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Noi, le vere Mina Settembre di Napoli. Parlano le assistenti sociali della città

Una assistente sociale di Napoli che lavora in un centro della periferia racconta a Fanpage.it come ha vissuto la fiction di Rai Uno, interpretata da Serena Rossi e ispirata ai romanzi di Maurizio De Giovanni: “Con i colleghi abbiamo giocato a ‘Se fossi io Mina Settembre’ e cercato di capire insieme come avremmo risolto i casi che lei si trova ad affrontare nella realtà. Di Mina ci è piaciuta la passione che mette nel suo lavoro”.
A cura di Pierluigi Frattasi
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Mina Settembre ci è piaciuta molto. Ne abbiamo parlato. È una bella serie televisiva perché i problemi che affronta sono reali. Storie che noi assistenti sociali incontriamo ogni giorno. Il nostro è un lavoro di frontiera. Tra colleghi, a Napoli, in queste settimane in cui è andata in onda la serie, abbiamo per così dire giocato a  ‘Se fossi Mina Settembre’, affrontando i casi che accadono all'assistente sociale più famosa della tv italiana, e cercando insieme le soluzioni realmente fattibili rispetto a quelle che prende poi Mina. Ed è stato molto divertente, perché ci ha fatto ricordare anche della passione che ci vuole per il nostro lavoro, che non è burocrazia”.

Racconta così a Fanpage.it, Floriana, nome di fantasia (per non renderla riconoscibile) di una vera assistente sociale di Napoli che lavora in un centro della periferia, e fan della fiction di Rai Uno, che ha per protagonista Serena Rossi, ispirata ai romanzi di Maurizio De Giovanni. “Mina – racconta Floriana – ad un certo punto dice ad un suo assistito: ‘Dimmi cosa posso fare per te’. Ed è una frase bellissima che i nostri utenti vogliono sentire e che adottiamo anche noi. In quel caso ci siamo resi conto di quanto sia bella la passione di Mina per il suo lavoro e quanto sia vera Mina nel suo agire”.

Quali sono i casi di "Mina Settembre" che più vi hanno colpito?

Tra i casi che abbiamo più discusso, c’è quello del disoccupato disperato che minaccia di lanciarsi dal cornicione del palazzo dove c’è il Consultorio di Mina (tratto dalla seconda puntata ‘My fair lord’). Nessuno arriverebbe a salire sul cornicione per salvare quell'uomo. Piuttosto si sarebbe tentato di instaurare una  relazione, mentre chi di dovere (carabinieri, vigili del fuoco) sarebbero intervenuti per fare quello che ha fatto Mina. Alla fine di quella storia, poi, grazie al suo aiuto, quell’uomo riesce ad avere un contratto a tempo indeterminato. Noi che lavoriamo a contatto con la povertà e col reddito di cittadinanza abbiamo immaginato che il giorno dopo in ufficio sarebbero arrivati tutti i nostri assistiti chiedendo il famoso posto fisso. Che è una cosa che poi capita, perché ci sono molte persone che fraintendono il nostro lavoro e pensano che la soluzione ai loro problemi sia semplicemente la ricerca di un lavoro, quando c’è invece un lavoro introspettivo da fare, perché la loro situazione dipende spesso da altre povertà formative, familiari, sociali, non solo economiche.

Ci sono anche temi molto delicati come gli abusi su donne e minori.

In una delle ultime puntate, viene trattato il tema della violenza sulle donne (nella decima puntata ‘Un giorno Brutto’). Quando noi trattiamo l’abuso andiamo sempre con i piedi di piombo, dobbiamo trovare l’equilibrio tra ciò che ci racconta la vittima, donna o minore che sia, e la realtà. Non sta a noi indagare sulla verità, ma ascoltare e proteggere chi dice di subire queste violenze. Non dobbiamo mettere in dubbio la parola della donna, ma neanche accusare ingiustamente qualcun altro, perché a volte dietro delle dichiarazioni ci possono essere conflitti familiari, problemi psicologici. Bene, devo dire che come assistenti sociali ci siamo ritrovati in quella situazione e con la scelta di Mina. Perché proprio in quell’occasione l’assistente sociale può trasgredire un po’ alle regole, tra virgolette, nel senso che deve immediatamente attivare un codice rosso per mettere in protezione le donne. In quel caso, Mina non ha agito solo d’istinto, ma anche bene professionalmente.

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Cosa le è piaciuto di più di Mina Settembre?

Il suo riscoprire l’aspetto umano di questo lavoro. Noi facciamo corsi di formazione per evitare di cadere nei tecnicismi e nei ranghi della burocrazia infinita e per non perdere questa passione. Questa serie è servita anche a ricordarci questo spirito da portare avanti. È bello che il ruolo dell’assistente sociale sia stato descritto per una volta dai media in questo modo e non come colui che porta via i figli ai genitori, come spesso ci dipingono. Adesso si è aperta una nuova finestra e siamo contenti che si sia acceso un faro anche sui problemi delle persone, perché la gente, attraverso la fiction riesce a guardare i problemi reali. Nella vita molti si girerebbero dall’altra parte, perché sono storie troppo forti”.

Che ne pensa delle soluzioni trovate da Mina ai vari casi?

Sulle soluzioni adottate, dobbiamo dire che nella realtà non sono sempre così spettacolari come si vedono nella fiction, perché devono tener conto di tante cose. Non solo delle risorse personali di Mina, che si mette a disposizione con empatia, ma anche di rapporti che si costruiscono nel tempo con la persona. Credo che manchino un po’ nella serie le risorse istituzionali, cioè le cose da mettere in campo per trovare le soluzioni, e le risorse professionali, come le tecniche e le metodologie acquisite con studio ed esperienza. Ecco, queste Mina non le mette in campo, rischiando forse di passare un po’ come una crocerossina e di far credere che basti solo un po' di buona volontà, empatia e coraggio per fare questo lavoro e non una formazione specifica”.

Cosa altro c’è di diverso rispetto alla realtà?

Noi non possiamo coinvolgere amici e parenti nella soluzione di un problema, perché sarebbe una  violazione della privacy, anche se creare una rete informale è molto utile, ma dobbiamo utilizzare le risorse dei servizi che abbiamo a disposizione. Ci è dispiaciuto anche che non si sia mai visto il mondo dell’associazionismo, con cui invece a Napoli si collabora molto, sia quello dal basso che quello che ha dei progetti col Comune, o, nel caso di Mina, del Consultorio. Ci sarebbe, poi, da parlare di tutte le regole che trasgredisce Mina: spiare sul cellulare dell'utente, presentarsi sotto falso nome. Cose che ovviamente non possiamo fare. Se l'avessimo fatto noi, saremmo finiti dritti al consiglio di disciplina. Le informazioni ci vengono fornite dai racconti dell'utente e non da investigazioni. Ecco perché è importante la relazione di fiducia e il tempo. È importante anche la chiarezza e la condivisione di ciò che si sta facendo. Il progetto sociale deve essere sempre condiviso con l'utente perché anche lui è parte attivo del processo di cambiamento.

Qual è la differenza tra gli assistenti sociali del Comune e quelli dell’Asl?

C’è una grande differenza. A Mina Settembre arrivano casi disparati. Invece, esiste un centro per ogni tipologia di bisogno. L’assistente sociale dell’Asl si occupa di problemi socio-sanitari, come tossicodipendenze, responsabilità familiari sullo stato di salute dei minori, disabili, anziani. E interviene con un intervento riabilitativo, di reinserimento in comunità. Invece, il Comune si occupa di un’utenza più vasta, come minori in difficoltà educative, donne in difficoltà o maltrattate e collabora con l’Asl per queste tipologie di utenti che hanno bisogni sia sociali che sanitari.

Mina Settembre che tipo di assistente sociale è?

Mina Settembre è un’assistente sociale del Consultorio, un servizio specifico dell’Asl che dovrebbe occuparsi di più delle responsabilità familiari. Non intendo la dispersione scolastica, di cui si occupa il Comune, ma di orientare le giovani donne. Si occupa di tutte le fasi di vita della donna. Abbraccia la sfera della salute della donna e dei suoi figli, dalle prime fasi di vita all’accudimento del bambino. Deve responsabilizzare la mamma a una genitorialità consapevole verso i bisogni primari del bimbo.

Quindi Mina Settembre è più vicina ad una assistente sociale del Comune?

È un po’ tutte le figure assieme. In una puntata ha delle caratteristiche anche delle assistenti sociali del Tribunale, che fanno parte dell’UEPE (ufficio esecuzione permane esterna), che si occupa del reinserimento sociale degli ex detenuti. Ma capisco le esigenze della fiction. Nella realtà, non tutti gli utenti si sarebbero dovuti rivolgere a Mina Settembre, ma dovevano essere orientati verso il servizio giusto. Per esempio, tornando al disoccupato sul cornicione, Mina è intervenuta perché l’uomo abitava nel palazzo del Consultorio. Ma ogni assistente sociale ha una competenza di un settore di bisogno e territoriale. Se un assistente sociale di Scampia viene a sapere di un caso di bisogno al Rione Sanità deve avvertire il collega competente della zona. Certo, se sei sul posto, agisci come pubblico ufficiale presente.

Quali sono le difficoltà a cui andate incontro nel vostro lavoro?

Ci capitano spesso aggressioni verbali. È difficile che si arrivi alla violenza fisica. La messa in protezione di un minore, per esempio, è uno dei momenti più delicati e siamo sempre coadiuvati dai carabinieri quando facciamo questi interventi. Un classico, poi, è sfasciarci l’ufficio. Purtroppo non abbiamo neanche una guardia giurata, ma anche perché il nostro compito è quello dell’accoglienza e quindi cerchiamo di ridurre al minimo tutte quelle che possono essere interpretate come barriere o minacce. Anche se a volte la guardia giurata servirebbe proprio.

Come vi approcciate alle realtà più delicate come possono essere i campi rom?

Al campo rom ci sono spesso tensioni. È una dinamica consolidata che quando arrivano gli assistenti sociali, spesso per un monitoraggio o un colloquio, sorga sempre una sorta di barriera. Scattano dei meccanismi di difesa. Ma si è ovviato a questo problema con i mediatori che collaborano in alcuni progetti, che ci fanno da filtro. Quando non è necessaria la nostra presenza al campo, sono loro che informano le famiglie e le portano in ufficio, dove di solito sono più collaborative.

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