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“Il mio viaggio a Napoli”,  Piero Armenti accusa Russo di concorrenza sleale: gli influencer in tribunale

New York-Napoli, la battaglia dei “viaggi”: il Tribunale respinge le richieste di Armenti sui marchi ma condanna Russo per concorrenza sleale.
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Giuseppe Russo e Piero Armenti
Giuseppe Russo e Piero Armenti

Mille giorni di guerra legale fra memorie e carte bollate: la battaglia tra imprenditori-influencer del settore viaggi è durata quasi tre anni, dal 2023 al 2025. A fronteggiarsi, due nomi noti per chi frequenta i social ed è appassionato di travel, entrambi i soggetti sono campani. Il primo è Piero Armenti, salernitano, classe 1978, imprenditore, videoblogger, formatore, giornalista (attualmente sospeso, la vicenda l'ha raccontata Fanpage qualche giorno fa) noto per la sua creatura "Il mio viaggio a New York", residente in pianta stabile nella Grande Mela, dove ha un'agenzia viaggi molto nota che offre pacchetti non solo per la città-simbolo degli States ma anche per altre metropoli americane.

L'altro protagonista è noto soprattutto nella cerchia partenopea: si chiama Giuseppe Russo,  è il volto social de "Il mio viaggio a Napoli", un'idea che somiglia molto a quella dell'imprenditore salernitano. Russo, trentenne, è peraltro figlio di un nome notissimo delle tv locali, Saverio Russo, storico giornalista sportivo di Telecapri. La sua pagina ha avuto un successo repentino, tanto da farlo imporre subito nel panorama della travel food experience made in Napoli e addirittura consentirgli di aprire una sua attività commerciale, una pizzeria, in centro, a Napoli.

L'inizio della battaglia legale sui marchi

Un mese fa il tribunale di Napoli, sezione specializzata in Materia d'impresa, giudice estensore Leonardo Pica, ha messo un punto fermo sulla lunga disputa tra Armenti e Russo, con una sentenza destinata a suo modo a pesare nel mondo dei creator digitali. La controversia, come si può intuire, parte da Piero Armenti e si sviluppa sul crinale che separa marchi registrati, creatività online e imitazione dei format narrativi. Il Tribunale, dopo due anni di causa, ha tracciato una linea netta e la sentenza è quasi salomonica, tanto da lasciare soddisfatti (o scontenti) entrambi.

I due si conoscevano, Russo ha osservato l'ascesa di Armenti. Quando la fonte d'ispirazione è diventata anche una idea locale ecco che nascono i primi dissidi a suon di registrazioni di marchi e opposizioni. Il duello di fioretto diventa a sciabole con gli avvocati di mezzo.  Armenti pretende che la "famiglia di marchi" costruita intorno alla formula «Il mio viaggio a…» venga riconosciuta come suo marchio di fabbrica e quindi chiede di far annullare i marchi "Il mio viaggio a Napoli" e "My trip to Naples" registrati da Russo.

Partiamo da questo: secondo i giudici, Armenti deve rassegnarsi: l'espressione è descrittiva, priva della forza distintiva necessaria a generare un diritto di esclusiva e i marchi depositati da Russo restano validi. Armenti aveva parlato anche di malafede poiché nel 2020, ovvero l'anno in cui Russo registra il proprio marchio, egli aveva già dei siti web registrati. Ma – lo dice il tribunale – Armenti non aveva avviato alcun progetto concreto su Napoli, né utilizzava il dominio registrato anni prima. Quindi è no anche a eventuali risarcimenti economici all'imprenditore specializzato nei viaggi in America: non si può quantificare il danno.

Il comportamento online: qui cambia tutto

Se sul fronte dei marchi Armenti esce sconfitto, la decisione cambia radicalmente quando si passa all’analisi del comportamento online. Il Tribunale  riconosce che Giuseppe Russo de "Il mio viaggio a Napoli", pur avendo un progetto autonomo, ha adottato modalità comunicative troppo simili a quelle del concorrente. A cominciare dallo slogan: «Amici del mio viaggio a Napoli!», replica quasi letterale dell’ormai identificativo «Amici del mio viaggio a New York!» utilizzato da Armenti fin dal 2015.

Non solo. L’immagine di copertina, la struttura dei video, la scelta delle location e persino alcuni contenuti tematici vengono giudicati parte di un «intento sistematico di agganciamento alla notorietà altrui». Una dinamica, quella di Russo, che i giudici definiscono «concorrenza parassitaria»: non un episodio isolato, ma una sequenza costante di imitazioni tali da sfruttare avviamento e riconoscibilità altrui.

La sentenza impone a Russo un pacchetto di misure correttive piuttosto severe:  rimuovere lo slogan dai video in cui lo usa; cancellare i post ritenuti imitativi, compresi quelli girati a New York; eliminare l’immagine di copertina che richiama quella del competitor; pubblicare il dispositivo della sentenza sui suoi siti per 30 giorni. Previste anche penali economiche: 100 euro al giorno per ogni giorno di ritardo nell’adeguamento e 500 euro per ogni violazione futura.

La sentenza pubblicata sul sito di Russo
La sentenza pubblicata sul sito di Russo

La decisione della sezione Materia d'impresa del tribunale partenopeo chiarisce dunque aspetto destinato a riflettersi sul settore: i creator non possono rivendicare formule generiche come marchi esclusivi, ma non possono nemmeno replicare integralmente l'identità digitale di un concorrente. Dunque, in un mondo in cui format e narrazioni viaggiano e crescono ad alta velocità (così come cresce la disaffezione, motivo per cui occorre cogliere al balzo la notorietà per monetizzarla), la linea fra ispirazione e appropriazione indebita diventa più visibile: non conta solo cosa si dice, ma come lo si presenta al pubblico.

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