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“Alessia Pifferi era capace di intendere e di volere quando ha ucciso la figlia”: l’esito della perizia psichiatrica

Alessia Pifferi era pienamente capace di intendere e volere quando ha lasciato morire di stenti la figlia di un anno e mezzo nel luglio del 2022. Lo ha stabilito la perizia disposta nel processo di secondo grado a Milano a carico della donna, 40 anni, condannata all’ergastolo per omicidio volontario aggravato in primo grado.
A cura di Francesca Del Boca
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Alessia Pifferi era pienamente capace di intendere e volere quando ha lasciato morire di stenti la figlia di un anno e mezzo in casa nel luglio del 2022. Lo ha stabilito la perizia disposta nel processo di secondo grado a Milano a carico della donna, 40 anni, condannata all'ergastolo per omicidio volontario aggravato in primo grado per aver abbandonato la figlia da sola nel suo appartamento di Ponte Lambro per ben sei giorni, causandone il decesso. Il documento sarà discusso in aula il prossimo 24 settembre.

La prima perizia psichiatrica su Alessia Pifferi

Una perizia psichiatrica nel primo processo aveva del resto già accertato che Pifferi era capace di intendere e volere ma la difesa, in occasione dell'Appello, aveva richiesto e ottenuto un nuovo accertamento, affidato a tre esperti. L'esito del nuovo esame, quindi, ha di fatto confermato la precedente analisi del perito nominato dal Tribunale, il dottor Elvezio Pirfo, che in passato aveva già diagnosticato alla 40enne uno stato psicologico di alessitimia, una sindrome di "analfabetismo emotivo" senza però evidenza di gravi disturbi psichiatrici o cognitivi. Secondo le ricostruzioni processuali, Pifferi aveva infatti lasciato la piccola da sola già altre volte, e i giudici di primo grado avevano stabilito nelle motivazioni che sarebbe stata quindi pienamente “consapevole del rischio che la figlia potesse morire di stenti”.

La richiesta della difesa

La richiesta dell'avvocata Alessia Pontenani, che fin dall'inizio assiste Pifferi in aula, era motivata dalla tesi del forte deficit intellettivo dell'imputata, che secondo la difesa sarebbe emerso fin dai tempi della scuola dell'obbligo con votazioni basse in pagella e la presenza di insegnanti di sostegno. Una sorta di "disabilità intellettiva", sostenuta dalle psicologhe del carcere di San Vittore (ora messe sotto accusa, con l'avvocata, dal pm Francesco De Tommasi) che avrebbe reso Pifferi come "una bambina di sei anni". "Pifferi non ha mentito davvero, ha detto le bugie che dicono i bambini e che si scoprono subito. Non sapeva nemmeno il significato della parola simulazione, l’ha chiesto a me dopo un’udienza", erano state le parole dell'avvocata Pontenani. "Non ha empatia perché l’empatia è una caratteristica delle persone intelligenti".

La famiglia di Alessia Pifferi: "Soddisfatti della perizia"

Viviana Pifferi, sorella di Alessia
Viviana Pifferi, sorella di Alessia

"La perizia dice chiaramente che Pifferi è soltanto affetta da un disturbo del neurosviluppo, classificabile come immaturità affettiva, sostanzialmente una sorta di poca empatia a livello affettivo da adulta e che non è un disturbo invalidante, non ha avuto influenza sul funzionamento psicosociale", ha spiegato l'avvocato Emanuele De Mitri, legale di parte civile che assiste la mamma e la sorella di Alessia Pifferi. "Una condizione che non ha compromesso la capacità di intendere e volere, neppure scemandola parzialmente. La famiglia è soddisfatta, anche perché ha sempre sostenuto che Alessia è assolutamente consapevole delle proprie azioni, non affetta da alcun disturbo, ma solo una persona presuntuosa e arrogante nel comportamento di tutti i giorni". Dalla perizia, ha concluso l'avvocato De Mitri, "si evince anche che non c'è stato alcun evento in età infantile che abbia potuto incidere sul suo comportamento futuro".

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