Processo d’appello ad Alessia Pifferi, la procuratrice: “Ha accettato il rischio che la figlia potesse morire”

È cominciata alle 9:30 di questa mattina, mercoledì 5 novembre, la nuova udienza del processo d'Appello a carico di Alessia Pifferi, condannata in primo grado all'ergastolo per aver lasciato morire di stenti la figlia di 18 mesi nel luglio del 2022. Oggi i giudici della Corte d'Assise d'Appello di Milano dovranno pronunciarsi in sentenza, basando la propria decisione sulle perizie psichiatriche alle quali la 40enne è stata sottoposta negli scorsi mesi e alle dichiarazioni che rilasceranno la procuratrice generali e gli avvocati delle parti. Quella disposta dalla Corte, e affidata ai periti Giacomo Filippini, Stefano Benzoni e Nadia Bolognini, ha dichiarato l'imputata in capace di intendere e di volere al momento dei fatti, confermando in sostanza quanto emerso nella precedente analisi curata dal perito Elvezio Pirfo. Tesi sostenuta anche dalla psicologa Roberta Bruzzone, consulente delle parti civili (madre e sorella di Pifferi), ma contestata dal professor Pietro Pietrini, consulente della difesa, secondo il quale la 40enne sarebbe affetta da "un disturbo del neurosviluppo di tipo intellettivo" e perciò da un "vizio parziale di mente".
La procuratrice generale: "Pifferi era stata in grado di prendersi cura della figlia per 18 mesi, è imputabile"
"Alessia Pifferi è in grado di intendere e di volere, lo hanno evidenziato ben due perizie psichiatriche. Le conclusioni della prima e della seconda perizia sono sovrapponibili, quindi il discorso del perito di primo grado è analogo al discorso dei secondi periti, che parlano di residuo di deficit cognitivo dello sviluppo, sostanziato in immaturità affettiva", ha dichiarato la procuratrice generale Lucilla Tontodonati, la prima a prendere parola. "Il punto però è l’alessitimia, cioè la mancanza di empatia riscontrata dal perito di primo grado. Anche in questo caso la seconda perizia, pur evidenziando una capacità di Pifferi di rispondere agli stimoli emotivi, sottolinea che ciò avviene solo in maniera ego riferita, confermando il suo egocentrismo e la necessità di nutrirsi delle attenzioni degli altri. Pifferi è quindi imputabile ed era stata in grado, nei primi 18 mesi di vita della figlia, di prendersi cura di sé stessa e della bambina, questo a livello di coscienza e conoscenza di ciò che avrebbe potuto tenere in vita un essere umano".
"Il nucleo fondante dei motivi d’appello è l’incapacità di Pifferi di prefigurarsi le conseguenze delle sue azioni", ha continuato la procuratrice: "Parto dicendo che si è partiti da presupposti errati, basandosi solo sulla condotta tenuta dalla Pifferi. Che è una condotta che umanamente e socialmente fatichiamo ad accettare, anche se è uno dei tanti effetti della natura umana nelle sue derive malvagie. Si parte cioè dal presupposto che a una madre debba interessare del proprio figlio".
"La difesa sostiene che Pifferi non conducesse una vita normale, non fosse in grado di prendere mezzi pubblici o privati come autobus, treni e aerei, particolare smentito dai passati viaggi in Sicilia e dal fatto che le macchine a noleggio sono state utilizzate da Pifferi non per incapacità di prendere un autobus ma per comodità e disponibilità economica", ha spiegato la pg. "Su quest’ultimo punto ricordiamo che ha inventato un finto battesimo per ottenere soldi da amici e familiari. E ancora sul lavoro: Pifferi non è vero che non ha mai lavorato, ha fatto l’assistente alla poltrona, impiego terminato perché il dentista da cui lavorava si era trasferito in un’altra città, e l’assistente agli anziani".
"Pifferi ha accettato il rischio che la figlia potesse morire"
Per quanto riguarda la perizia disposta dalla Corte, "il perito Benzoni conferma che senza la documentazione scolastica di Pifferi non ci sarebbero stati elementi per corroborare una tesi di deficit cognitivo", ha affermato la procuratrice Tontodonati: "Ricordiamo che Pifferi sia interrogata dal pm sia interrogata dal gip nel luglio 2022 non fa emergere alcuna incapacità di sostenere gli interrogatori. La richiesta di perizia non arriva subito, nemmeno dalla difesa". La documentazione scolastica era stata depositata dall'avvocata Pifferi e riportava come la donna fosse stata seguita da un'insegnante di sostegno dalle scuole elementari fino alle superiori.
Durante l'udienza del 22 ottobre, i consulenti della difesa avevano affermato che Pifferi non sapeva di essere incinta di sua figlia, sostenendo quindi che si sia trattato di una "gravidanza misconosciuta, altrimenti lo avrebbe detto". Per la procuratrice generale, invece, non sarebbe vero in quanto la 40enne lo avrebbe detto a sua madre, "ma racconta di averlo inventato per non farsi rimproverare circa il suo aumento di peso e appetito" e di non aver parlato "per diverso tempo" con la sorella perché "risentita per non essere stata avvisata dalla madre della gravidanza". Per quanto riguarda il parto in bagno, Tontodonati ha sottolineato che la bambina era nata "al settimo mese, quindi prematura". In conclusione, secondo la procuratrice generale "Pifferi non era incapace di capire che lasciare la propria bambina a casa da sola senza cibo l’avrebbe sottoposta al rischio di morte, semplicemente ha accettato questo rischio. Non dobbiamo farci fuorviare dalla crudeltà di questa condotta, anche se è difficile da accettare. E non dobbiamo confondere la capacità genitoriale con la capacità di intendere e di volere: essere un cattivo genitore non significa essere un genitore assassino".
Secondo la pg, Pifferi era "pienamente consapevole dei rischi che stava facendo correre alla bambina" e a sostegno di ciò ha menzionato lo scambio che aveva avuto con il suo compagno di Allora. "Gli aveva raccontato che la bambina era al mare con la zia", ha ricordato, "quando poi lo avvisa di quanto accaduto, ha detto di avergli ‘mentito'. Comportamento che avrebbe replicato con un'amica e con la madre, perché sapeva che altrimenti si sarebbero allarmate". Secondo l'accusa, dunque, la 40enne "mente in modo ‘ragionato', costruisce in maniera articolata menzogne per rispondere ai suoi bisogni, il che stride con i deficit cognitivi e affettivi paventati dalla difesa. Lei stessa ha detto ‘avevo paura che la bambina potesse morire, ma avevo paura anche delle reazioni di mia sorella e del mio compagno, mi sono augurata che ciò non accadesse'. Evidentemente hanno prevalso le paure legate alle conseguenze verso di sé, non verso sua figlia".
La morte della bambina e la condanna in primo grado all'ergastolo
Pifferi era rientrata a casa il 20 luglio 2022, un appartamento in zona Ponte Lambro, e aveva trovato il corpo senza vita di sua figlia all'interno di un lettino da campeggio. Accanto alla piccola, erano stati trovati un biberon e una bottiglietta d'acqua vuoti, mentre su un mobile una bottiglia di farmaco tranquillante. La 40enne, infatti, aveva somministrato la sostanza alla bambina. Per sei giorni, la piccola era rimasta chiusa in casa da sola, morendo "di stenti e disidratazione". Nel frattempo, Pifferi aveva trascorso quel periodo "con il proprio compagno", il quale era all'oscuro della situazione.
La Corte d'Assise di Milano il 13 maggio 2024 ha condannato Pifferi all'ergastolo, in quanto avrebbe agito animata dal "futile ed egoistico movente" di "regalarsi un proprio spazio di autonomia", nonostante fosse consapevole della "pericolosità" del contesto in cui aveva lasciato la figlia.
Lo scontro tra perizie
La condanna in primo grado è arrivata in seguito alla perizia, curata da Elvezio Pirfo, che aveva indicato Pifferi in grado di intendere e di volere al momento dei fatti. Tesi che ha visto sin da subito l'opposizione della difesa della 40enne, assistita dall'avvocata Alessia Pontenani, che con il perito Marco Garbarini prima e Pietro Pietrini ora, sostiene la sussistenza nella sua assistita del "vizio parziale di mente". Secondo i consulenti di parte, infatti, la donna sarebbe affetta da "un disturbo del neurosviluppo di tipo intellettivo con disabilità marcata e immaturità affettiva" e non avrebbe avuto "gli strumenti cognitivi sufficienti per comprendere le conseguenze delle sue azioni".
I periti Filippini, Benzoni e Bolognini, incaricati dai giudici della Corte d'Assise d'Appello, hanno invece di fatto confermato le conclusioni a cui era già arrivato Pirfo in primo grado. Nella loro perizia è stata sottolineata una evidente "fragilità cognitiva e affettiva", ma comunque Pifferi avrebbe dimostrato "sufficienti competenze relazionali, capacità di risolvere problemi e prendere decisioni, di pianificare le azioni, di prevedere rapporti causa-effetto in situazioni di discreta complessità". La 40enne, dunque, sarebbe stata pienamente capace di intendere e di volere quando ha chiuso la figlia a chiave nell'appartamento senza avvertire nessuno.
Ha collaborato Chiara Daffini