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La lotta alla violenza contro le donne passa anche dalla loro indipendenza economica: il “protocollo Milano”

Il Comune di Milano, insieme ad alcuni centri anti violenza e associazioni, ha avviato un protocollo per favorire l’indipendenza economica e autonomia delle donne vittime di violenza.
A cura di Ilaria Quattrone
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Immagine di repertorio
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Quando si parla di violenza fisica e psicologica contro le donne non sempre si tiene conto di un aspetto altrettanto importante, legato all'ambito economico. Non è raro che, in una relazione con un uomo maltrattante, una donna perda la propria autonomia e indipendenza economica proprio perché quest'ultimo ha imposto alla propria moglie, fidanzata o compagna di lasciare il posto di lavoro o di cambiarlo perché magari non riteneva "adeguato" l'ambiente lavorativo. Queste situazioni trovano nella nostra società, ancora legata a un modello patriarcale, un contesto ideale: ogni giorno ci si trova a fare i conti con donne che, in quanto tali, vengono private di opportunità lavorative. E nel caso di situazioni di violenza, ci si scontra con l'assenza di servizi e strumenti che possano consentire alle donne maltrattate di poter realizzarsi professionalmente e di conseguenza anche personalmente.

Il protocollo firmato con il Comune

In questo contesto desolante, alcune realtà riescono a creare degli spiragli di speranza e luce. A Milano, il Comune ha firmato un protocollo con ActionAid Italia Onlus e 14 enti della Rete antiviolenza cittadina con l'obiettivo di far raggiungere alle donne vittime di violenze un'indipendenza economica. Tra i centri coinvolti c'è il Cadmi (Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate): Cristina Carelli, che è coordinatrice generale della Casa, ha spiegato a Fanpage.it l'importanza e l'essenzialità di un progetto simile: "Il protocollo, organizzato da un'istituzione come il Comune, ha lo scopo di stimolare le Istituzioni a creare delle opportunità e dei servizi che siano a supporto delle donne e che consentano loro di lavorare e di realizzarsi da un punto di vista professionale".

Il 48 per cento di donne vittime di violenza è disoccupato

Il 52 per cento delle donne assistite da Cadmi è occupato, il restante invece risulta essere disoccupato. Tra le occupate però "molte hanno lavori precari e che non garantiscono un'indipendenza economica perché hanno uno stipendio molto basso". Questo significa che il lavoro del centro non si concentra solo su chi non ha un lavoro, ma anche su chi un impiego lo ha: "L'obiettivo è quello di aiutarle a migliorare la loro condizione professionale anche solo per raggiungere l'indipendenza economica. Accanto a questo, c'è poi la volontà di far sì che le donne possano accrescere il proprio sé e possano sentirsi più realizzate in ambito lavorativo". L'indipendenza economica fa sì che le maltrattate possano prendere distanza dalla violenza: "Lo fanno anche quando non sono ancora indipendenti, ma se le sosteniamo. Ovviamente, il percorso deve portare a far sì che possano sostenersi con le loro gambe".

Tra i casi seguiti dal centro, vi sono donne che hanno perso il lavoro perché sono state costrette a lasciarlo o addirittura sono state licenziate: "Il fatto di vivere in un ambiente di violenza – spiega Carelli – ha influenzato la loro efficienza lavorativa. Ci sono donne che hanno lasciato il lavoro perché glielo ha chiesto il maltrattante o donne che sono state penalizzate proprio perché erano dentro una relazione di violenza o ancora donne giovani che non hanno concluso gli studi perché gli è stato impedito dalla famiglia perché sono state condizionate, in quanto donne, a intraprendere una strada diversa".

Gli sportelli lavoro e i percorsi di coaching

Essere indipendenti economicamente e realizzate professionalmente e personalmente consente a tutte le donne non solo di poter vivere la vita con più serenità, ma anche di riappropriarsi di un potere su se stesse che spesso – soprattutto per chi ha subito violenza fisica e psicologica – viene negato. È per questo motivo che molti centri anti-violenza hanno attivato degli sportelli-lavoro che hanno il compito di ricostruire la storia professionale di una vittima. Altri ancora, come Cadmi, hanno avviato dei percorsi di coaching lavorativo: "Il nostro centro in particolare ha ricostruito – spiega ancora la responsabile – una relazione con diverse aziende: ragioniamo con loro per creare delle opportunità di inserimento lavorativo o per creare un ambiente di lavoro più sensibile al tema che sia in grado di intercettare situazioni di violenza così da orientare dipendenti, che magari subiscono violenze, verso un centro".

Il supporto alle madri

In quel 52 per cento di donne occupate, circa il 78 per cento è madre: "Non dobbiamo pensare soltanto alla possibilità per le donne di lavorare, ma dobbiamo creare un contesto – continua Carelli – che consenta loro di farlo tranquillamente soprattutto in quelle situazioni in cui non c'è il padre o una rete famigliare intorno". E per questo diventa centrale il ruolo delle Istituzioni che sono chiamate a porre le basi per un disegno che vada nella direzione di sostenere le lavoratrici: "È importante che le Istituzioni siano stimolate a rendere possibile la gestione del lavoro: creando degli asili nido, dei centri diurni che possano supportare le mamme nelle ore pomeridiane. Ci vogliono tutta una serie di strumenti e servizi sul territorio che fanno in modo che le donne possano lavorare e che possano scegliere di non rinunciare a fare carriera o di poter aver uno sviluppo professionale e personale. Bisogna avere uno sguardo più ampio che favorisca la riconquista della libertà per le donne".

La formazione ai centri di impiego e alle aziende

Il protocollo firmato con il Comune di Milano diventa quindi essenziale: serve a educare una società che, ancora oggi, è portata a pensarsi al maschile. All'interno del documento, vi è una parte riservata ai dipendenti dei centri di impiego che potranno così accompagnare una donna vittima di violenza verso un percorso lavorativo e vi è poi una parte dedicata alle aziende: "L'obiettivo è quello di formare degli ambienti lavorativi che siano attenti al tema e abbiano un approccio più accogliente. Si cercherà di far sì che le aziende favoriscano, nel caso di una donna maltrattata, un percorso di supporto: che per esempio preveda un'aspettativa pagata cosicché la donna possa sentirsi autonoma e indipendente economicamente nonostante per un periodo sospenda la sua attività lavorativa".

Le pasticcerie di Cadmi

E su questa scia, Cadmi ha dato vita a un progetto – insieme alla Chef Viviana Varese – che ha consentito l'apertura di pasticcerie e gelaterie a Milano dove le donne, che sono state vittime di violenza, possono lavorare e ottenere la propria indipendenza: "Speriamo che anche altre donne imprenditrici, possano essere stimolate ad aprirsi a una responsabilità sociale che punti sul talento delle donne e offrire una opportunità a coloro che hanno vissuto una fase difficile e che vogliono riprendere a vivere da protagoniste".

Attraverso questo protocollo, si spera quindi di poter far sì che il mondo del lavoro – ancora legato a logiche gerarchiche e di potere maschile – cambi e dia a tutte le donne, siano esse state vittime di violenza o meno, le stesse opportunità offerte agli uomini sia in termini di libertà, di diritti che in termini economici e di crescita professionale.

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