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Violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta)

“Erano demoni”: il racconto di Enzo, ex detenuto in sedia a rotelle picchiato nel carcere di Santa Maria

Parla per la prima volta Vincenzo Cacace, il detenuto sulla sedia a rotelle, oggi libero per fine pena, che racconta di essere stato picchiato all’interno del carcere di Santa Maria Capua Vetere. L’inchiesta, portata avanti dalla locale Procura che dovrà accertare la veridicità dei fatti, vede 52 misure cautelari, molte contro agenti di Polizia Penitenziaria.
A cura di Gaia Martignetti
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Quando entriamo a casa di Vincenzo Cacace è seduto su una poltrona. Precisa subito: «Ho passato quasi 28 anni in carcere, per droga, associazione etc. etc. Sono uscito dal carcere il 2 settembre, per fine pena». Di istituti detentivi ne ha girati tanti ma, spiega, non ha mai visto quanto accaduto il 6 aprile del 2020 a Santa Maria Capua Vetere. Vincenzo è il detenuto in sedia a rotelle percosso dalla polizia penitenziaria. Quella che sceglie di raccontare a Fanpage.it è la sua verità, su quanto accaduto nel carcere in cui era detenuto.

Quella che il gip, guardando i video agli atti dell'inchiesta della Procura locale che dovrà accertare la veridicità dei fatti, ha definito «orribile mattanza», è stata preceduta da una protesta dei detenuti. «Una piccola protesta», precisa Cacace, nata dall'interruzione dei colloqui con i familiari a causa dell'emergenza Covid.

Cacace aggiunge che è stato raccontato che i detenuti hanno gettato contro la polizia penitenziaria olio bollente, ma sostiene non sia vero. Al termine della protesta il giorno successivo, il famoso 6  aprile, stando a quanto racconta Enzo, la polizia penitenziaria ha fatto uscire dalle rispettive celle i detenuti, per dare vita a una delle pagine più nere della storia recente dei penitenziari italiani. «Io sono sulla sedia a rotelle, mi sono abbassato perché non ce la facevo più… (mi colpivano ndr.) in faccia, in fronte, dietro alla schiena, mi sono abbassato e martellavano. Siamo andati giù, loro per le scale io con l'ascensore. Anche nell'ascensore le percosse. Ci hanno rovinati, ci hanno portato sopra, salendo sopra ci hanno fatto il triplo. Un appuntato mi ha detto, Cacace non ti preoccupare perché si sono dimenticati le telecamere accese».

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E proprio grazie alle telecamere di videosorveglianza, agli atti dell'inchiesta, gli inquirenti stanno ricostruendo la vicenda che, per il momento, ha visto emettere 52 misure cautelari. Molte proprio contro esponenti della Polizia Penitenziaria. Di quei momenti, Enzo ricorda precisamente in quali parti del corpo è stato percosso. Spiega di aver perso i denti per la violenza di un colpo e di avere un problema all'occhio sinistro. Poi alza la maglia, mostrando un «buco sul petto» che racconta essere il frutto di una manganellata.

«Tutta la notte si sono messi, lasciavano uno e prendevano un altro. A me ci hanno messo mezz'ora a lasciarmi. Noi siamo diciamo malavitosi, abbiamo sbagliato nella vita, è giusto? Dobbiamo pagare, se sbagliamo, è giusto? Andiamo in carcere, la dobbiamo scontare la pena ma non con la vita, perché la vita è importante. Se andiamo in carcere, non siamo dei numeri di matricola siamo esseri umani».

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Prima di concludere il suo racconto, chiediamo a Enzo se abbia denunciato quanto sostiene di aver subito. «Non è nel mio stile, non ho mai fatto una denuncia, né alle forze dell'ordine né a nessuno. Sono un uomo d'onore, non le faccio queste cose, non esiste. Mi da proprio fastidio questa parola, denuncia. Però voglio dire una cosa: la devono pagare Dottorè, perché il male lo abbiamo qui dentro, noi il male lo abbiamo dentro. Per me non erano esseri umani, quelli erano demoni Dottorè, demoni e loro erano una sola cosa».

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