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Un farmaco per la tosse per combattere il Parkinson: studio proverà a dimostrarne l’efficacia

Alcuni studi hanno evidenziato che l’ambroxolo, un farmaco per la tosse, potrebbe essere efficace anche contro il morbo di Parkinson. È in avvio un trial clinico di Fase 3 che proverà a confermarlo.
A cura di Andrea Centini
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Un farmaco normalmente utilizzato per la tosse potrebbe essere efficace nel contrastare il morbo di Parkinson, come suggerito da alcuni studi. Un nuovo trial clinico di Fase 3 in avvio proverà a dimostrarlo definitivamente, valutando la capacità del principio attivo di rallentare la progressione della patologia neurodegenerativa. Il farmaco in questione è l'ambroxolo, un mucolitico / espettorante con proprietà antinfiammatorie che viene utilizzato sin dagli anni '70 del secolo scorso, ad esempio per trattare le bronchiti e favorire la decongestione delle vie aeree.

Che il principio attivo potesse avere applicazioni ben più significative di quelle di un “semplice” espettorante lo si è capito solo nel 2009, grazie allo studio “Identification and Characterization of Ambroxol as an Enzyme Enhancement Agent for Gaucher Disease” pubblicato sul Journal of Biological Chemistry. Gli scienziati guidati dal professor Don J. Mahuran del Research Institute – The Hospital for Sick Children di Toronto (Canada) scoprirono infatti che l'ambroxolo aumentava in modo significativo le concentrazioni di un enzima chiamato glucocerebrosidasi (Gcase) nei pazienti affetti dalla malattia di Gaucher, una patologia da accumulo lisosomiale di origine genetica che è secondaria proprio al deficit di glucocerebrosidasi, come spiegato da Orpha.net.

E questo cosa c'entra con il morbo di Parkinson? Una delle caratteristiche della malattia neurodegenerativa risiede nell'accumulo dei corpi di Lewy, ovvero aggregati di una proteina chiamata alfa-sinucleina. Se i livelli di questa proteina aumentano, diminuiscono quelli dell'enzima glucocerebrosidasi. Partendo da questo presupposto, gli scienziati dell'Università della California di Los Angeles guidati dal professor Anthony Schapira hanno iniziato a ipotizzare che un alto dosaggio di ambroxolo avrebbe potuto “tenere a bada” le aggregazioni di alfa-sinucleina aumentando proprio quelli di Gcase, e quindi di contrastare gli effetti neurodegenerativi del morbo di Parkinson.

Così il professor Schapira e colleghi hanno avviato una serie di studi preclinici e clinici per verificare questa ipotesi, osservando segnali incoraggianti per il prosieguo della ricerca scientifica. In uno studio di Fase 2 condotto nel 2020, ad esempio, non solo è stato confermato che le alte dosi di ambroxolo erano sicure e ben tollerate dai pazienti, ma anche che il principio attivo era in grado di raggiungere efficacemente il cervello e catalizzare i livelli della proteina Gcase. Il prossimo passo sarà capire se effettivamente questo farmaco sia in grado di contrastare effettivamente il morbo di Parkinson. Così è stato approntato uno studio di Fase 3 randomizzato e controllato con placebo (chiamato “ASPro-PD”) in cui saranno coinvolti 330 pazienti.

Il trial clinico sarà condotto nel Regno Unito con il coinvolgimento di una dozzina di centri clinici e il supporto dell'ente di beneficienza Cure Parkinson's and Van Andel Institute. Grazie a una scala standardizzata i medici determineranno quanto l'ambroxolo riuscirà a contrastare la progressione della malattia e a migliorare i sintomi dei pazienti, come i caratteristici tremori. “Sono lieto di guidare questo entusiasmante progetto. Questa sarà la prima volta che un farmaco specificamente applicato a una causa genetica della malattia di Parkinson ha raggiunto questo livello di sperimentazione e rappresenta dieci anni di lavoro ampio e dettagliato in laboratorio e una prova clinica di principio”, ha dichiarato il professor Schapira in un comunicato stampa. Non resta che attendere la conclusione del trial clinico per sapere se effettivamente un farmaco per la tosse possa combattere la devastante patologia neurodegenerativa, in grado di abbattere drasticamente la qualità della vita dei pazienti e dei loro famigliari.

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