784 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

Cremona, gli eroi della terapia intensiva: “Non dimentichiamo, temiamo che l’incubo Covid ritorni”

I medici e gli infermieri del reparto di Terapia intensiva dell’ospedale di Cremona raccontano a Fanpage.it quei 69 giorni della scorsa primavera vissuti in prima linea contro il Covid-19. Sguardi, gesti, parole sono rimasti come segni indelebili nel cuore e continuano a infestare sogni e pensieri. Siamo abituati ormai a vederli in tuta, visiera e mascherina che lascia spazio solo agli occhi. Ma dietro ogni tuta c’è un essere umano. “Abbiamo vissuto una esperienza drammatica. Sono situazioni che lasciano il segno. E ci auguriamo di non ripiombare nell’emergenza”.
A cura di Valeria Deste
784 CONDIVISIONI
Immagine

"In quei giorni così frenetici io e il mio direttore, il dott. Coluccello, ci incoraggiavamo a vicenda a non mollare perché passata la tempesta saremmo andati al mare. Al mare ci siamo andati, ma non abbiamo dimenticato”. Queste le parole di Carla Maestrini, Caposala dell’Unità operativa di Terapia intensiva dell’ospedale Maggiore di Cremona, a Fanpage.it. Nel nosocomio cremonese sguardi, gesti, parole sono rimasti come segni indelebili nel cuore e continuano a infestare sogni e pensieri. Difficilmente chi ha vissuto in prima linea questa pandemia dimenticherà la primavera 2020: 69 giorni, quelli iniziati da quel fatidico 9 marzo e terminati il 18 maggio con la fine del lockdown, segnati da oltre 20 decreti del Governo, centinaia fra ordinanze della Protezione civile, del Commissario per l’emergenza, delle Regioni e dei Sindaci. Il virus che ha sospeso il tempo, che ha stravolto la nostra quotidianità, che ci ha tenuto fermi a casa e a un metro di distanza l’uno dall’altro viene affrontato ogni giorno da tutti quei lavoratori dei servizi essenziali che non si sono mai fermati. Tra questi i sanitari. Siamo abituati ormai a vederli in tuta, visiera e mascherina che lascia spazio solo agli occhi. Ma dietro ogni tuta c’è un essere umano, sottoposto ad uno stress fuori dall’ordinario, in uno scenario che molti hanno paragonato a quello di una guerra. Professionisti in grado di dar sfogo alle emozioni senza farsi sopraffare perché prima viene il dovere: la voglia di combattere, di esserci per quella persona che tende loro la mano.

Situazioni che lasciano il segno

“Abbiamo vissuto questa drammatica esperienza, soprattutto numerica – spiega il direttore dell’Unità operativa di Terapia intensiva, Antonio Coluccello -: il paziente critico è il nostro lavoro quotidiano, avere tante patologie polmonari in un così breve periodo di tempo, francamente non mi era mai capitato in tutta la mia carriera professionale”. In quei fatidici 69 giorni i ricoveri nel reparto del dott. Coluccello sono stati circa 300. “Noi come rianimazione facciamo circa 400 ricoveri all’anno – continua il direttore – In quei mesi, abbiamo fatto addirittura 83 trasferimenti in altre sedi, di cui 6 addirittura in Germania. Chiaramente sono situazioni che lasciano il segno”. Così quando tutto ebbe inizio anche i professionisti sanitari si sono trovati travolti da un nemico sconosciuto. “All’inizio non eravamo pronti, non eravamo preparati – precisa la Caposala Maestrini – Mancavano protezioni sufficienti, mancava personale, mancavano conoscenze scientifiche da mettere in campo contro il Covid. Questa situazione nuova ci ha assalito: è stata una cosa incredibile”.

La "traghettatrice" dei pazienti

Uno dei compiti più difficile a livello umano è stato affidato a Simona Tomasoni, infermiera di Terapia Intensiva. Lei aveva il compito di “traghettare” i pazienti Covid ricoverati nei vari reparti del Maggiore alla Terapia intensiva per la sedazione e l’intubazione. “Questa esperienza mi ha segnato molto a livello emotivo – commenta con gli occhi lucidi – Io affiancavo il medico che operava in urgenza. Ho passato l’intero il periodo di emergenza Covid, girando tutto l’ospedale e conoscendo tutti i pazienti Covid. Ho conosciuto ognuno di loro prima dell’intubazione, mio compito era quello di spiegare loro perché ero lì. Io arrivavo quando subentrava nel paziente una criticità respiratoria. A volte capitava di non avere il tempo di trasportare il paziente in Terapia Intensiva e di doverlo sedare e intubare davanti agli altri pazienti che ci guardavano spaventati perché sapevano che sarebbe potuto toccare anche a loro. Molti hanno sconfitto il Covid, tanti altri non ce l’hanno fatta: il loro ricordo per me è importante. Nella mia mente, riaffiorano i volti di queste persone e mi accorgo che ognuna di loro mi ha lasciato qualcosa”.

L'ultima chiamata ai famigliari

I pazienti, durante l’emergenza sanitaria, arrivavano in Terapia Intensiva coscienti e lucidi. “Ci guardavano cercando in noi conforto e rassicurazione: ognuno di quegli sguardi racchiudeva terrore e una infinità di domande che avrebbero voluto porci. Ma non c’era tempo per le domande. Prima di sedarlo e intubarlo gli facevamo fare l’ultima chiamata al familiare – continua la Caposala – Questo momento è stato tra i più strazianti in assoluto. Cercavamo di allontanarci per lasciar loro un po' di intimità, ma eravamo lì: non potevamo non sentire. Ogni volta erano spilli al cuore”.

La paura di contagiare i propri cari tornando a casa

Sotto quelle tute spaziali, si cela il volto di persone dall'incommensurabile spessore umano ma con le stesse vulnerabilità di chiunque altro. Prima di tutto esseri umani. La paura dell'esposizione al contagio cammina silenziosamente al loro fianco ma non c'è tempo per abbandonarsi allo sconforto. “La mia più grossa paura – racconta l’infermiera Simona – era di poter portare il virus a casa e contagiare mio marito e mia figlia. Per fortuna non è successo”. Anche per Carla il timore più grande è sempre stato quello di contrarre il virus e infettare i propri cari. “I primi giorni di emergenza sanitaria – continua Carla – mi ero preparata un borsone con gli effetti personali e ripetevo a mio marito e a mia figlia che forse era meglio che io non tornassi a casa e che mi fermassi in ospedale. Poi, però, è subentrata la necessità di tornare a casa perché era necessario distogliere la mente da quello che stavamo vivendo”.

Ci auguriamo di non ripiombare nell'emergenza

“Noi sanitari – afferma Simona – temiamo il ritorno del Covid”. Stando alle previsioni epidemiologiche, purtroppo, sembra che una seconda ondata sia inevitabile. “Sono in costante contatto con il centro di coordinamento milanese del Policlinico – conclude il dott. Coluccello -: loro prevedono una ripresa verso la fine di ottobre. Per ripresa si intende il ritorno di casi che hanno una insufficienza respiratoria tale da ricorrere alle cure e ai sanitari della terapia intensiva, per cui intubazione e ventilazione meccanica. Noi ci auguriamo di non ripiombare nell’emergenza vissuta la scorsa primavera. Abbiamo comunque 40 ventilatori già pronti per essere rimessi in funzione. Siamo pronti a ripetere quello che abbiamo già vissuto, l’augurio è che ciò non accada”.

784 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views