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Opinioni

Quegli schifosi commenti online sulla morte del rapper Jhonny Cirillo, suicida in carcere

Jhonny Cirillo, giovane rapper di Scafati di origini somale, si è suicidato ieri nel carcere di Fuorni, dove si trovava per scontare la pena dopo una rapina. Aveva 23 anni. Sotto il suo profilo Facebook si è scatenato il peggio dell’umanità. Una gogna post mortem orribile, al grido di “se l’è cercata”.
A cura di Nico Falco
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“Chi mi dà la ricetta dei tagliolini al salmone?”. Di tanti commenti, questo è quello che più spiazza. Perché ricorda quella protesta che andava di moda un paio di anni fa (ma sui social il tempo, si sa, è relativo – così come l’intelligenza), quando alle notizie ritenute poco interessanti si rispondeva con una ricetta a caso. E così capitava di trovare le istruzioni per fare i cannelloni sotto la notizia dell’ennesima lite tra starlette o quella della pasta alla Norma come risposta alla paparazzata di un vip semisconosciuto.

Poi però la cosa, come sempre, è sfuggita di mano. E così nel calderone delle notizie “inutili” ci è finito un po’ di tutto: una valanga di ricette per pizze fatte in casa, cotolette e dolci per protestare contro interviste a politici sgraditi e attualità. Tutto, sempre con lo stesso significato: “Di questa notizia non mi frega nulla e te lo devo dire”.

Oggi è toccato a Jhonny Cirillo, un giovane rapper di Scafati  di origini somale che si è suicidato ieri nel carcere di Fuorni, dove si trovava per scontare una pena dopo la condanna per rapina. Adottato da una famiglia del Salernitano ma di origini somale, era da tempo finito in un brutto giro di tossicodipendenza e probabilmente proprio per quello, a gennaio, aveva rapinato una farmacia. Lo avevano beccato pochi minuti dopo. Poi lui era evaso più volte dai domiciliari e quindi l’avevano rinchiuso in carcere. Una decina di giorni fa era stato condannato: 4 anni. Non li avrebbe probabilmente nemmeno scontati in prigione, ma non ce l’ha fatta. Aveva tutto il tempo di rifarsi una vita, ma il peso del carcere l’ha spezzato. Aveva 23 anni.

Quello dei tagliolini al salmone è il commento che più spiazza, ma non è l’unico. Perché, dopo la morte di questo ragazzo, si è scatenato l’odio dei social (si dice così, no?). E quindi, “Non è una gran perdita”, oppure “è il minimo che doveva fare”. O, ancora, “se tutti i carcerati prendessero il suo esempio, non ci sarebbe il sovraffollamento nelle carceri”, con tanto di doppia emoticon ammiccante.
Poi c’è anche il simpatico; quello, non manca mai: “Ora insegna a fare le rapine agli angeli”. Emoticon che ride.
E c’è anche quello che “ma quanti imprenditori si sono suicidati!”. Giusto, si suicidano gli imprenditori per la crisi, perché dovremmo interessarci a un rapinatore? Che, poi, tra l’altro, è pure nero, come ha fatto notare qualcun altro.

Ed eccola qui, la vigliacca gogna post-mortem. Perché è lecito sentirsi sollevati nel sapere che un rapinatore non possa più delinquere, ma in questo discorso la giustizia non c’entra nulla. Qui siamo ben oltre. Siamo all’ostentazione del menefreghismo (se non della felicità) nel sapere che un ragazzo di 23 anni si è ammazzato in cella.

E la cosa che più colpisce è che questi commenti vengono fuori da persone comuni. Da gente col profilo pieno di foto di animali, di amici, di fidanzati e fidanzate, con la bacheca zeppa di canzoni e meme, che ha sentito il bisogno di lasciare il proprio pensiero volendo dire a tutti che, tutto sommato, se uno a 23 anni fa una rapina e poi s’ammazza in carcere è tanto meglio così.
Su Facebook, dove c’è l’illusione dell’anonimato, della protezione. Di poter dire qualsiasi cosa, come se si sesse vomitando odio davanti al televisore – e subito dopo tornare a condividere gattini.

Ci si aspetta che certi commenti provengano da una determinata tipologia di persone, invece arrivano dal vicino di casa sorridente al quale basta un filtro come Facebook per spegnere il cervello e lasciarsi andare. Del resto, a guardia dei campi di concentramento mica c’erano gli alieni. C’erano geometri, panettieri, insegnanti, meccanici.

Ed è questa, la banalità del male.

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Giornalista professionista dal 2011, redattore di cronaca nera per Fanpage.it dal 2019. Precedentemente ho lavorato per i quotidiani Cronache di Napoli, Corriere del Mezzogiorno e Il Mattino.
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