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Meta non vuole che i suoi dipendenti parlino di aborto in ufficio

La questione è molto sentita negli Stati Uniti, ma Meta non vuole che se ne parli nei suoi uffici. Il che è strano, dato che in azienda è possibile parlare e dibattere rispettosamente di altre questioni sociali, come il movimento Black Lives Matter.
A cura di Lorena Rao
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Giovedì scorso un dirigente di Meta ha riferito ai dipendenti che è vietato parlare di aborto sul posto di lavoro, per evitare che l'azienda venga percepita come un "ambiente professionale ostile". Una politica interna che risale al 2019 ma che viene ufficializzata solo ora. Ai dipendenti dunque è proibito esprimere e discutere "opinioni o dibattiti sull'aborto, se sia giusto o sbagliato, disponibilità o diritti all'aborto e opinioni politiche, religiose e umanitarie sul tema", secondo una sezione della "Politica di comunicazione rispettosa" interna dell'azienda, riporta The Verge.

I dipendenti non hanno reagito bene: alcuni hanno chiesto l'eliminazione di questa regola, in seguito alla presentazione da parte di Politico di una bozza della Corte Suprema che avrebbe ribaltato la Roe v. Wade, la storica sentenza del 1973 sul diritto all'aborto. In queste settimane diversi Stati conservatori guidati dal partito repubblicano, come il Texas, la Louisiana e l'Oklahoma, si sono mossi per rendere illegale l'aborto. La questione dunque è molto sentita negli Stati Uniti, ma Meta non vuole che se ne parli nei suoi uffici. Il che è strano, dato che in azienda è possibile parlare e dibattere rispettosamente di altre questioni sociali, come il movimento Black Lives Matter, i diritti per le persone trans e le tematiche legate all'immigrazione.

Durante l'incontro con i dipendenti tenutosi giovedì scorso, la vicepresidente delle Risorse Umane di Meta Janelle Gale ha affermato che l'aborto è "l'argomento più divisivo e segnalato" negli uffici dell'azienda. Ha inoltre aggiunto: "anche se le persone cercano di essere rispettose nel dire il loro punto di vista sull'aborto, possono comunque lasciare ad altre persone la sensazione di essere prese di mira in base al loro sesso o religione".

Un'altra dirigente di Meta, Naomi Gleit, ha scritto in un post poi diffuso da The Verge i motivi per cui la società ha imposto restrizioni alla discussione sull'aborto. "Al lavoro, ci sono molte sensibilità su questo argomento, il che rende difficile discuterne ". Ha pure affermato che i dipendenti potrebbero discutere di aborto sul lavoro solo "con un collega fidato in un ambiente privato (ad es. dal vivo, chat, ecc.)" e in una "sessione di ascolto con un piccolo gruppo di massimo 5 persone che la pensano allo stesso modo per mostrare solidarietà". Gleit ha infine incoraggiato i dipendenti a utilizzare le app social di Meta per condividere le loro opinioni a titolo personale e che l'azienda "continuerà a offrire ai nostri dipendenti l'accesso all'assistenza sanitaria riproduttiva negli Stati Uniti indipendentemente da dove vivono".

Un invito a farsi sentire sui social accettato in primis dal membro esecutivo di Meta, Sheryl Sandberg, la quale ha pubblicato sul suo profilo Facebook il seguente post: “Ogni donna, non importa dove viva, deve essere libera di scegliere se e quando diventare madre". "Poche cose sono più importanti per la salute e l'uguaglianza delle donne".

Al di là di Meta, molte aziende Big Tech devono ancora prendere una posizione sull'illegalità dell'aborto. Ve ne sono tuttavia alcune che si sono opposte al ribaltamento della Roe v. Wade. Tra queste Amazon, Salesforce, Uber e Stoppelman, le quali hanno messo a disposizione la copertura delle spese necessarie alle dipendenti per lasciare gli Stati antiabortisti.

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