Auguri Napoli, il 21 dicembre la città compie 2500 anni

Napoli compie 2.500 anni: il compleanno (simbolico) del 21 dicembre e il suo significato. Dalla fondazione cumana a Roma, poi la grande anarchia del Ducato e i regni stranieri. Il sogno unitario con Napoli Capitale di Federico II di Svevia prima e Ladislao I dopo, poi il tentativo di Murat.
A cura di Giuseppe Cozzolino
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Napoli festeggia 2.500 anni di storia: nata da una "scissione" con la vicina Parthenope, oggi inglobata nella città, Napoli ha saputo essere sé stessa a cavallo di due millenni e mezzo, unendo culture di ogni tipo, da quella greca a quella romana, passando per quelle normanne, francesi, spagnole. Città il cui nome non è legato a qualche grande del passato come Alessandria che porta il nome di Alessandro Magno o Costantinopoli, che nacque come Nuova Roma fondata da Costantino (oggi Istanbul). Di "città nuove", nell'era antica, ce ne sono state tante: anche Cartagine, storica nemica di Roma, in lingua punica significava "Città Nuova". Ma solo Napoli è riuscita a imporre il suo nome nella storia attraverso i secoli.

La nascita di Napoli e le origini greche

Il 21 dicembre è, ovviamente, data simbolica: non esistendo all'epoca un calendario come quello nostrano. Ma esattamente come il 21 aprile è considerato il "Natale di Roma", anche quello napoletano ha una sua motivazione. Per gli antichi popoli, tutto era mistico: fondare una città in occasione di un solstizio o di un equinozio, aveva dunque un valore altamente spirituale. Roma, ad esempio, lega la sua nascita all'equinozio di primavera, mentre Aosta (l'antica Augusta Pretoria) venne fondata al solstizio d'inverno. Non un caso: i calendari erano quasi sempre legati a cicli lunari e solari, con il loro carico di simbolismo. E così fu per Napoli che, da tradizione, venne fondata proprio al solstizio d'inverno, dopo la "scissione" da Parthenope. Banalmente: nel giorno in cui le giornate iniziano ad allungarsi, un "segnale" della luce che vince sulle tenebre. Un buon auspicio che la longevità della città, arrivata poi ad inglobare la stessa Parthenope, sembra essere stato rispettato.

Chiarito dunque il perché si sia scelto il 21 dicembre come data simbolo della fondazione di Neapolis, meno dubbi riguardano l'anno: 475 anni prima della nascita di Cristo. Anche qui, ovviamente, è stato scelto un anno "simbolico", tuttavia c'è meno margine di errore. Tutte le fonti greche prime e romane poi ne attribuiscono la fondazioni ai Cumani e in particolare con l'instaurazione della Tirannide di Aristodemo a Cuma e l'espulsione degli oligarchi dalla città. Una parte andò a Capua, l'altra optò per una "secessione", fondando una Nea Polis (Città Nuova) poco distante, nel cuore di quello che è oggi è il Centro Storico di Napoli.

Napoli vista dal Monte Echia oggi
Napoli vista dal Monte Echia oggi

La geografia dell'epoca era molto favorevole: se Parthenope si trovava su un monte a strapiombo sul mare (oggi Pizzofalcone, dove all'epoca il mare arrivava sotto di esso), la Nea Polis era su un pianoro in declivio da nord a sud, i cui confini erano le attuali via Foria (il nome, secoli dopo, riprendeva appunto l'essere "fuori" dalla città, ndr.) a nord, corso Umberto a sud (dove c'era il mare), via Santa Maria di Costantinopoli a ovest (ancora oggi persistono le mura greche di piazza Bellini), via Carbonara ad est (fuori dal quale sussistevano paludi, come nella zona del Vasto), il tutto in una sorta di "piano inclinato" verso il mare. L'acropoli era la collina di Caponapoli, nella zona nord-occidentale (oggi Sant'Aniello a Caponapoli), mentre la zona dell'agorà era l'attuale piazza San Gaetano (dove poi sorgerà il Foro Romano), con l'attuale basilica di San Paolo Maggiore che sorge dove prima c'era il Tempio di Castore e Polluce (le cui colonne ancora oggi costituiscono quelle d'ingresso della chiesa cristiana). Il porto, invece, si trovava in zona Piazza Municipio, che aveva una forma di "U" aperta in direzione est, che ne permetteva una facile difesa.

L’arrivo dei romani: Napoli riferimento del Sud Italia

I Romani entrarono a Napoli guidati dal console Quinto Publilio Filone nel 326 avanti Cristo: la città, che si era arresa dopo un anno di assedio, conobbe così uno slancio dal punto di vista mercantile, diventando in poco tempo una sorta di "porto privilegiato" romano. Tuttavia, pagò care alcune sue scelte politiche: l'essersi schierata con Mario nella guerra contro Silla prima, e con Pompeo contro Cesare poi, furono due "errori" che Napoli pagò duramente, con l'ascesa di Pozzuoli come porto per la flotta romana e la perdita dell'isola di Ischia che produceva il materiale necessario per la manifattura della città. Tuttavia, Napoli si prese la sua "rivincita" quando ospitò i congiurati che proprio in città organizzarono l'omicidio di Cesare e che dal suo porto vide partire alcuni di essi alla volta dell'Urbe Eterna.

Fu Augusto a farla rifiorire, istituendo i Giochi Isolimpici: come suggerisce il nome, gli stessi giochi di Olimpia, sia come gare sia come periodo. Il successo fu tale che la città rinacque in breve tempo, almeno fino a Marco Aurelio che ne cambiò lo status da municipium a colonia. I commerci ripresero, i giochi restarono, ma a livello produttivo la città decadde. La decadenza dell'Impero accelerò quella di Napoli, che fu anche danneggiata da terremoti ed eruzioni del Vesuvio: se quella del 79 dopo Cristo non fece danni o quasi, quella del 472 arrivò anche in città, seppur non seppellendola come accadde a Pompei ed Ercolano. Nel 476 dopo Cristo, la città ospitò l'ultimo imperatore, Romolo Augustolo, esiliato da Roma dopo la conquista degli Ostrogoti che mise fine all'Impero.

L’ingresso di re Alfonso V of Aragon a Napoli, nel bassorilievo a Castel Nuovo
L’ingresso di re Alfonso V of Aragon a Napoli, nel bassorilievo a Castel Nuovo

Napoli dopo la caduta dell'Impero romano: le diverse dominazioni

La città, nel frattempo fortemente cristianizzata, ebbe fasi alterne: i Romani d'Oriente la riconquistarono agli Ostrogoti, ma a prezzo di un durissimo assedio (l'esercito entrò tagliando un punto dell'acquedotto romano dove si trova via Carbonara, quindi passarono, letteralmente, nel sottosuolo sbucando in città alle spalle del nemico), poi lentamente anche loro vennero scacciati da Napoli e in generale dall'Italia. Napoli divenne un ducato indipendente, poi iniziarono le continui invasioni e i cambi "al vertice". I normanni furono i primi: vichinghi seppur cristianizzati, civilizzati dalla "residenza" delle generazioni precedenti nel nord della Francia, sbaragliarono facilmente le stanche divisioni bizantine e posero le basi per un regno del Sud Italia che sarebbe durato, seppur sotto re e dinastie differenti, quasi mille anni.

Napoli, intanto, cambiava: ai normanni seguirono gli svevi, quindi gli angioini. Tra tante disavventure, due re su tutti vanno ricordati perché tentarono di unificare l'Italia nel nome di Napoli Capitale: Federico II di Svevia, il grande imperatore, e Ladislao I. L'imperatore federiciano creò una potente macchina statale, ma il suo sogno di conquistare e unificare l'Italia si scontrò contro un Potere Papale che nel XIII secolo era ancora fortissimo, senza contare i Comuni del Nord Italia che non riuscì a piegare, proprio perché foraggiati dai suoi nemici (senza dimenticare che, in quanto Imperatore del Sacro Romano Impero, era costretto ad intervenire contro i tedeschi, in rivolta praticamente perpetua di tutti contro tutti). Ladislao I fu più pragmatico: con il Sud già strutturato grazie alle riforme federiciane, lanciò l'invasione della penisola: Roma, Perugia, e le città del centro caddero tutte, con l'esercito napoletano che era alle porte di Firenze quando Ladislao morì improvvisamente per una malattia infettiva all'apparato genitale, forse dovute alle sue attività sessuali sfrenate e dissolute. Napoli intanto entrava in una sorta di "stabilità" con l'avvento di aragonesi e spagnoli.

Il busto di Federico II di Svevia davanti alla Nuova Università di Scampia
Il busto di Federico II di Svevia davanti alla Nuova Università di Scampia

Dai Borbone a Garibaldi: com'è cambiata la storia di Napoli

Il passaggio alle corone iberiche segnò la fine di Napoli e l'inizio della sua decadenza: mentre dal punto di vista urbano e demografico la città cresceva, non altrettanto faceva il benessere e la ricchezza. E la netta contrapposizione tra Napoli e il resto del Meridione (ancor più nella miseria) fece sì che in città arrivassero continuamente persone dalle zone più povere, in cerca di fortuna. Questo portò a carestie, malattie e di tanto in tanto a vere e proprie sollevazioni popolari. Quella di Masaniello nel 1647 fu la più indicativa, e durò anche dopo la sua morte avvenuta per mano di alcuni popolani. Ma lo scarso aiuto ricevuto dai benestanti del regno fu la dimostrazione di una frattura tra popolo e ceto medio, che si vide anche pochi anni dopo, quando invece scoppiò una rivolta di nobili. Stavolta furono i popolani a non muovere un dito. Alla fine, la monarchia riuscì a riprendere il controllo della città e del paese. La peste di fine XVII secolo colpì in maniera ancora più drammatica, sterminando il 60% della popolazione cittadina e circa la metà dell'intero meridione. La dinastia spagnola, dopo un breve intermezzo austriaco, lasciò il posto ai Borbone, che ridiedero nuovo lustro architettonico alla città. La Rivoluzione Francese travolse Napoli come poche volte: la Repubblica Partenopea durò poco, ma sulle sue ceneri ci fu la venuta di Gioacchino Murat, cognato di Napoleone.

Murat coltivò il sogno precedente di Federico II e di Ladislao I di unificare l'Italia sotto il regno di Napoli, e ci andò più vicino di tutti: il Sud, il Lazio, Roma, il centro, e poi ancora Perugia, Firenze, Bologna. Per la prima volta dai tempi di Roma, dal Po in più, tutte le città facevano parte di un unico Regno. Restava l'ultimo ostacolo all'Unità: l'Austria, asserragliata nel Triveneto, mentre da Milano arrivavano volontari italiani al grido di "Viva Napoli, viva l'Italia" pronti a dare l'ultima spallata alle divisioni della penisola. La sconfitta di Occhiobello, alle porte di Rovigo, seguita dallo spegnersi della stella di Napoleone Bonaparte, fu il punto di svolta: per l'esercito di Napoli iniziò una lenta ma inevitabile ritirata, mentre per Napoli si riaprivano le porte per i Borbone dopo il Congresso di Vienna, ma che di lì a poco si sarebbero riaperte per Giuseppe Garibaldi.

L’ingresso di Vittorio Emanuele a Napoli: scena in Piazza del Palazzo Reale, guardando verso via Toledo, 1860 / foto di The Print Collector/Heritage Images via Getty Images
L’ingresso di Vittorio Emanuele a Napoli: scena in Piazza del Palazzo Reale, guardando verso via Toledo, 1860 / foto di The Print Collector/Heritage Images via Getty Images

Napoli dopo l'Unità d'Italia: la città ai giorni nostri

L'Unità d'Italia del 1861 evidenziò subito i problemi rimasti fino ad allora irrisolti di Napoli: ma per la città la ripresa era finalmente iniziata. L'alfabetizzazione iniziò a prendere corpo anche nelle classi più umili, le prime attività indipendenti uscivano dall'anonimato, per la prima volta il "popolo" iniziava a diventare "cittadino". Non fu semplicissimo perché vi furono anche errori da parte di chi fu mandato a risolverli. Ma nel complesso, il bilancio è più che positivo: Napoli a inizio Novecento era una città culturalmente ricca ma anche produttiva ed economicamente in ripresa.

L'Italia ne fece in pochi anni il principale porto della penisola, in particolare per il Sud. Una scelta che sarebbe tuttavia costata gara nella guerra in cui la dittatura fascista precipitò la Penisola: quel porto e le sue infrastrutture vennero bombardate per quasi sei anni di fila, comportando danni enormi alla città per la ricostruzione post bellica. Gli anni del boom economico italiano hanno visto poi la città trasformarsi nuovamente, ed oggi, 2.500 anni dopo, è diventata una delle città maggiormente visitate d'Italia, meta di turisti dal resto della Penisola e dal Mondo. Unica nel suo genere, ricca di contraddizioni ma anche forse per questo così unica nel suo genere. Come ha detto il professor Alessandro Barbero: «Napoli è una città dove la storia gronda dai tetti e cammina per le strade, abbracciando uno spazio temporale che va dall’antichità più remota a epoche recenti, contribuendo a renderla speciale».

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