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Commissione inchiesta Covid, Usuelli: “Chiarire perché Regione Lombardia cambiò protocolli in corsa”

Michele Usuelli, consigliere regionale lombardo di Più Europa-Radicali e membro della Commissione d’inchiesta Covid-19 del Pirellone, spiega a Fanpage.it di aver chiesto chiarimenti su quanto accaduto a marzo, quando la Regione diceva ai medici di pronto soccorso che le indicazioni su chi dovesse fare il tampone erano cambiate e valevano quelle lombarde. “Chiedo di sapere se la Regione avesse diritto di cambiare in corsa un protocollo operativo del Ministero”
A cura di Redazione Milano
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Proseguono i lavori della Commissione d'inchiesta Covid-19 del Consiglio regionale della Lombardia. Il consigliere regionale di Più Europa-Radicali in Lombardia, Michele Usuelli, spiega con un intervento inviato a Fanpage.it quali sono i punti in discussione nella seduta di oggi e perché ha chiesto chiarimenti sulla collaborazione tra Regione e Governo nelle prime fasi dell'emergenza.

"Nella odierna seduta della commissione di inchiesta Covid Lombardia abbiamo audito due professoresse di diritto costituzionale per approfondire i compiti dello Stato e quello delle Regioni.  Il tema è terribilmente serio: a inizio marzo Regione Lombardia diceva ai medici di Pronto soccorso che i protocolli del Ministero su chi dovesse fare il tampone in pronto soccorso erano cambiati e valevano quelli di Regione Lombardia. Io me ne accorsi subito, perché iniziai a ricevere telefonate di colleghi medici che si dicevano allarmati e disorientati: ‘Cosa dobbiamo fare? Secondo la Regione un paziente con febbre e tosse, ma non così grave da essere ricoverato, lo dobbiamo mandare a casa senza tampone. Con due protocolli differenti ed entrambi validi ogni medico sceglierà in coscienza cosa fare e questa difformità di comportamento renderà non misurabile l’effetto del/dei protocolli'", spiega il consigliere Usuelli.

"Questo disorientamento diffuso mi spinse ad agire per quanto il mio ruolo da consigliere di opposizione consentisse. Gallera mi accusa di un uso strumentale dei documenti, ma è la devozione verso la ricerca della verità che mi ha condotto alla politica, per cui racconto come ho agito. Immaginando che il protocollo di Regione fosse un errore in buona fede (o comunque rapidamente riparabile) e non l’ennesimo atto di una gara in cui una regione cerca di dimostrare di essere più brillante del governo, sulla pelle delle persone, invece di denunciare a mezzo stampa, contattai gli assessori di Fontana, chiedendo di essere ricevuto in unità di crisi e di parlare con i tecnici che avevano scritto quel documento. Ero molto fiducioso che la cosa si risolvesse in fretta e senza clamore mediatico, per il bene comune".

"Dopo alcuni tentativi, mi rispose l’assessore Caparini, il quale a seguito della mia spiegazione, si adoperò per consentirmi di entrare in unità di crisi. Con i due protocolli in mano, mi recai in unità di crisi, chiedendo di poter discutere con chi aveva redatto il documento regionale. Incontrai la dirigente responsabile, cui spiegai la questione e le molteplici segnalazioni dei medici sulle due procedure. Chiesi quindi di ridiscutere con urgenza la questione. L’unica risposta che ottenni fu che la dirigente abbassò gli occhi, restando in silenzio. Nulla cambiò nei giorni seguenti, e solo allora iniziai a segnalare la questione in Commissione sanità, in aula e sui media".

"Oggi nel mio intervento in Commissione di inchiesta, ho chiesto alle professoresse se la Regione avesse diritto di cambiare in corsa un protocollo operativo del Ministero e del Consiglio superiore di sanità, e secondo loro a quale direttiva quei medici di pronto soccorso avrebbero dovuto attenersi. Mi hanno risposto che il rispetto della legge impone la leale collaborazione fra governo regionale e centrale. Cosa che in questo caso evidentemente non c'è stata".

"Altri chiederanno chi doveva fare la zona rossa ad Alzano, Regione o Governo. Le risposte non stanno nel diritto costituzionale, a parer mio: perché non prevalgano gli “interessi di bottega”, governo centrale e regionale, se di orientamenti politici diversi devono, avrebbero dovuto, dovrebbero e dovranno, discutere e litigare in silenzio per poi parlare con una sola voce alle persone e ai medici. Sono proprio gli “interessi di bottega” della partitocrazia, la malattia endemica e non epidemica che impedisce di combattere il virus con maggiore efficacia".

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