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Come ha fatto Google ad avvisare un milione di persone prima del terremoto a San Francisco

Dai sensori sotto terra agli accelerometri sugli smartphone, sta crescendo un ecosistema di dispositivi che lavorano insieme per anticipare l’arrivo delle scosse.
A cura di Elisabetta Rosso
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Martedì 25 ottobre, Bay Area di San Francisco, è mattina e su un milione di smartphone compare un avviso: "Potresti aver sentito tremare". Arriva, e pochi secondi dopo una scossa di magnitudo 5.1 attraversa l'area. A 80 miglia a nord di San Francisco l’allarme è scattato 18 secondi prima che tremassero le pareti, altri hanno avuto un preavviso di due minuti, molti si sono ritrovati una manciata di secondi d'anticipo. È stato il più grande terremoto della Bay Area negli ultimi quindici anni, ma non ci sono stati feriti o danni significativi.

Con i terremoti è tutta questione di tempismo. L’obiettivo è eliminare l’imprevedibilità, anche solo di qualche secondo, che può essere prezioso per permettere alle persone di mettersi al riparo. Premessa, nessuno può prevedere un terremoto, nemmeno la tecnologia, che però è in grado di rilevarlo prima delle persone e quindi avvisarle del rischio imminente.  "Una delle cose che stiamo cercando di fare è costruire una serie di sistemi di allerta precoce per i terremoti", afferma Robert de Groot, che fa parte del team operativo ShakeAlert, un progetto nell'ambito dello United States Geological Survey che rileva i primi segni di terremoti.

Come funziona l'allarme?

È stato un lavoro di squadra. ShakeAlert, il sistema di allerta precoce per terremoti sulla costa occidentale degli Stati Uniti, ha inviato i dati al sistema Android che ha generato l’avviso. Google invece ha reso subito disponibili le informazioni, ha inserito l’allarme nel proprio sistema inviando notifiche push alle persone.

Un terremoto inizia sempre con onde sismiche più morbide, chiamate onde P che attraversano il suolo. Spesso sono impercettibili agli esseri umani, non sfuggono invece ai 1300 sensori Usgs, l’ istituto Geologico degli Stati Uniti, che registrano la scossa e emettono un avviso al centro di elaborazione dati. Se viene riconosciuto il principio di terremoto da ShakeAlert, allora scatta l’allarme. Entrano in scena Google, l’app MyShake e le agenzie governative, come l’ Agenzia federale per la gestione delle emergenze e i sistemi di transito, che inviano gli avvisi sugli smartphone e sui canali di comunciazione.

Il futuro dell'industria d'allerta precoce

Gli avvisi generati spesso sono imprecisi. Per esempio, nel caso della Bay Area di San Francisco, hanno segnalato un terremoto di magnitudo 4.8, invece che di 5.1, o arrivano troppo tardi, solo qualche secondo prima delle scosse. ll tempo di avviso dipende dalla distanza, e funziona un po’ al contrario, quelli più vicini alle scosse rischiano di non ricevere l’allarme, quelli che vivono più lontani possono essere avvisati fino a due minuti prima. Non solo, i sensori USGS sono costosi. Proprio per questo Google ha trasformato gli smartphone in sensori di terremoti. Una soluzione che ha dei vantaggi ma non risolve tutti i problemi.

Ogni cellulare ha integrato un accelerometro in grado di captare i segnali di un terremoto. Se attivato, lo smartphone invia un messaggio dove segnala i dati di posizione approssimativi a un server di rilevamento che, grazie ai dati raccolti da tutti i cellulari dell’area, riesce a ricostruire dove si sta verificando il terremoto e trasmettere gli avvisi.

"Stiamo cercando di capire quando inizia un terremoto e il momento in cui siamo in grado di rilevarlo e inviare una segnalazione il più velocemente possibile", spiega Marc Stogaitis, ingegnere di Google. “Equipaggiare i telefoni per captare i segnali è una soluzione più economica e veloce rispetto a piantare sensori più grandi tre metri sottoterra in altre aree soggette a terremoti. Il problema è che le persone e i loro telefoni devono essere il più vicino possibile ai terremoti per rilevare le scosse", spiega de Groot, e non è sempre così.

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