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Il ragioniere e il restauratore di Avellino: la strana coppia anti-Dpcm progettava una seconda bomba

Ubaldo Pelosi e Carmine Bassetti, i due arrestati dai carabinieri per la bomba contro il centro impiego di Avellino, stavano preparando un secondo attentato, contro un obiettivo “importante e veramente sensibile”. Dall’ordinanza emerge la fascinazione dei due per il movimento dei Gilet Arancioni e l’insofferenza per le limitazioni imposte coi Dpcm in chiave anti Covid-19.
A cura di Nico Falco
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Un commercialista e un restauratore, entrambi fortemente frustrati dalle misure di contenimento anti Covid-19, che interpretavano come limitazioni immotivate alle libertà personali. E affascinati dal movimento dei Gilet Arancioni, guidato dal generale Antonio Pappalardo, e dalle arringhe dell'avvocato romano Edoardo Polacco, che in quel periodo redigeva e distribuiva moduli per denunciare i vertici dello Stato, tanto da arrivare al punto di mettere in pratica un attentato dinamitardo e progettarne un secondo che avrebbe dovuto essere clamoroso.

È il ritratto, che emerge dall'ordinanza firmata dal gip di Napoli, di Ubaldo Pelosi e Carmine Bassetti, i due arrestati dai carabinieri per terrorismo ed eversione, accusati della bomba fatta esplodere il 21 maggio 2020 davanti al Centro per l'impiego di Avellino. Un ordigno micidiale: posizionato in un cestino per i rifiuti, aveva mandato in frantumi un vetro spesso un centimetro. I due erano stati individuati grazie al racconto di un testimone, le successive intercettazioni avevano confermato il loro coinvolgimento e svelato che era in preparazione un secondo attentato.

La bomba contro il Centro per l'impiego di Avellino

È la sera del 20 maggio 2020 quando un ordigno esplode davanti al centro per l'impiego di Avellino, in via Pescatori. La bomba, piazzata probabilmente in un cestino, distrugge la vetrata anti sfondamento. La polizia giudiziaria recupera un frammento dell'ordigno e parte di un grosso petardo, un raudo, usato per l'innesco. Un testimone vede un uomo che si allontana velocemente dalla struttura e scappa su un'automobile, una Mercedes Classe A, dove lo aspetta un complice. Analizzando i dati dei lettori di targhe, i carabinieri individuano due vetture dello stesso modello che in quei giorni sono passate nel centro di Avellino: una è bianca ed è di Pelosi, commercialista di 52 anni; l'altra, nera, è utilizzata da Bassetti, restauratore di 49 anni.

La prima è quella vista dal testimone, così Pelosi viene messo sotto intercettazione a partire dal 21 maggio. Già dalle prime telefonate emerge che l'uomo ritiene di essere intercettato, sebbene non potesse sapere di essere sotto indagine per l'attentato di 21 ore prima. Viene disposta una perquisizione nella sua abitazione, eseguita il 22 maggio; nel suo computer, nella cronologia dei siti web visitati, gli inquirenti accertano che più volte ha cercato "bomba al centro dell'impiego di Avellino" e "centro impiego di Avellino".

Nei giorni successivi Pelosi, ormai a conoscenza dell'indagine, parla con un'altra persona, collegata al movimento dei Gilet Arancioni, e dice di ritenere di essere sospettato perché aveva presentato una querela nei confronti del premier Conte e che bisognava comunicare al generale Pappalardo quello che era accaduto.

I Gilet Arancioni, la denuncia a Conte e il generale Pappalardo

Dalle indagini è emersa la vicinanza dei due indagati con gli ambienti dei Gilet Arancioni, movimento di contestazione che in quel periodo era molto presente su Internet e con (poche) manifestazioni in piazza. Più volte nelle intercettazioni si fa riferimento ad Antonio Pappalardo, che di quel movimento è considerato il leader, e all'avvocato romano Edoardo Polacco, che aveva redatto il modulo per la querela nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri per i Dpcm (all'epoca la carica era ricoperta da Giuseppe Conte). Pappalardo e Polacco, che non risultano avere avuto nessun ruolo negli attentati, così come i contatti romani dei due, non risultano indagati in questo procedimento.

"Il gip deve subito rimarcare – si legge nell'ordinanza – che quelli emanati da Conte sono atti politici, emanati nella vigenza di una dichiarazione mondiale di pandemia, sorretti da decreti legge facultizzanti l'uso agile di un DPCM, e dettati da uno stato di emergenza dichiarata a livello mondiale, e come tali da considerarsi atti politici liberi nel fine, e dunque sottratti da valutazoni in termini di compromissione di diritti individuali in quanto sorretti da esigenze prioritarie di tutela di diritti collettivi".

I post di vari utenti sui social in cui si inneggiava alla denuncia
I post di vari utenti sui social in cui si inneggiava alla denuncia

La denuncia al presidente Vincenzo De Luca per le ordinanze regionali

Oltre a Conte, però, uno degli indagati voleva denunciare anche Vincenzo De Luca. Anzi, voleva essere proprio il primo a farlo. In una telefonata del 28 settembre Pelosi, parlando col contatto romano, si lamenta dell'ordinanza con cui il governatore della Campania ha reso nuovamente obbligatorie le mascherine, dice che vuole denunciarlo e chiede di essere informato di eventuali nuove iniziative dell'avvocato Polacco.

Un mese dopo, il 26 ottobre, dopo Bassetti e Pelosi partecipano alla manifestazione promossa da alcuni commercianti di Avellino contro le restrizioni, ma non è quello l'ambiente che speravano di trovare: la protesta è infatti pacifica, tanto che i due, parlandone successivamente, la definiscono "ridicola" e Bassetti dice di avere avuto vergogna di farsi vedere lì. "Da queste affermazioni – si legge nell'ordinanza – il gip deve trarre il convincimento che per i due indagati una manifestazione pacifica fosse decisamente inidonea allo scopo, con ciò concretizzandosi la pericolosa forma mentis degli stessi Pelosi e Bassetti, poco inclini a ricevere limitazioni dei loro diritti ed a reagirvi pacificamente attraverso autorizzati metodi di manifestazione del dissenso".

Il secondo attentato: "Uno sfizio che lascia il segno"

Nonostante fosse ormai chiaro che c'era una indagine in corso, e che fossero già emersi elementi a carico degli indagati, i due stavano progettando un secondo attentato, che sarebbe dovuto essere clamoroso. Il 7 agosto 2020 Pelosi telefona a Bassetti, che in quel momento è con una terza persona, e lo invita a raggiungerlo al bar per fare colazione insieme. Una ventina di minuti dopo viene captata una conversazione tra Bassetti e l'altro, subito dopo l'incontro con Pelosi.

E da qui si evince l'idea, attribuibile a Pelosi, di compiere un nuovo attentato.  Non è chiaro quale fosse l'obiettivo ma, secondo il gip, era "importante e veramente sensibile": i due lo definiscono difficile da avvicinare, ragionano sul fatto che si debba superare la videosorveglianza e che sarebbe stato necessario lanciare qualcosa da lontano. Un'azione molto più complicata, tanto che Bassetti dice all'altro di voler accettare soltanto se ben remunerato in quanto quelli non erano "sfizi normali" ma "sfizi che lasciano il segno" e aggiunge che Pelosi "ha manie di grandezza". L'altro lo scoraggia dal partecipare: "Non ti permettere… ma non fartelo passare per la testa… se no toglimi il saluto".

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