
Gli ultimi avvistamenti sono in Francia. Una bandiera nera, un teschio disegnato mentre ride con un cappello di paglia e due tibie incrociate. È un simbolo noto, sintetizzato con la formula non proprio esatta “la bandiera di One Piece”. Di fatto è la bandiera dei Mugiwara, la ciurma di pirati guidati da Monkey D. Luffy e protagonista del manga One Piece, scritto dai Eiichiro Oda. Fino a dieci anni fa era un simbolo conosciuto giusto dai lettori del manga e da chi in generale segue i fumetti giapponesi. Ora è diventato qualcosa di più.
One Piece ha affossato qualsiasi record. Nel gennaio del 2025 ha superato quota 516 milioni di copie vendute. Al momento il fumetto più venduto nella storia è Superman, iniziato però nel 1938. Il primo capitolo di One Piece è uscito nel 1997. E questo dato sulle vendite ovviamente non tiene conto di chi vede l’anime, la serie di animazione data dal manga, chi lo legge online dai canali ufficiali, chi lo scarica dai gruppi Telegram o chi ha visto la serie Netflix.
Ora la bandiera di One Piece si intravede a Parigi, tra i manifestanti che stanno aderendo alle proteste Blocchiamo Tutto. È comparsa in una foto attaccata al cancello davanti al Parlamento del Nepal. La foto è d’impatto. Il teschio di One Piece ride, il Parlamento del Nepal è avvolto dalle fiamme. Non solo. Nelle scorse settimane era già apparsa anche in Indonesia e sulle barche della Global Sumud Flottilla.
Perché la bandiera di One Piece è diventata un simbolo
La storia di One Piece è complessa. I temi che la attraversano sono tanti. C’è il viaggio attraverso isole leggendarie e popoli diversi tra loro, dai nani agli uomini pesce, passando per Giganti, braccialunghe, uomini con le ali e animali antropomorfi. C’è il cammino dell’eroe, Monkey D. Luffy vuole diventare il Re dei Pirati. Ma c’è anche un costante ciclo di distruzione e ricostituzione dell’ordine.
Nel loro viaggio i Mugiwara arrivano spesso in isole dominate da tiranni. Il Regno di Alabasta stretto nelle brame di Crocodile, l’Isola del Cielo governata con i fulmini di Ener, la Dressrosa di Donquijote Doflamingo o il Paese di Wa tenuto in scacco da Kaido. Tiranni che i Mugiwara combattono regolarmente per restituire il Paese agli abitanti, ai re precedenti o sovrani futuri. Ordini che vengono distrutti, schiavi che vengono liberati, nuovi governi che vengono creati.
Non è difficile capire quindi perché la stiamo vedendo così tanto in giro. Lo chiariamo. Non c’è un movimento coordinato. Non ci sono piattaforme che distribuiscono bandiera apposta per le proteste. Eiichiro Oda e Sueisha, la casa editrice che distribuisce il manga, non hanno diffuso commenti su quello che sta succedendo.
Cosa succede quando ci appropriamo di una bandiera: il caso di V per Vendetta
Ora. Se scaviamo qualche hanno più indietro capiamo che è una storia che si ripete. Il caso più celebre è la maschera di V per Vendetta. Nel 2005 la miniserie di fumetti scritta da Alan Moore e disegnata da David Lloyd è diventata un film. Da qui la maschera di Guy Fawkes indossata dal protagonista è diventata un simbolo di rivolta in tutto il mondo, soprattutto nel movimento hacker.
Ancora adesso questa maschera è un simbolo molto usato dal collettivo Anonymous per le sue identità digitali. In Italia però l’abbiamo vista parecchio anche nelle prime manifestazioni del MoVimento 5 Stelle. Simbolo poi adottato anche nelle grafiche ufficiali, visto che la V del nome è fatta come V per Vendetta.
Sembra un déjà vu. Il simbolo di un fumetto, le proteste nel mondo, la storia che si fonde con la fiction. E poi? E poi succede quello che abbiamo già visto. Il simbolo viene usato sempre di più, si lega a tante cause, viene strumentalizzato, usato per semplificare dinamiche più complesse e perde il suo valore. L’etimologia di simbolo ha le sue radici nel greco antico. Come spiegano nelle prime lezioni di qualsiasi liceo classico arriva da σύν βάλλω, mettere insieme. Se diventa la corda con cui si tengono insieme troppe cose alla fine si spezza.
