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“Pitbull, cani sensibili ma nati per attaccare. Servono percorsi obbligatori per chi vuole tenere animali così”

Parla l’esperta cinofila in area comportamentale: “Molossi, reattivi e da difesa. I canili sono pieni di pitbull perché le persone non riescono a gestirli e se ne liberano”
Intervista a Rosaria Vernese
Esperta cinofila in area comportamentale, responsabile della scuola per cani "La Voce del Cane"
A cura di Valerio Papadia
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Uno dei cani tenuti nella struttura
Uno dei cani tenuti nella struttura

Quanto accaduto oggi, lunedì 22 aprile, a Eboli, nella provincia di Salerno, ha sconvolto la comunità: un bambino di soli 15 mesi è morto dopo essere stato attaccato da due pitbull mentre si trovava nel giardino di casa, in località Campolongo, sul litorale della città della Piana del Sele; la madre del piccolo, invece è rimasta ferita nel tentativo di difendere il suo bambino.

Non è, purtroppo, il primo incidente che coinvolge un molosso: soltanto il mese scorso, a Napoli, un barboncino è stato sbranato proprio da un pitbull, che ha ferito anche una donna. Per provare a spiegare il perché di un episodio del genere, Fanpage.it ha intervistato Rosaria Vernese, esperta cinofila in area comportamentale (Escac) e responsabile della scuola per cani "La Voce del Cane", nell'area flegrea di Napoli, che si occupa di educare animali – e padroni – ad avere un comportamento adeguato e responsabile.

Innanzitutto, perché possono accadere simili incidenti? 

I molossi in generale, in particolare i pitbull, sono cani che hanno un'alta reattività e tendono a rispondere in maniera molto veloce agli stimoli. Inoltre, sono cani con una modalità predatoria molto sviluppata: questo significa che basta qualsiasi stimolo, anche il più piccolo, per farli scattare e, una volta innescata la reazione, non sono in grado di fermarsi. Questo è da imputare alla loro selezione: sono concepiti come cani da difesa, nati per attaccare, spesso purtroppo utilizzati come "armi".

È possibile evitare tali comportamenti da parte di questi cani?

C'è bisogno di tanta consapevolezza ed educazione su come ci si prende cura di un pitbull, bisognerebbe intraprendere un percorso lungo e complesso imparare a gestire un cane del genere. Non è un caso se, soprattutto al Sud, i canili sono pieni di pitbull: le persone non riescono a gestirli e se ne liberano. Molto spesso, con loro viene utilizzata un'educazione coercitiva. Stando alla mia esperienza lavorativa ventennale, i cani che uccidono sono quelli che vengono tenuti in giardino, utilizzati quasi come arma di difesa, oppure cani che provengono da addestratori. Se si cerca di controllarlo, si ottiene soltanto l'effetto contrario: una volta che il cane sfuggirà al controllo, sarà soltanto peggio. E invece, i pitbull sono animali molto sensibili, si dovrebbe lavorare sullo sviluppo delle loro capacità cognitive ed espressive.

Esiste, secondo lei, un modo per evitare che accadano queste tragedie?

Come detto, c'è bisogno di tanto impegno, non soltanto dai padroni, ma anche dalle istituzioni. In Inghilterra e in Svizzera, ma anche in Spagna, è stata adottata una politica molto restrittiva sui pitbull: innanzitutto, ne è stata limitata la diffusione, anche tramite il divieto di riproduzione per questa razza. In questi Paesi, chi vuole tenere un pitbull deve intraprendere un percorso lungo ed essere seguito da una persona qualificata, esperta nella gestione comportamentale dell'animale. In Italia, ad esempio, da circa 3 anni ci sono gli Educatori cinofili in area comportamentale (Escac) che si occupano proprio di questo.

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