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Opinioni

La crisi evolve, l’Italia che fa?

Si parla di un “piano segreto” della Ue per risolvere la crisi del debito sovrano europeo che ormai va avanti da oltre due anni. Ma in Italia che succede? Molto poco a guardare con attenzione…
A cura di Luca Spoldi
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Barroso

Piani segreti e titoli di stato. Sarà una coincidenza, ma il giorno in cui si sono aperte le prenotazioni per la seconda emissione del Btp Italia destinato agli investitori retail (a fine giornata  giunte a poco più di 218 milioni di euro, ben distanti dal miliardo raccolto nel primo giorno di prenotazioni dall’emissione dello scorso marzo), che potrà essere sottoscritto fino al 7 giugno prossimo e che rispetto alla emissione di marzo stavolta rende in collocamento esattamente l’1% in più di spread sopra l’inflazione annua (il 3,55% lordo contro il 2,55% precedente), agenzie e siti finanziari di mezza Italia (Twitter compreso) hanno dato poco risalto ai dubbi espressi da Alessandro Profumo, ex numero uno di UniCredit e da poco presidente di Mps, secondo cui i problemi in cui si dibatte da tempo l’istituto senese potrebbero esser legati al fatto che la banca “ha forse troppi troppi Btp in portafoglio”. Un’ipotesi che andrebbe sviluppata senza dimenticarsi del fatto che l’ex presidente (e tuttora presidente uscente, con riconferma in bilico, dell’Abi, l’Associazione bancaria italiana), Giuseppe Mussari, quello che ha sostenuto a spada tratta l’iniziativa dei “Btp Day” (e quella gemella del “Bot Day”) perché favorevole a un “investimento patriottico” in titoli di stato, ha in questi anni fatto rilevare a cifre astronomiche partecipazioni di controllo in Biverbanca (il 60% della quale potrebbe finire in pancia a Cr Cuneo o Banca popolare Vicentina per circa 200 milioni) e in Antonveneta (che sembra sul punto di essere divisa in due parti, per poi veder ceduta metà della rete e forse il marchio al migliore offerente), salvo poi dover rettificare per altrettanto rilevanti cifre (parliamo di miliardi di euro nell’uno e nell’altro caso) l’importo degli avviamenti che erano stati così iscritti a bilancio e che a fine 2011 sono stati drasticamente abbattuti, senza che nessuno abbia anche solo avanzato “provocatoriamente” l’ipotesi di chiedere a Mussari e ai “top manager” da lui diretti e che si interessarono della campagna acquisti del 2006-2007 di “abbattere” proporzionalmente anche i propri bonus, restituendo parte di quanto ricevuto o per lo meno evitando di ottenere ulteriori ricchi premi e liquidazioni astronomiche come invece puntualmente avviene e avverrà sempre sinché in Italia il merito resterà un tema “filosofico” e le competenze uno schermo dietro il quale nascondere reti di relazioni e apparentamenti politici e “industriali” più o meno forti. Apparentamenti come quelli che hanno portato Mediobanca, azionista con poco meno del 13,5% di Assicurazioni Generali (quota che altrove non garantirebbe il controllo di alcuna società ma che in Italia basta da decenni a governare la principale assicurazione italiana) a chiedere, e ottenere, la testa di Giovanni Perissinotto, amministratore delegato sostituito ieri come previsto da Mario Greco (ex numero uno di Ras, poi finito ai vertici di Zurich Insurance Group) perchè reo di essersi messo “di traverso” al piano di soccorso orchestrato dalla banca d’affari che con Enrico Cuccia divenni dagli anni Settanta il nume tutelare del capitalismo famigliare italiano per salvare Fondiaria-Sai favorendone la fusione col gruppo Unipol. Un’operazione come già è stato detto che ha un qualche senso industriale (e ci mancherebbe), ma che ha rischiato più volte (se non ci fosse stato l’intervento della Consob) di favorire gli azionisti di maggioranza,  la famiglia Ligresti (cara a Mediobanca di cui è azionista), a scapito di tutti gli altri soci sia di Premafin, Fondiaria-Sai o Milano Assicurazioni, sia de “salvatore” Unipol (che come il gruppo Ligresti vede tra i principali finanziatori la stessa Mediobanca). Insomma, che motivo c’è di spingere alla creazione di “cordate di investitori coraggiosi” per salvare “compagnie di bandiera” come Alitalia, o tuonare perché gli italiani facciano “investimenti patriottici” in titoli di stato, se proprio la gestione “all’italiana” delle aziende a partecipazione statale, ma anche di molti gruppi privati e della “cosa pubblica” in senso più ampio è tra le causa della crisi?

Un paese immobile. Infatti non esiste alcun motivo per continuare su questa strada, che ha dato ampiamente tutto quello che poteva in termini di sviluppo del paese, tanto che da 15 anni almeno in Italia l’economia non cresce più in valore assoluto ed anzi dal 2008 ad oggi il Prodotto interno lordo è calato più che quello di altri stati come Germania o Francia ed ha recuperato molto meno e con molti maggiori sforzi. L’Italia è ormai un paese che tutela le rendite, i patrimoni, le relazioni “consolidate”, mentre fatica a premiare il merito come giusto e la capacità di produrre ricchezza “nuova” come avviene nel resto del mondo e lascia i suoi giovani invecchiare in attesa di un lavoro. E’ un paese che finora ha chiuso un occhio o anche tutti e due a quegli “imprenditori” che chiedevano finanziamenti statali o comunitari per progetti che svanivano come neve al sole il mattino dopo l’erogazione dei fondi (rigorosamente “a perdere”), dove l’evasione è stata a lungo giustificata come unica “valvola di sfogo” contro un fisco soffocante (anziché chiedere, come si sarebbe dovuto e si deve fare, di ridurre il peso fiscale riducendo in parallelo le spese, a partire da quelle inutili ovvero improduttive, legate in gran parte a clientele politiche-imprenditoriali o a scambi di favori che a tutto servono meno che a creare ricchezza per il paese), dove la corruttela raggiunge livelli “greci” (non me ne vogliano gli amici greci), dove l’indolenza di chi sa di essere stato messo “a posto” raggiunge livelli “spagnoli” (non me ne vogliano gli amici spagnoli). Dove soprattutto l’economia sembra una materia filosofica e non la ricerca quotidiana, su basi empiriche, di un metodo di funzionamento del sistema che sia in grado di creare ricchezza, spettando poi alla politica decidere (democraticamente) come questa ricchezza vada ripartita e quali spese “sociali” vadano comunque sostenute al di là dei risultati di bilancio che possano produrre. Per intanto in borsa, grazie a voci di “piani segreti” per risolvere la crisi (sic), le quotazioni delle maggiori banche italiane tornano a rimbalzare, come pure le quotazioni dei titoli di stato, col Btp decennale guida che vede il rendimento calare sul 5,667% (7,5 punti base meno di venerdì) dopo aver aperto al 6%, mentre lo spread su Bund cala sul 4,45% (11 basis point di restringimento) dopo essersi allargato sino al 4,81% in avvio di giornata, mentre il Portogallo supera la revisione trimestrale degli emissari della “troika” Ue-Fmi-Bce e annuncia ricapitalizzazioni per complessivi 6,25 miliardi delle tre maggiori banche “sistemiche” (Banco Comercial Portugues, Banco Portugues de Investimento e Caixa Geral de Depositos). La crisi che ci sembra sempre ferma continua a evolversi, come già segnalatovi, mentre il paese che tanto si vanta di avere dato i natali a “santi, poeti e navigatori” e saper sempre trovare una soluzione “ingegnosa” per rilanciare le proprie attività sembra sempre più immobile. Pericolosamente.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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