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Il caso della donna picchiata dai vigili a Milano

Perché non contestare ai vigili l’aggravante omofoba per il pestaggio di Bruna a Milano sarebbe un errore

La Procura potrebbe presto chiudere le indagini a carico dei tre vigili protagonisti del pestaggio di Bruna senza contestare l’aggravante della discriminazione. Intervistato da Fanpage.it l’avvocato Davide Steccanella spiega perché potrebbe essere un errore.
A cura di Enrico Spaccini
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Lo scorso 24 maggio Bruna è stata picchiata da tre agenti della polizia locale in zona Bocconi con calci e manganellate mentre era a terra sola e inerme. Il Comune di Milano ha già aperto un procedimento disciplinare nei loro confronti, mentre la Procura ha avviato le indagini in seguito alla denuncia presentata dalla 42enne di origini brasiliane. Da quanto emerso, la pm Giancarla Serafini e l'aggiunta Tiziana Siciliano sono prossime a chiuderle e a chiedere il rinvio a giudizio per i tre vigili per i reati di lesioni aggravate dall'abuso della funzione pubblica e violenza privata.

Non ci sarebbe traccia, dunque, dell'aggravante di aver agito per discriminazione, etnica, razziale e religiosa. "La tesi della vittima è che sarebbe stata aggredita proprio in quanto trans", ha commentato l'avvocato Davide Steccanella intervistato da Fanpage.it, "se così fosse la contestazione di questa aggravante andrebbe fatta".

I reati contestati

Alcuni giorni dopo il pestaggio, Bruna, attraverso la sua avvocata Debora Piazza, aveva presentato una denuncia per lesioni aggravate dall'abuso della pubblica funzione e dalla discriminazione, oltre che per tortura e minacce gravi. "Per come funziona il nostro ordinamento giuridico", spiega Steccanella, "il querelante denuncia un fatto, ma poi spetta alla Procura e poi al giudice qualificarlo giuridicamente".

In questo caso, dunque, il procuratore riterrebbe sufficiente contestare le lesioni aggravate solo dall'abuso e la violenza privata. "Il giudice potrebbe anche ritenere che hanno fatto male a non contestare la discriminazione, ma a quel punto dovrà rimandare gli atti al pm", continua l'avvocato.

L'aggravante della discriminazione

Secondo quanto ha raccontato Bruna, lei la mattina del 24 maggio si trovava al parco Trotter e stava litigando con un ragazzo sudamericano. I vigili sarebbero intervenuti per calmarli e l'avrebbero fatta salire in auto. A quel punto, la 42enne avrebbe protestato all'interno della vettura diretta in Questura proprio perché solo lei era stata fermata, mentre l'altro con cui stava discutendo no.

Ad un certo punto, arrivata in zona Bocconi, è riuscita a fuggire ma una volta trovata dagli agenti della locale questi l'hanno picchiata e le hanno spruzzato lo spray al peperoncino in faccia. "La tesi della vittima è che sarebbe stata aggredita in quanto trans", ha osservato Steccanella: "Se così fosse, dovrebbe essere applicata l'aggravante che punisce tutti quei comportamenti che hanno una finalità volta alla discriminazione o in qualche modo indurre gli altri alla discriminazione".

Questa, al momento, non sembra sarà applicata dalla Procura: "Sarebbe interessante capire con quali basi", ha detto l'avvocato, "comunque per contestare questa aggravante devi dimostrare che chi ha mosso l'azione delittuosa l'abbia fatto con finalità di tipo discriminatorio".

La mancata contestazione del reato di tortura

Per quanto riguarda la mancata contestazione del reato di tortura, per come stanno le cose per l'avvocato Steccanella la lesione e la violenza privata descrivono bene quanto accaduto il 24 maggio. "Fermo restando che è un episodio orrendo", ha affermato, "per arrivare alla tortura bisogna distinguere da una condotta violenta e anche abusiva a un atteggiamento volto a provocare sofferenza gratuita al soggetto, sono due cose diverse".

Nel caso, però, in cui dovesse essere dimostrato che gli agenti abbiano agito come forma di vendetta per le sue proteste all'interno della vettura, "in quel caso se ne potrebbe riparlare".

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