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Opinioni

Jan Koum, l’immigrato che viveva di buoni pasto e oggi ha l’impero di Whatsapp

L’inventore di Whatsapp è un immigrato ucraino che non aveva nemmeno i soldi per il pranzo. Nella “terra delle opportunità” è riuscito ad emergere senza dimenticare da dove è partito. Una storia incredibile di riscatto fatta di caparbietà e capacità. Noi italiani quanto abbiamo da imparare?
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A volte per imparare non bisogna fare altro che osservare le vite degli altri. Da quella di Jan Koum, classe 1976 (37 anni, quindi), numero uno di Whatsapp, nato in Ucraina – che è quel posto oggi al centro dell'attenzione internazionale per i violentissimi scontri nella capitale, Kiev – impariamo che nelle condizioni giuste, con un misto di caparbietà, capacità, convinzione e ovviamente fortuna si può arrivare lontano. E lontano, molto lontano, è andato Jan: a 16 anni è partito dall'allora paese sovietico per approdare negli Stati Uniti d'America insieme alla madre. Nella land of opportunity il sedicenne ha faticato duro. Per un periodo ha vissuto di "food stamps", i buoni pasto forniti dal programma d'assistenza federale Usa alle famiglie povere. Il giovane Jan andava con la mamma a ritirare gli aiuti di stato alla "Social service Agency" di Santa Clara, all'ombra di Mountain View, in California. E lì è tornato, da vincitore. L'ingegnere e inventore di una delle app più diffuse al mondo, dopo quindici anni, proprio davanti a quegli uffici per i poveri ha voluto firmare l'accordo di cessione di Whatsapp al social network Facebook per la strabiliante cifra di 19 miliardi di dollari (14 miliardi d'euro). Non c'era sua madre: è morta di cancro nel 2000. Un gesto simbolico che rende bene una idea: chi oggi diventa multimilionario (Forbes stima che Koum con l'affare possa arrivare ad avere un patrimonio di 6,8 miliardi di dollari) non dimentica da dove è partito.

L'immigrato ucraino che faceva la fila per i buoni pasto ed ha inventato il sistema di messaggini perché non poteva soffrire il fatto che la sua palestra avesse vietato l'uso dei cellulari, viene descritto dalla stampa americana come un personaggio atipico in un mondo fatto di eccessi e di egocentrismi. Profilo basso, spiccato senso della privacy, poca voglia di apparire in pubblico (nemmeno a ritirare prestigiosi premi) e addirittura neanche un'insegna per indicare gli uffici della creatura sua e del co-fondatore Brian Acton: «Perché farlo? Tutti sappiamo dove lavoriamo». Per imparare, dicevo all'inizio, a volte bisogna semplicemente osservare. Magari si può capire quanto conti, in un sistema equo (attenzione: nessuno sostiene che gli Usa siano il socialismo reale o l'Eden) dare un'opportunità a tutti coloro che la meritano. E quanto sia importante consentire a coloro che lo vogliono e ne hanno la possibilità, di sviluppare le proprie idee. E, infine, quanto sia importante tollerare e preservare le diversità culturali che sono vita e bellezza, anziché tentare di omologare tutto. Dal sindaco di New York Bill de Blasio alla storia di Jan Koum: in Italia quanto abbiamo ancora da imparare?

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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