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Società di comodo, false assunzioni e operai sfruttati: la ‘ndrangheta nei cantieri delle ferrovie

Sono state arrestate quindici persone in un’operazione della Dda di Milano che ha permesso di scoprire inflitrazioni della ‘ndrangheta nei cantieri delle ferrovie.
A cura di Ilaria Quattrone
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Infiltrazioni della ‘ndrangheta negli appalti di manutenzione che Rete Ferroviaria Italiana (che è parte lesa) commissiona alle grandi aziende. Queste, a loro volta, avrebbero fatto riferimento ad altre società che – secondo la Procura di Milano – sarebbero riconducibili a una cosca calabrese. L'operazione della Guardia di finanza di Milano, Varese e Verona, coordinata dal pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia Bruna Albertini, ha portato all'arresto di quindici persone e al sequestro di sei milioni e mezzo di euro come recupero di frodi fiscali e indebite compensazioni di crediti Iva. La Procura aveva chiesto l'arresto di circa trenta indagati, ma il Gip lo ha emesso solo per quindici persone. Le accuse sono di associazione a delinquere finalizzata alle fatture false, bancarotta e somministrazione illecita di manodopera. È stata anche esclusa l'imputazione di riciclaggio.

Il denaro serviva per sostenere le famiglie di alcuni detenuti

Sulla base di quanto si legge nell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari Giusi Barbara, in alcuni casi è contestata anche l'aggravante di aver agevolato l'attività di criminalità organizzata: secondo quanto scoperto dagli inquirenti, il denaro – che sarebbe arrivato dall'evasione fiscale e contributiva perpetrata da alcune società che sarebbero state poi lasciate fallire – sarebbe finito nelle tasche di alcune famiglie di detenuti che graviterebbero attorno alla cosca Arena-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto. Non solo. L'impiego degli operai, in alcuni casi, sarebbero avvenuti allo scopo di poter creare le condizioni necessarie ad accedere a benefici giudiziari.

Il piano di spartizione in aree di competenza

In particolare ci sarebbe stato "un piano di spartizione in aree di competenza" del Paese. Nelle intercettazioni si fa riferimento ad alcune aziende, prime nel settore, che prendevano gli appalti da Rfi: "Ventura ha tutta la Calabria, Morelli ha tutta la Campania ed Esposito ha tutta la Sicilia, Rossi ha tutto il Nord Italia". Ventura e Rossi sarebbero due colossi del settore.

Sempre sulla base delle indagini degli inquirenti, le società appaltatrici si sarebbero rapportate con il gruppo "Aloisio-Giardino" e con alcune società a loro riconducibili, ma che erano intestate a dei prestanome.  Questo gruppo avrebbe legami con alcune storiche famiglie ‘ndranghetiste di Crotone alle quali sarebbero ""legati" da indissolubili vincoli di parentela e alle quali assicurano il costante e continuo approvvigionamento dei mezzi di sussistenza". In particolare questi mezzi verrebbero assicurati quando "i loro capi trascorrono in detenzione carceraria".

Gli operai sarebbero stati privi di competenze

Gli operai che sarebbero stati spostati dalle società collegate alla ‘ndrangheta a quelle che prendevano gli appalti da Rfi, non avrebbero avuto alcuna competenza. Inoltre i documenti che servivano per dimostrare le varie abilitazioni sarebbero stati falsificati. Questi inoltre lavoravano spesso in condizioni di sfruttamento. In un'intercettazione infatti, i fratelli Aloiso, fanno riferimento agli operai come "i nostri carcerati da mantenere". Proprio Antonio e Alfonso Aloisio sarebbero "contigui alla ‘ndrangheta" e sarebbero entrati in vari contesti imprenditoriali "riuscendo in breve tempo a diventare partner delle maggiori imprese operanti nel settore dell’armamento e della manutenzione di reti ferroviarie". Proprio loro avrebbero utilizzato metodi violenti per la risoluzione di controverse ("Volevano la mazzatta? (…) Te la do io la mazzetta, nel cuore te la infilo") o avrebbero punito un operaio che aveva appiccato un incendio per protesta.

La richiesta degli arresti domiciliari respinta

La Procura aveva chiesto gli arresti domiciliari per l'imprenditrice Maria Antonietta Ventura, presidente del consiglio di amministrazione del gruppo di famiglia e che in quel momento era candidata alla presidenza di Regione Calabria (candidatura poi ritirata) per Pietro Ventura, Alessandra Ventura e il carcere per Alessandro e Edoardo Rossi. Il gip però non ha accolto le richieste.

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