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La bona e la vecchia: perché non mi piace la fiction su Pupetta Maresca

Non mi piace il personaggio reale né la fiction. Che sia una camorrista o una vittima di camorra lo stereotipo ricorrente è la bellezza. Non è un caso: la serie tv su don Peppe Diana sarà infatti interpretata da Andrea Preziosi.
A cura di Marcello Ravveduto
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Devo proprio dirlo ma la fiction su Pupetta Maresca non mi piace. Non mi piace il personaggio reale, divenuta un’eroina della camorra; non mi piace l’interprete principale con il suo napoletano stentato e inespressivo. Leggendo i commenti che molti amici hanno postato sui profili Facebook mi è sembrato di raccogliere un coro unanime di critiche nei confronti della mini serie televisiva. Eppure nelle sua terza, e penultima puntata, la signorina Arcuri ha sbancato l’Auditel con 5 milioni di telespettatori e il 22,77% di share. Evidentemente si tratta di una minoranza. Pupetta è alta, bella, soda, con abiti fasciati, un vero e proprio sex symbol. Un vizio tipico delle fiction italiane che imitano fino al paradosso il format americano in cui il protagonista di ogni storia è prima di tutto un oggetto del desiderio sessuale. Che sia una camorrista o una vittima di camorra lo stereotipo ricorrente è la bellezza, intesa quale sintesi di qualità interiori che si riflettono sulle fattezze di uomini e donne, soprattutto.

Non è un caso quindi se la futura fiction su don Giuseppe Diana sarà interpretata da Alessandro Preziosi. Per carità, sempre meglio la narrazione di un caso esemplare dal punto di vista della resistenza civile che un polpettone para apologetico come fu “Il capo dei capi” (quanti danni ha prodotto l’esaltazione televisiva della figura di Riina nell’immaginario collettivo delle fasce sociali suggestionate dal potere mafioso?). Il canone televisivo ha trasformato un prete, stimato per la sua capacità di unire federe religiosa e impegno civile, in un “bono” da spolpare con gli occhi in prima serata. Sicuramente uno stuolo di ragazzine sogneranno di poter conoscere un prete alto, bello, biondo e con gli occhi azzurri come Preziosi. Solo che quell’attore non è e non rappresenta don Diana. Basta vedere una foto per cogliere la differenza. È la conferma di un’ossessione fisiognomica che non riusciamo a mettere da parte: il bello è buono, il brutto è cattivo, il normale è niente, nulla che valga la pena di essere ricordato. A mio avviso una simile trasfigurazione è di pessimo gusto, anche perché (se non ricordo male) il parroco della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, dopo la morte per mano del clan dei casalesi, fu diffamato come donnaiolo. In molti, per un periodo abbastanza lungo, hanno convissuto con il sospetto che dietro l’omicidio si nascondesse una vicenda d’onore. Assegnare a don Diana il volto e il corpo di Preziosi può far tornare a galla la malizia degli untori come una vendetta postuma. Ma torniamo alla nostra Pupetta. Avete visto la foto diffusa nel web con la vera Assunta accanto a Manuela “la tanta”? Il senso del ridicolo supera ogni più lambiccata fantasia. Una vecchia con i capelli tinti di rosso rame, con lo sguardo abbastanza spento, che a stento arriva alle spalle dell’Arcuri.

Qualcuno potrà dire che anche Francesco Rosi, ne “La sfida”, attribuì il ruolo di Pupetta ad una giovane donna conturbante all’inizio della carriera, Rosanna Schiaffino. Tuttavia, a parte il ruolo comprimario della donna, ancella del suo Vito Polara (alias Pascalone ‘e Nola), il film è tutto incentrato sulle differenze tra la camorra urbana, parassitaria e contrabbandiera, e la camorra di provincia che già manifesta i caratteri dell’impresa criminale. Rosi, da grande regista, inverte il flusso della comunicazione: il caso giornalistico di Pupetta gli serve per denunciare un primo salto di qualità dell’organizzazione criminale campana che, negli anni del miracolo economico, già insegue l’ideologia del benessere attraverso lo strumento della violenza. Sì, Assunta è bella e sexy ma è solo l’ingranaggio di una ruota, altro che “coraggio e passione”, come recita il sottotitolo della fiction. Più che un “inno alla camorra” si manifesta la pessima fattura della produzione televisiva che sembra occhieggiare a “Beautiful” ma in realtà realizza “Milagros”, nel senso più deteriore del termine: luoghi artefatti, dialoghi posticci e argomenti anacronistici. Un solo dubbio mi rimane: perché riaccendere i riflettori su una donna d’onore ormai dimenticata dal tempo e persino dai camorristi? Mi piacerebbe sapere chi ha fornito i capitali per una simile produzione perché ha realizzato davvero un pessimo investimento, a meno che l’obiettivo non fosse un altro. Ma questo non è dato saperlo.

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