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Palazzo esploso a Milano, l’uomo che salvò un ragazzo invitato in Comune: “Felice perché sta meglio”

Ha rischiato la propria vita lanciandosi in un palazzo in fiamme per salvare uno sconosciuto. Ma Aly Harhash, egiziano di 61 anni, rifiuta l’etichetta di eroe: “Ho fatto solo quello che sentivo, era giusto così”. Lo ha detto anche al sindaco Beppe Sala che martedì lo ha invitato a Palazzo Marino per ringraziarlo ufficialmente per il suo contributo alla città di Milano.
A cura di Salvatore Garzillo
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Aly Harhash
Aly Harhash

In piazzale Libia a Milano lo salutano tutti, sembra il sindaco di quel pezzo di città. Lui risponde con un cenno della mano o con uno dei suoi larghi sorrisi, a metà tra l’imbarazzo e l’orgoglio. Aly Harhash è l’egiziano di 61 anni che il 12 settembre si è lanciato nell’appartamento in fiamme in piazzale Libia 20 per salvare uno sconosciuto, un ragazzo ucraino di 30 anni che oggi è ricoverato al centro grandi ustionati dell’ospedale Niguarda. È ancora in fase di ripresa ma sa che gli deve la vita. "Non sono un eroe, per l’amor di Dio, ma quale eroe – continua a ripetere senza finta modestia a Fanpage.it -. Ho fatto quello che era giusto e che sentivo in quel momento. Non ho pensato al rischio perché è stata un’azione istintiva".

Lo ha spiegato anche al sindaco Beppe Sala, che nei giorni scorsi gli ha telefonato per invitarlo martedì 6 ottobre a Palazzo Marino, un modo per ringraziarlo ufficialmente per il suo contributo alla città. "Il sindaco è stato gentilissimo, ha usato parole molto buone con me. All’incontro c’erano Cristiano Cozzi, il direttore della Protezione civile, e Lamberto Bertolé, presidente del Consiglio comunale. È stato un grande onore per me. Peccato per qualche commento cattivo che ho letto su Internet, secondo alcuni per me è stato normale lanciarmi nel fuoco perché sono extracomunitario e la mia vita varrebbe meno. Qualcun altro ha scritto che l’ho fatto solo per avere il permesso di soggiorno, ma non sanno che sono cittadino italiano da 30 anni". Altri attimi di amarezza ci sono stati quando, all'esterno della palazzina, Aly ha visto che tutti stavano filmando con i telefonini "e nessuno è venuto a darmi una mano".

Professore in Egitto, manovale in Italia

Harhash è arrivato in Italia nel 1979 lasciando in Egitto un lavoro come docente universitario con cattedra in Economia e commercio con specializzazione in commercio con l’estero: "Anche i miei due figli sono laureati", sottolinea con fierezza. Ma il suo titolo non gli è servito nel nostro Paese e così ha iniziato con piccoli lavori fino a costruire una solida attività di manutenzione condomini. Nel lungo elenco di stabili di cui si è occupato c’è anche quello dell’esplosione: "La fortuna mia e di quel ragazzo ucraino è che ho lavorato tante volte nel palazzo di piazzale Libia 20, sapevo già come muovermi, conoscevo la struttura e ricordavo l’idrante all’esterno che poi è servito per iniziare a spegnere le fiamme". Ed è proprio il miglioramento delle condizioni del ragazzo da lui salvato, che Aly è andato a trovare al Niguarda, a rappresentare la sua gioia.

I ringraziamenti dei condomini: Ti dobbiamo la vita

Mentre racconta quei momenti, dal condominio escono alcuni residenti che appena lo vedono lo ringraziano a distanza. “Se non ci fosse stato lei…”. E ancora: “Le dobbiamo tutti la vita…”. Fanno riferimento alla sua intuizione di chiudere il gas una volta portato in salvo il ragazzo ferito: "Ho abbassato la leva di un rubinetto, una donna della Protezione Civile mi ha detto che probabilmente se non l’avessi fatto sarebbe esploso l’intero palazzo". Forse per questo all’uscita sono stati gli stessi vigili del fuoco e i poliziotti già sul posto ad accoglierlo con un applauso. "È stato molto bello. I pompieri mi avevano anche detto che avrebbero cercato il cellulare che ho perso per soccorrere il ragazzo e che se non l’avessero trovato me ne avrebbero regalato uno. Nel frattempo ho usato quello di mia moglie. Lei è italiana, precisamente napoletana". Ecco perché l’unica cadenza che riesce a superare la sua parlata egiziana è proprio quella campana. "Anche i miei figli parlano perfettamente napoletano – racconta sorridendo – Nun ce sta nient ‘a fa".

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