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Elena Casetto morta a 19 anni nell’incendio in ospedale, la pm: “L’idrante più vicino non fu usato”

La 19enne Elena Casetto morì in ospedale in un incendio mentre era legata sul suo letto. Per la pm, i due addetti alla sicurezza dell’ospedale Papa Giovanni XXIII non hanno utilizzato l’idrante più vicino alla sua stanza per spegnere le fiamme. In aula sono stati ascoltati i primi vigili del fuoco che sono intervenuti.
A cura di Enrico Spaccini
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La 19enne Elena Casetto (da Facebook)
La 19enne Elena Casetto (da Facebook)

La 19enne Elena Casetto era ricoverata nel reparto Psichiatria dell'ospedale bergamasco Papa Giovanni XXIII. Dopo un tentativo di suicidio, i sanitari l'avevano costretta a letto. Poteva alzarsi solo se era assolutamente necessario, come andare in bagno o fare una pausa sigaretta. Forse proprio dopo una di queste pause Elena era riuscita a nascondere l'accendino con cui aveva provato a fuggire da quel letto il 13 agosto 2019. Le lenzuola presero fuoco scatenando un incendio che non le ha lasciato scampo. Secondo la pm Letizia Ruggeri, però, Elena poteva essere salvata se solo gli addetti della squadra antincendio dell'ospedale avessero usato la manichetta più vicina alla sua stanza, la 017.

Con l'accusa di incendio e omicidio colposo, il 32enne di Lissone, Alessandro Boccamino, e il 31enne di Paderno Dugnano, Eugenio Gallifuoco, sono finiti a processo. I due lavoravano per una società di Udine che gestiva il servizio antincendio dell'ospedale bergamasco. In aula sono stati ascoltati i primi vigili del fuoco del distaccamento di Dalmine che quel giorno intervennero per spegnere le fiamme.

Il racconto dei vigili del fuoco

L'allarme era scattato alle 10:18. Alle 10:19 Angelo Zanchi, Domenico De Carlo e Michele Maccarini partirono e alle 10:24 erano al Papa Giovanni XXIII. "Ci indicarono le scale per il terzo piano, lì c'era un addetto all'antincendio e una dottoressa", ricorda Zanchi in aula chiamato come testimone. Le fiamme uscivano dalle finestre e dalle porte, il fumo aveva riempito i corridoi.

"Sentivamo il sudore che scottava, a quel punto devi tornare indietro, per sicurezza", spiega il vigile del fuoco. A quel punto i tre tornano indietro, finché un tecnico dell'ospedale gli indica un'altra via: "Ci ha indicato un’altra strada, ci ha accompagnato e ha aperto la porta". Era la scala antincendio interna che li avrebbe poi portati vicino alla stanza di Elena.

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Nel frattempo, erano arrivati sul posto anche i colleghi del comando di Bergamo che, grazie all'autobotte, iniziarono a placare le fiamme e a diradare il fumo. Zanchi spaccò una finestra del corridoio per far uscire ancora più fumo e De Carlo prese l'idrante dalla cassetta al muro davanti alla stanza 017. "Ho trovato la manichetta al tatto, si notava la forma perché ero vicino", ricorda il pompiere, "l'ho srotolata, ho attaccato la lancia e mandato l’acqua nel tubo".

Il ritrovamento dell'accendino e dei tre estintori

In poco tempo le fiamme che avvolgevano la porta della stanza e che riempivano il bagno, furono estinte. Elena, però, era già deceduta. Aveva la caviglia sinistra ancora legata alle cinghie del letto. La polizia scientifica trovò l'accendino che aveva innescato l'incendio nel sacco che conteneva la salma.

Da qui continua la ricostruzione secondo la quale la squadra antincendio non avrebbe usato l'idrante più vicino, visto che è stato fatto da De Carlo in un secondo momento. Anzi, l'altro idrante trovato srotolato era solo a 30 metri di distanza dalla camera di Elena. Poi a terra sono stati rinvenuti due estintori vuoti, anche se non è ancora chiaro chi li abbia usati, e un terzo con la spinetta di sicurezza tolta ma ancora pieno.

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