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Nessuno vuole gestire le case famiglia a Milano: abbandonate 500 mamme e bambini in difficoltà

La Città Metropolitana di Milano ha, per ora, perso 509 posti nelle case famiglia che accolgono mamme e bambini: una ventina di gestori ha rinunciato alla convenzione con il Comune, giudicando troppo basse le nuove rette previste. Fanpage.it ha visitato una di queste case famiglia e parlato con chi ci lavora, chiedendo poi spiegazioni direttamente all’assessore al Welfare Lamberto Bertolé.
A cura di Chiara Daffini
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La camera di una casa famiglia nel Milanese
La camera di una casa famiglia nel Milanese

L’indirizzo esatto, per mettere il navigatore, lo danno con mille avvertenze: deve rimanere segreto. Segretissimo. Perché prima ancora di essere una casa, è rifugio per mamme e bambini che hanno dovuto lasciare la propria abitazione. O che non ce l’hanno mai avuta. Si tratta spesso di donne vittime di violenza (e quindi di minori succubi della violenza assistita), ma non solo: il filo comune è la speranza di rifarsi una vita.

Spiraglio aperto giorno dopo giorno da centinaia di operatori e operatrici, educatrici ed educatori che lavorano a contatto con la fragilità nelle comunità e negli alloggi protetti e semi-protetti. Ma le cose potrebbero cambiare.

Rette a picco

“L’ultima convenzione con il Comune – spiega a Fanpage.it Marta Battioni, del Forum Terzo Settore Milano – è datata 2019 e scade il 30 giugno 2022. Nei mesi scorsi c’è stato un bando per quella nuova, ma venti enti gestori hanno deciso di non confermare la loro disponibilità”. Il perché è presto detto: “Le rette giornaliere previste dal Comune si sono abbassate e per le cooperative è impossibile sostenere i costi dei servizi richiesti dagli standard di Regione Lombardia”.

Nello specifico, chiarisce Paola Guaglione, del gruppo Cnca, tra le realtà che si sono defilate: “Per gli alloggi in semi-autonomia le tariffe quotidiane riferite al singolo nucleo donna-bambino si sono abbassate di 5 euro e quelle per gli alloggi in autonomia addirittura di 15”. Cifre che sembrano irrisorie, ma che, moltiplicate per 356 giorni all’anno e per centinaia di nuclei, fanno un’enorme differenza. “Soprattutto – aggiunge Guaglione – considerando l’aumento del costo della vita e la crisi energetica”.

Un lavoro emotivo

Ma cosa si fa in una casa famiglia? L’abbiamo chiesto a Daria Cappelletti, educatrice in una di queste strutture: “Entrare in una casa famiglia significa anzitutto avere a che fare con persone e vite, generalmente in condizioni di estrema fragilità. Il lavoro è senza dubbio pratico e organizzativo, nel sostenerle in tutte le esigenze quotidiane, ma è soprattutto emotivo, perché bisogna dare loro la motivazione a credere nelle proprie risorse e ad attivarle”.

Di solito con successo: “Abbiamo donne che arrivano totalmente emarginate, magari senza nemmeno sapere la lingua, e provate psicologicamente – racconta Cappelletti -, ma nel giro di mesi o anni riescono a trovare la loro strada, a diventare autonome e crescere i loro bambini”.

L’assessore al Welfare risponde

La situazione venutasi a creare mette in difficoltà non solo le persone già fragili, ma anche chi le aiuta. Su questo punto sono arrivati i chiarimenti dell’assessore al Welfare del Comune di Milano, Lamberto Bertolé: “ In realtà abbiamo incrementato di 10 milioni le risorse per le comunità, ma ci siamo concentrati principalmente su quelle per soli minori, che erano le più carenti. In queste abbiamo aumentato la retta e per farlo abbiamo dovuto tagliare quella degli alloggi in autonomia e semi autonomia per adulti e adulti e minori, molti dei quali offrivano servizi al di sopra degli standard regionali, a dire il vero piuttosto limitati”.

Quindi è regione Lombardia a imporre standard troppo bassi? “Non solo – risponde Bertolé -. Il fatto è che i Comuni non possono essere lasciati soli in questa gestione, devono intervenire Stato e Regioni, dando maggiori risorse per i servizi sociali”. E ora? “Conto di trovare una soluzione che metta d'accordo tutti – conclude Bertolé -: ci siederemo al tavolo e, partendo dalle tariffe concordate, potremo pensare di integrarle per servizi aggiuntivi”.

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