere l'unica possibilità di futuro per le librerie".

Se non nel cibo, il futuro per le librerie può essere nel fare rete tra di loro?

"Io penso che fare rete sia possibilissimo, credo che questa sia la base. Si può crescere anche guardando a un modo di lavorare che non è il proprio. Certo, è un mondo concorrenziale, però non credo che se chiuda una libreria sia meglio anche per noi. Anzi, se ne chiude una per noi, come per tutti, è un problema. Vuole dire che il numero dei lettori sicuramente diminuirà, così come diminuiranno le opportunità per i bambini di crescere con una libreria nella propria strada e quindi essere abituati al fatto che esista un luogo del genere".

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