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La camorra napoletana forniva mezzi ai sardi per assaltare i portavalori. Ma i camion erano rotti

I clan Di Lauro e Fabbrocino, attraverso un loro uomo di fiducia, fornivano mezzi pesanti alla banda di criminali sardi sgominata oggi dai carabinieri. In due casi però gli acquirenti avevano dovuto rimandare la rapina: un escavatore era troppo piccolo, “buono per schiacciare le patate”, e in un altro il camion si era fermato per strada.
A cura di Nico Falco
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I clan Di Lauro e Fabbrocino erano tra i "fornitori" della banda di criminali sardi sgominata oggi dai carabinieri: un loro uomo di fiducia faceva da intermediario con la ‘ndrangheta per la fornitura di armi e droga, ma soprattutto reperiva ruspe ed escavatori che servivano per gli assalti alle sedi di un istituto di vigilanza. Non sempre però le cose erano filate lisce: in un caso i criminali avevano dovuto desistere perché un camion si era fermato per strada, in un altro i mezzi pesanti arrivati grazie agli amici napoletani si erano rivelati inadatti. "Noi siamo professionisti, non sbagliamo un colpo – si sente in una conversazione intercettata dagli inquirenti –  questi vanno bene per schiacciare patate".

Gli arresti sono scattati questa mattina, 7 gennaio: 32 misure cautelari personali, di cui 20 in carcere e 12 ai domiciliari, eseguite dai carabinieri del Comando Provinciale di Cagliari tra Cagliari, Nuoro, Oristano, Sassari, Livorno, Grosseto, Roma, Caserta e Napoli col supporto dei reparti locali. Agli indagati, tra cui due corsi, vengono contestati i reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, al traffico internazionale e alla detenzione di armi comuni da sparo, da guerra e clandestine, all'organizzazione di rapine e assalti a caveaux e furgoni, smercio di banconote false e riciclaggio di mezzi e denaro.

Le indagini erano partite nel 2018, quando i carabinieri di Carbonia, durante controlli mirati, avevano scoperto in un ovile di Santadi di proprietà di Umberto Secci tre mezzi, tra cui un Iveco Daily rubato il 21 ottobre 2017 a Nuoro e un altro che risultava essere stato usato per un tentativo di rapina a un portavalori nel gennaio 2018. Da quel ritrovamento i militari sono riusciti a delineare i contorni dell'organizzazione. Sono stati documentati i contatti tra Secci e Giovanni Mercurio, 56enne di Loculi, a capo di una organizzazione che trafficava armi e droga e di una rete di rapporti finalizzata a commettere reati contro il patrimonio, in particolar modo rapine a sedi della Mondialpol e assalti a furgoni portavalori in Italia e all’estero.

L'asse della droga tra Sardegna e Corsica

Mercurio, hanno ricostruito gli inquirenti, vendeva droga ed esplosivi dalla Sardegna alla Corsica in cambio di armi. Documentato il traffico di 82 chili di marijuana, 10 di hashish e 5 di cocaina. Sull'isola francese Mercurio aveva l'appoggio di Francesco Ledda, 49 anni, di Ala dei Sardi, che insieme al figlio Marco Davide Ledda e alla compagnia Patrizia Scanu si occupava di custodia, trasporto e vendita della droga usando la propria abitazione in Corsica. Gli stupefacenti, recuperati da Mercurio in Sardegna, venivano trasportati in Corsica  da Ledda venduti attraverso la rete di spaccio organizzata con Dario Azzena, sardo emigrato in Francia; il ricavato veniva consegnato periodicamente a Mercurio, i militari hanno documentato pagamenti da 60mila euro a luglio 2019 e di 20mila euro a febbraio 2020.

La cocaina arrivata dal Lazio

I contatti di Mercurio arrivavano anche nel Lazio, dove aveva aperto un altro canale di rifornimento di stupefacenti attraverso un suo uomo di fiducia, il 31enne di Olbia Antonio Spano, per l'acquisto di un grosso quantitativo di cocaina dal narcotrafficante Federico Fiorentini Arditi; in una occasione, nel luglio 2019, i tre si erano incontrati a Fiumicino. La droga, circa 2 chili, era stata poi venduta in Corsica dal figlio di Ledda e da Azzena. La cocaina veniva venduta anche in Sardegna, in Gallura da Antonio Spano e Patrizia Scanu, e nel sud Sardegna, presso l’ovile di Secci a Santadi. Nel Sulcis Secci teneva i contatti con Mercurio attraverso schede telefoniche segrete dedicate, trafficava droga con Pietro Paolo Serventi e aveva una propria rete di relazioni per il commercio con Roberto Sibiriu e Luisella Trastus di Villaperuccio.

Le rapine coi mezzi forniti dai clan Di Lauro e Fabbrocino

Ledda, Azzena e Mercurio trafficavano anche in armi, provenienti tutte dalla Corsica (attraverso Jean Luis Cucchi, topo d'appartamento responsabile anche del furto della pistola al sindaco di Figari), e organizzavano rapine in Italia e in Corsica. Nella preparazione dei colpi alle sedi della Mondialpol (a Cecina, in Toscana, e ad Elmas, in provincia di Cagliari) erano in trattativa con il napoletano Antonio Pagano, che faceva da tramite per i clan Fabbrocino e Di Lauro; in una occasione aveva avviato anche una trattativa tra i sardi e la criminalità organizzata calabrese per l'acquisto di un container pieno di hashish e kalashnikov. Porricelli, con l'intermediazione di Pagano, aveva consegnato a Ledda e Mercurio anche 50mila euro in banconote da 20 e 50 euro contraffatte

Insieme al nipote, Antonio Coppola, Pagano teneva i contatti tra i criminali sardi e i napoletani Luigi Porricelli e Umberto Lamonica, che reperivano con facilità camion, escavatori e ruspe da usare per gli assalti. Alle rapine partecipava anche Secci, che coordinava una batteria composta dai desulesi Andrea Luca Littarru, Alessio Germano Maccioni, Ilio Mannu, Mauro Peddio, Gianfranco Casula, Fabiano Mannu e Giovannino Littarru.

In Toscana l'appoggio era Robertino Dessì, allevatore sardo che custodiva armi ed esplosivi della batteria di desulesi nel suo ovile. La batteria aveva eseguito diversi sopralluoghi nella sede della Mondialpol, i mezzi pesanti erano stati già portati da Lamonica, Tullio, Sepe e Vallefuoco in un capannone da Salvatore Garippa e Pino Guttaduro per custodire i mezzi pesanti. Il colpo, però, era saltato a causa di diversi imprevisti: in un altro un camion era andato in panne durante il tragitto, ed era stato abbandonato per strada, in un altro i napoletani avevano fornito un escavatore troppo piccolo.

Durante gli spostamenti in Toscana i criminali spegnevano i telefonini e li riaccendevano soltanto una volta rientrati in Sardegna. L'unico canale possibile per rintracciare il gruppo era Giovannino Littarru, camionista, fratello di Andrea Luca, residente in Toscana. L'uomo aveva un ruolo di primo piano nell'organizzazione: aveva avuto l'incarico di riportare le armi in Sardegna dopo la rapina rinviata a Cecina. Il 31 luglio 2020 fu fermato nel porto di Cagliari e arrestato: nel carico di legname che trasportava c'erano 3 kalashnikov, due fucili, 5 pistole semiautomatiche, due bombe a mano, tritolo, esplosivo plastico, giubbotti antiproiettile e oltre 400 munizioni di diverso calibro, passamontagna e guanti.

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