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La maschera licenziata dopo aver gridato “Palestina libera”: “Un gesto contro il silenzio della Scala sul genocidio”

Lo scorso 4 maggio una maschera della Scala è stata licenziata dopo aver urlato “Palestina Libera” alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, arrivata in teatro per il concerto inaugurale dell’assemblea dell’Asian Development Bank. La sua ricostruzione di quanto accaduto: “È stato un gesto di disobbedienza civile perché la Scala è indifferente e quindi complice davanti al genocidio palestinese”.
A cura di Giulia Ghirardi
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Foto da LaPresse
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"Il mio è stato un gesto di disobbedienza civile perché la Scala è indifferente e quindi complice davanti al genocidio palestinese". A parlare è la maschera del Teatro alla Scala di Milano che è stata licenziata per aver gridato "Palestina Libera" in occasione del concerto inaugurale della 58esima assemblea dell’Asian Development Bank organizzato dal MEF (Ministero dell'economia e delle finanze) a cui hanno partecipato la premier Giorgia Meloni e il Ministro dell'economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti. "Il licenziamento è conseguenza del fatto che vi siano diversi interessi economici e diplomatici", ha affermato a Fanpage.it il legale della maschera, Gianni Giovannelli. "Israele, infatti, è il 69esimo membro della Asian Development Bank con il ministro Bezalel Smotrich".

Il racconto della maschera: dal grido ‘Palestina libera' all'intervento della Digos

"Stavo lavorando nel terzo ordine palchi destro. Nel giro di un minuto, sono salita di due piani e sono entrata in prima galleria, 10 secondi dopo ero fuori", ha raccontato la maschera a Radio Onda D'Urto. "Con me avevo un rotolo con la bandiera quando mi hanno fermata perché ho gridato con tutta la forza che avevo "Palestina libera". Il rotolo mostrava alcuni dei volti e dei nomi di persone uccise dall'entità sionista, ma non è stato aperto perché la polizia è intervenuta subito".

"Ho avuto tantissima paura, ma è bastato pensare a loro e in qualche modo è come se mi stessero accompagnando. Questo mi ha dato coraggio", ha continuato a spiegare la maschera. "Non cercavo applausi, il mio gesto è stato semplicemente una manifestazione di disobbedienza civile davanti a un genocidio. Quando mi hanno preso di forza e portato nel foyer, non ho creato nessun disturbo tanto che la stessa Digos ha poi riconosciuto la natura pacifica del mio gesto".

Ma perché fare questa manifestazione di disobbedienza civile proprio all'interno del teatro? "Quella sera c'era un evento senza pubblico pagante con molti posti vuoti. Era una serata organizzata dal MEF in occasione della riunione della Asian Development Bank. La banca che dovrebbe favorire aiuti nei Paesi più deboli, da novembre 2024, quindi nel pieno del genocidio, ha ammesso come 69º paese Israele. Un gesto di assoluta fermezza politica che non intende in alcun modo prendere le distanze da Israele. In più, ad aggravare la situazione, il fatto che il rappresentante sia Bezalel Smotrich, esponente dell'estrema destra che vuole l'annessione di tutti i territori palestinesi alla cosiddetta "grande Israele"", ha dichiarato ancora la maschera.

"La direzione della Scala ha già affermato che io mi sarei nascosta come una vigliacca dietro l'istituzione, affermando che sarei dovuta entrare pagando un biglietto per poter esprimere dissenso. Posizione che banalizza profondamente il valore e il significato della partecipazione culturale e democratica in quanto lavoratrice. Essere parte di un'istituzione non dovrebbe comportare la rinuncia al diritto di esprimere un pensiero, soprattutto quando lo stesso luogo in cui lavoro, quindi il Teatro alla Scala, è indifferente e quindi complice davanti al genocidio palestinese. Il Teatro alla Scala per la Palestina non ha, infatti, mai organizzato alcuna attività istituzionale. Diversamente da quanto accaduto per l'Ucraina per la quale si è assistito fin da subito una mobilitazione concreta. Per la Palestina niente".

"Mi sono chiesta perché il mio licenziamento abbia avuto così tanta risonanza, perché ci sia stata così tanta solidarietà nei miei confronti", ha detto la maschera. "È perché tutti sanno che la Scala come istituzione non ha mai fatto nulla per la Palestina. E, infatti, il mio licenziamento non è stato causato dal contenuto della mia azione. Si tratta di una strategia politica, perché la Palestina non si limita a essere una questione umanitaria, ma è una situazione scomoda perché è soprattutto politica, una lotta contro l'imperialismo occidentale. Per questo la Scala sta in silenzio, perché prendere una posizione chiara significherebbe rompere alcuni rapporti di partnership. Infatti, il Teatro ha tra i suoi sponsor istituti finanziari come Intesa Sanpaolo, Allianz e Crédit Agricole che hanno ingenti investimenti negli insediamenti coloniali israeliani e nell'industria bellica, nonché da aziende energetiche come Edison Spa che lucra sull'estrazione di combustibili fossili dalla Palestina occupata".

"Mi è stato rivolto il rimprovero di essermi nascosta dietro alla Scala", ha concluso la maschera. "Ma lo ribadisco, non mi sono affatto nascosta, il mio intervento è stato pubblico, limpido e consapevole. Avrei potuto dissentire dall'esterno, ma ho scelto di farlo dall'interno proprio perché parte di questa istituzione, perché per cambiare le cose bisogna cercare di operare una decostruzione dall'interno, perché il problema è proprio la Scala, un teatro così importante che decide di stare in silenzio di fronte a un genocidio".

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