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Il truffatore si vanta su Tiktok, il boss trova il video e gli chiede 50mila euro di pizzo

Il boss Giannelli, monitorando Internet, aveva individuato il profilo di un truffatore e gli aveva imposto la tangente; emerge dall’ordinanza eseguita contro il clan Licciardi.
A cura di Nico Falco
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Si era mostrato su TikTok con tremila euro in mano, evidentemente convinto che nessuno avrebbe potuto chiedergli conto di quei soldi che, a quanto pare, erano il provento delle truffe. Non aveva però considerato che una richiesta sarebbe potuta arrivare non dalle forze dell'ordine, ma dalla camorra, che voleva la propria parte su quell'affare illegale. Un esempio di web-patrolling, ovvero di monitoraggio della rete Internet,  quello che emerge dall'ordinanza eseguita il 2 dicembre contro il clan Licciardi e che coinvolge un presunto truffatore della periferia Ovest di Napoli e quello che, all'epoca, era ritenuto ai vertici di uno dei clan di camorra della zona.

Il video su Tiktok del truffatore

La circostanza è stata scoperta dagli investigatori intercettando le comunicazioni dal carcere di Alessandro Giannelli, a capo dell'omonimo gruppo, satellite del clan Licciardi, attivo nella zona di Cavalleggeri; l'uomo è stato ascoltato mentre fa la "imbasciata" ai truffatori; nella conversazione, che risale al 26 aprile 2022, chiede di versare una tangente di 50mila euro, parte dei proventi delle truffe telematiche.

Il boss aveva scoperto il giro di truffe telematiche su TikTok: controllando i vari profili, aveva trovato un video in cui uno dei presunti truffatori si era fatto riprendere in maniera goliardica con tremila euro in mano. Uno dei destinatari dell'estorsione, per sfuggire alle pretese, era scappato in Spagna.

Il blitz contro il clan Licciardi

L'inchiesta dei carabinieri, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, è sfociata ieri in 21 arresti nei confronti di indagati ritenuti legati al clan Licciardi, gruppo di camorra ai vertici dell'Alleanza di Secondigliano; sono state eseguite 19 misure in carcere (5 nei confronti di soggetti già detenuti) e 2 agli arresti domiciliari.

Gli indagati sono gravemente indiziati, a vario titolo, di "associazione di tipo mafioso", "estorsioni", "accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti", "ricettazione" ed "evasione", reati aggravati dal metodo e dalle finalità mafiose.

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