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Ricky Gianco: “Celentano voleva gente che dicesse solo di sì, mandai a quel paese anche i Beatles”

Ricky Gianco non rimpiange di aver lasciato il clan di Adriano Celentano, perché “voleva una corte che gli dicesse sempre di sì”. Gli dispiace però di aver perso l’occasione di suonare con i Beatles: “George Harrison, con un tono tutt’altro che scherzoso, mi salutò con ‘Ciao pizza, mozzarella e spaghetti’. Mi voltai e dissi, alterato: ‘Ma vaffa…'”.
A cura di Paolo Giarrusso
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Ha compiuto i suoi primi 80 anni nel 2023. È considerato il padre della musica rock italiana. Al suo attivo 23 album e un'infinità di brani di successo, scritti per altri e per sé. Lui è Riccardo Sanna, Ricky Sanna o, se preferite, Ricky Gianco, come universalmente noto. Ha conosciuto e lavorato con tutti. In Italia, chiedendo scusa agli esclusi, Celentano, Endrigo, Teddy Reno, i Ribelli, i Dik Dik, Gino Paoli, Gian Pieretti, Luigi Tenco. All’estero, due nomi su tutti: i Toto e i Beatles.

Allora Ricky. Subito un aneddoto che si riferisce al luogo dove sei nato…

Sì, dunque… Io sono milanese, ma sono nato a Lodi. Eh! Già…Ma perché la casa di Milano era stata bombardata e mia mamma si era trasferita a Casalpusterlengo. Quando è arrivato il momento di partorire, è andata all’ospedale di Lodi  dove sono nato. Dopo due o tre anni, siamo tornati a Milano. Pensa che io, a 20 anni, Lodi non l’avevo mai vista. Ho deciso di andarci, per vedere e conoscere il luogo dove ero nato.

Il tuo debutto ufficiale, te lo ricordi?

Il mio debutto da dilettante è stato a 11 anni, quando ho cantato in pubblico per la prima volta. Ho vinto il primo premio. Accadde a Varazze, dove io andavo in vacanza. Ero accompagnato dall'orchestra di Don Marino Barreto. Se vogliamo,  col senno di poi, è stato un segno del destino.

Nel 1959, incidi il tuo primo disco…

La Cetra, su disposizione di un dirigente amministrativo, spinto dalla moglie, la "Pinetta", amica di mia madre, mi ha fatto incidere "Ciao ti dirò", scritta da Reverberi, che poi mi portò alla Ricordi, nel 1960. Feci tre 45 giri che mi hanno lanciato. Poi, fu la volta del mio primo disco con il Clan. Adriano Celentano mi volle con sé. Il Clan lo lasciai dopo un anno e mezzo, per un disaccordo con Adriano. Non firmai un contratto. Più che un clan, Celentano voleva una corte, che dicesse sempre di sì. Inoltre, nel Clan c’era qualcuno, Don Backy per intenderci, che, allontanato me, pensava di avere la strada spianata per emergere. Dopo il Clan, ho avuto i miei successi e decisi di andare a registrare a Londra”.

Alla Ricordi, invece, hai incontrato Gaber, Bindi, Endrigo, Tenco, Jannacci, Paoli. Questi incontri che cosa ti hanno lasciato?

Intanto l’amicizia fraterna con Gino (Paoli, ndr), con cui mi sento ancora. Per continuare con Gaber e Umberto (Bindi, ndr). Si andava, poi, in un'osteria, quando la Ricordi chiudeva alla sera, e si tirava tardi con un vino dozzinale. Mentre gli altri parlavano di politica, io, che ero un po’ la mascotte, ascoltavo, perché di politica non capivo nulla.

Se devi citare uno che ti ha aiutato, chi mi diresti?

Mike Bongiorno. Mi notò con il disco "Ciao ti dirò", mi fece fare un gingle con lui. Faceva spettacoli con folle oceaniche. Mai vista una roba simile. In diversi spettacoli, mi portò con lui e io cantavo. Ho un grande ricordo di lui. Era una persona molto perbene e generosa.

Sembri una persona alla continua ricerca di qualcosa. Questo qualcosa l’hai poi trovato?

Potrei dire che ho trovato tante cose. In tutto quello che ho fatto, c'era il sapore, il gusto della ricerca. Ecco, ho sempre cercato di migliorare. E sono ancora e sempre alla ricerca di qualcosa. Dopo il '70, non volevo più cantare, non scrivevo più canzoni. Però facevo la voce di Braccio di Ferro. Fondai anche la casa discografica Intingo, con cui dare voce ai primi ribelli. Si innestò in me una scala di valori che mi ha fatto conseguire, e ne sono onorato, l'Ambrogino d’oro. Il massimo riconoscimento del Comune di Milano, mi ha fatto un piacere enorme. Poi, è arrivato, finalmente, il momento in cui cantavo e scrivevo quello che vivevo.

Il tuo rapporto con Milano, qual è stato e qual è oggi?

Milano è cambiata, come è cambiato il mondo. Io amo Milano e non la lascerei per nulla al mondo. Ora, la città, però, è diventata un far west, in tema di viabilità. Strade insicure. Auto parcheggiate ovunque. Bici moto, monopattini: non ci sono più regole. L'unica regola è il contromano e il non rispettare l'altro. La città è peggiorata in tutto. Ma io l'amo sempre e non la lascerei mai.

Il simbolo di Milano, qual è, secondo te: il Duomo, il Castello Sforzesco, San Siro, i suoi tram?

Senza dubbio il Duomo. È lì da sempre. È il vero simbolo della città.

Hai conosciuto i Beatles. Sono stati i più grandi?

Ti rispondo dicendo che tra 50 anni, quando si ascolterà la musica del ‘900, ascolteremo la musica di Paul McCartney, non dei Beatles. Musica creata da artisti, che vanno al di là del gruppo.

Come vorresti essere ricordato, oltreché il padre della musica rock italiana?

Anche come Ricky Sanna o Ricky Gianco. L'unico rimpianto che ho, è quello di non avere mai fatto gli spettacoli con i Beatles in Italia. Io dovevo fare il primo tempo dei loro spettacoli. Quando stavo per lasciarli, a Londra, George Harrison, con un tono tutt'altro che scherzoso, mi salutò con "Ciao pizza, mozzarella e spaghetti". Mi voltai e dissi, alterato: "Ma vaffa…".

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